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TESTO Esultate, o giusti, nel Signore

don Walter Magni   Chiesa di Milano

V domenica dopo Epifania (anno A) (05/02/2017)

Vangelo: Gv 4,46-54 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 4,46-54

46Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. 47Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. 48Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». 49Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». 50Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. 51Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». 52Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». 53Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. 54Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

I Vangeli del tempo dopo l'Epifania raccontano i grandi segni compiuti da Gesù. A conclusione dell'episodio odierno si dice: "questo fu il secondo segno, che Gesù fece", tenendo conto dei sette segni che articolano il Vangelo di Giovanni. A Cana Gesù aveva trasformato l'acqua in vino e da Cana guarisce un bambino che si trova a Cafarnao.

"Suo figlio (...) stava per morire"
Dunque, "vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire". Cana si trova in collina, Cafarnao in riva al lago. Quest'uomo non invia un'ambasciata. Raggiunge personalmente Gesù. Suo figlio sta morendo: non gli resta che raggiungere in fretta il guaritore più rinomato della zona. Guidato da un istinto paterno corre là dove un barlume di speranza si potrebbe dischiudere ancora per suo figlio. Gli potrebbe bastare un rimedio, anche una magia, che allontani un poco la morsa insopportabile della malattia mortale di suo figlio.
Non è facile stare davanti al dramma di un genitore che ha un figlio morente. L'avevi messo al mondo perché andasse vivo incontro al futuro e invece ti sta morendo tra le braccia. Un padre diceva, parlando di sua figlia in fin di vita: "se perdi un genitore sei orfano, se muore la moglie sei vedovo, ma se perdi un figlio un termine adeguato non c'è". Non ci sono parole perché la morte di un bambino è assurda comunque. "Per i genitori, sopravvivere ai propri figli è qualcosa che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa. La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro. La morte, che si porta via il figlio piccolo o giovane, è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d'amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere" (papa Francesco, 17 giugno 2015).

"Signore, scendi..."
Gesù non risponde a quell'uomo, ma rivolgendoSi a chi Lo stava a guardare, afferma: "Se non vedete segni e prodigi, voi non credete". Mentre siamo continuamente alla ricerca del sensazionale e del prodigioso, Gesù vuole regalarci la fede. Noi cerchiamo semplicemente qualcosa che possa rompere la monotonia dello scorrere lento della vita, Lui vuole donarSi a noi, regalarSi, chiedendoci di cominciare a guardarLo in faccia. PrendendoLo sul serio. Per quello che è. A credere in Lui. Per questo riempie la nostra esistenza di segni che portano a Lui, che segnalano Lui. Come potessimo esclamare ancora: "chi è dunque costui al quale anche il vento e il mare obbediscono?" (Mc 4,41).
Quel padre in quel momento non sente che il suo dolore, e osa ripetere il suo invito a Gesù: "Signore, scendi prima che il mio bambino muoia". "Scendi". Quante volte abbiamo desiderato che Dio scendesse dentro le nostre miserie, i nostri problemi, le nostre ansie e le nostre paure di morte. Lui che pure è già disceso in mezzo a noi, prendendo dimora tra noi. Altro però è il Suo discendere e altro è il nostro salire verso di Lui. E ciò che importa è l'incontro. L'incontro tra il dono della vita del Figlio di Dio e il desiderio di vita di un padre per suo figlio morente. E là dove qualcuno soffre, là dove si piange e si muore, Dio c'è. Non ci ha mai abbandonato. Abbiamo certo il diritto di alzare un grido: "Dov'era Dio in quei giorni? Perché egli ha taciuto?" (Benedetto XVI ad Auschwitz, maggio 2006), ma anche l'opportunità di riconoscere che anch'Egli non si è sottratto al dolore e alla morte.

‘Va', tuo figlio vive'".
Perché Gesù non è sceso dalla croce e non ha mai ceduto al gioco del miracolo a buon mercato, del miracolismo che si adatta all'emozione del momento. Pronuncia parole dirette, ci regala parole di fede: "Va', tuo figlio vive". E qui si tratta di andare. Di fidarsi, di affidarsi a Lui che ti dice: "Va', tuo figlio vive". Qui non ci sono spiegazioni, teologie più o meno convincenti. Quando la situazione è estrema, è al limite, non contano le parole e le procedure. O ti fidi o ti disperi. Quel padre sceglie la strada dell'affidamento incondizionato: "quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino". Come se in quel momento avesse ritrovato la forza di recitare le parole del salmo: "hai mutato il mio lamento in danza (...). Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato" (sl 29). O cerchi il tuo dolore e continui a scavare dentro di te alla ricerca di una spiegazione inesistente, o ti affidi alla Sua Parola. Solo così ritrova suo figlio, rivede suo figlio in vita. Nell'orizzonte di un affidamento accordato. Di un ascolto concretizzato.
"Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: ‘Tuo figlio vive!'. (...). Il padre riconobbe che proprio a quell'ora Gesù gli aveva detto: ‘tuo figlio vive', e credette lui con tutta la sua famiglia". "Tuo figlio vive": quasi un ritornello che passa di bocca in bocca. Come un Vangelo, una buona notizia, che ancora risuona. Nella certezza che nell'ora nella quale Gesù per primo ha detto: "tuo figlio vive", non solo quel ragazzo rivive, ma a tutti è dato un sussulto di vita. Di vita vera in Lui che la vita ce l'ha donata per sempre. A piene mani, senza nulla trattenere per Sé.

 

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