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TESTO Benedetto il Signore che dona la vita

don Walter Magni   Chiesa di Milano

III domenica dopo Pentecoste (Anno A) (25/06/2017)

Vangelo: Gv 3,16-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

In questa III domenica dopo Pentecoste la Parola ci invita ad andare al principio della creazione, agli inizi dell'uomo: al cuore stesso di Dio. Come ci ha detto il libro della Genesi: "allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere dal suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente" (Gn 2,4b-17). Perché Dio ha creato il mondo? Cosa lo ha spinto a soffiare nell'uomo, in ciascun uomo, "un alito di vita", facendolo diventare "un essere vivente"?

Il figlio come dono
Nasciamo tutti figli. E come un figlio porta impresso nella carne i segni della paternità che lo ha generato, così ogni uomo è tale in ragione di quel soffio vitale, di quell'alito di vita primordiale che Dio stesso gli ha regalato. E qui cominciano a mancare le parole giuste per balbettare qualcosa di questo mistero. Come ci stessimo avventurando in una dimensione incontaminata che nessuno può contaminare. Perché la vita è anzitutto un dono di Dio. Al punto che dove il consumismo più imperversa e l'efficientismo la fa da padrone, parole come grazia, gratuità, dono, non attecchiscono e faticano ad essere dette. Possiamo consumare la natura, possiamo rovinare le nostre esistenze, ma il soffio di vita che ci è stato donato da Dio non lo possiamo soffocare. Il fatto che siamo figli di Dio, amati da Dio sin dal principio, è un marchio indelebile, incancellabile in ogni uomo. Perché Dio creandoci non ci ha semplicemente regalato qualcosa, ma ci ha segnati per sempre a sua immagine e somiglianza. Dio si è stampato in me, in ciascuno di noi, in modo inconfondibile. "Copriamo i bambini di doni per coprire le nostre assenze. Il dono al contrario, nel suo significato più vero, ci ricorda l'altro. La sua presenza. Paradossalmente, meno vistoso è il dono, più ci lascia vedere, intravedere il volto: più vistoso è il dono, più forte è il rischio che sia in ombra il volto, in ombra l'emozione di essere stati pensati. Da qualcuno. Essere pensati è il vero dono, è ciò che ci fa rinascere. Tu mi hai pensato, io ci sono, ci sono per te" (Essere pensati, A. Casati).

"Da dare il suo Figlio unigenito"
Siamo frutto di un dono dove il dare prevale sull'avere. Siamo impastati dalla logica del dono sin da principio, perché nel nome di Dio siamo anzitutto dono a noi stessi. Così come ci ricorda anche il Vangelo che abbiamo ascoltato: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito". Un'espressione, questa, che ci consegna il nucleo incandescente del Vangelo. Un versetto che ti abbaglia mentre lo proclami, riempiendoti di stupore se appena l'ascolti. Del resto, Gesù è andato sempre per questo verso: "nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13); e queste sono parole proprio Sue: "C'è più gioia nel dare che nel ricevere'' (At 20,35). Talvolta mi prende qualche dubbio a riguardo del nostro modo di parlare di Dio. Quando Dio ci ha parlato di Sé, ci ha raccontato fatti e Gesù, mostrandoci il Suo volto, non Si è servito di formule numeriche, come abbiamo fatto noi parlando di un Dio uno e trino. Dio non sta in una definizione, ma in un continuo dono di Sé che ti raggiunge, ti tocca, t'avvolge e nell'abbraccio ti per-dona. Così che quando Nicodemo, in una notte di domande e di dubbi passata in compagnia di Gesù, Gli domanda come si fa a rinascere dall'alto, semplicemente si sente dire che Dio "ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio Unigenito". Così non è difficile accorgersi che l'amore di Dio per il mondo scaturisce da dentro una relazione d'amore, di dono reciproco, tra il Padre e il Figlio Suo.

"Perché il mondo si salvi"
E c'è ancora un verbo prezioso che Gesù ci ricorda, quando afferma che "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui". Così che diventa urgente capire che il verbo che meglio qualifica un Dio che ci ha regalato la vita, non è giudicare, ma salvare. Quel dono di vita e di grazia che è Gesù non è declinato dal giudizio, ma è l'espressione estrema del desiderio di salvezza che Dio nutre per ogni uomo. Una salvezza che pulsa dentro la nostra storia e non si impone: "Dal di fuori non si salva; lamentandosi non si salva: condannando soltanto non si salva nessuno. Cristo è verità, giustizia, amore incarnato, cioè fatto uomo fra gli uomini e per gli uomini. Il nostro mondo ha bisogno di Gesù Cristo, in un tipo di santità che viva e operi nel suo cuore stesso" (Primo Mazzolari). In giorni complessi come i nostri, dove attentare alla vita degli uomini è diventato un gioco perverso, portando anche i cristiani talvolta a giudizi senza speranza, ricordo le ultime parole del testamento di fr. Christian de Chergé, uno dei sette monaci uccisi in Algeria nel 1996. Scriveva, intuendo già la sua fine: "finalmente potrò, a Dio piacendo, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell'Islam, come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione, ristabilire la rassomiglianza, giocando con la differenza (...)".

 

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