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TESTO Salvaci, Signore, nostro Dio

don Walter Magni   Chiesa di Milano

III domenica di Quaresima (Anno A) (19/03/2017)

Vangelo: Gv 8,31-59 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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31Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Tanto era sciolto e carico di vita il dialogo tra Gesù e la donna Samaritana domenica scorsa, quanto pesante, carco di presentimenti di morte, è il dialogo tra Gesù e un gruppo di Giudei che ci racconta il Vangelo di oggi. Stando al racconto di Giovanni, questi Giudei "avevano creduto in lui". Avevano, cioè, cominciato a dar credito al rabbino Gesù. Manifestando un sincero interesse nei Suoi confronti.

Sospetto e trama nei confronti di Gesù
Il contesto ci dice che non erano giorni facili per Gesù. Si sentiva spiato e controllato. Aveva aperto ai giudei una strada nuova, dando inizio a un movimento spirituale che stava suscitando tante domande e diverse reazioni. Giovanni annotava che "quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto. I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: ‘Dov'è quel tale?'. E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano: ‘È buono!'. Altri invece dicevano: ‘No, inganna la gente!'. Nessuno però parlava di lui in pubblico, per paura dei Giudei" (7,10 13). Addirittura i capi dei Giudei volevano arrestarLo: "ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora" (7,30). La domanda allora è questa: sin dove ci si può opporre a Gesù da dentro una religione? Come è possibile che una prospettiva religiosa possa desiderare di annientare Gesù in ragione di quello che dice e che fa? È possibile che ancora serpeggino certe malattie dentro una prospettiva religiosa in grado di misconoscere, respingere un uomo, sino a desiderare di annientarlo per il bene del popolo? Risuonano pesanti e dure le parole del sommo sacerdote Caifa durante la seduta del Sinedrio che delibererà definitivamente la morte di Gesù: "Voi non capite nulla, e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione" (Gv 11,49-50). Di fatto, al termine della discussione del Vangelo odierno, si dice che "raccolsero delle pietre, per gettarle su di lui", ma Gesù "si nascose e uscì dal tempio". Ma noi sappiamo che fu solo una morte rimandata.

Lo spaesamento di Abramo
Per cercare di capire le ragioni di questo atteggiamento di morte nei confronti di Gesù, proviamo a considerare due atteggiamenti opposti: quello della immobilità e quello del camminare, ravvisando proprio nella immobilità il segno evidente della fine e della morte. Ad esempio, una prima immobilità di questi giudei che dialogano con Gesù starebbe nel nascondersi dietro la propria identità religiosa. Dietro la logica dell'appartenenza. Sino a sbandierarla: "Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno"; "Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?". Vale la pena riandare anche noi ad Abramo. Che cosa rivendicano propriamente questi giudei? Il fatto di sentirsi discendenti di Abramo, di derivare da lui. Ma, una volta affermata questa appartenenza, questi giudei si assestano dentro questo orizzonte, codificandolo e definendolo, senza trarne tutte le conseguenze. Perché Abramo non era certo l'uomo della immobilità. Non era certo il padre dell'immobilismo religioso. Anzi. Proprio il suo impatto con il Dio unico e creatore lo obbliga a mettersi in cammino, rompendo ogni appartenenza, anche religiosa: "Vattene dalla tua terra / dalla tua parentela / e dalla casa di tuo padre / verso la terra che io ti indicherò. / Farò di te una grande nazione / e ti benedirò" (Gen 12,1-2). Perché mai Abramo avrebbe dovuto passare da una vita in cui ciò che hai lo vedi e lo tieni stretto, a una vita in cui ciò che avrai è solo una promessa? Sino a vivere giorni in cui la promessa tarda a realizzarsi! Ma Abramo accetta di andare, di partire. Fidandosi di una parola. Come un innamorato ammaliato dal profumo dell'amata. Sperimentando la libertà di andare verso una terra promessa, dove il sogno è la realtà.

"Se rimanete nella mia parola"
Gesù irrita a morte questi giudei perché chiede loro di passare dalla rigidezza della loro appartenenza religiosa a una relazione liberante. Nella prospettiva di un rapporto che sta sconvolgendo i loro schemi religiosi. Dice loro, infatti: "Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". Come dicesse: dove vi potrete realizzare veramente? Dove sperimentare l'ebbrezza della libertà? Fidandovi di me. Come aveva detto alla Samaritana: Potrete assaporare la freschezza di un'acqua viva che vi disseta; il soffio di uno Spirito che accarezzandovi il volto, vi darà speranza, vi farà sognare di nuovo.
Cos'è la nostra appartenenza religiosa? Un avvitamento su noi stessi, una scaramanzia sul presente dal quale difenderci o una fede che ci rimette continuamente in cammino ogni giorno come Abramo, confidando in ciò che ancora non vediamo? Quei Giudei che discutevano con Gesù giocano in difesa, rimanendo impermeabili al nuovo. Sino a nascondersi in modo ossessivo dietro quel noi: "noi siamo discendenza di Abramo (...). Noi non siamo nati da prostituzione (...). Noi abbiamo Dio per Padre". All'opposto, Abramo era l'uomo degli spazi aperti, dello sguardo puntato al cielo: "Poi Dio lo condusse fuori e gli disse: ‘Guarda il cielo e conta le stelle se le puoi contare'. E soggiunse: ‘Tale sarà la tua discendenza'" (Gn 15,5). Quelli barricati nel tempio e Abramo fuori, a guardare le stelle! Diventando così benedizione per la terra intera: "In te saranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gn 12,3). E così Abramo, contemplando le stelle, giunge a vedere Gesù: "Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia".

 

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