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TESTO La casa del vino nuovo

don Angelo Casati  

II domenica dopo Epifania (anno A) (15/01/2017)

Vangelo: Gv 2,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Siamo ancora nell'orizzonte delle manifestazioni di Gesù. Oggi si manifesta a Cana di Galilea in un giorno di nozze. Il brano di Giovani oggi chiude con queste parole: "Questo a Cana di Galilea fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui".

"Manifestò la sua gloria", ma i fatti si succedono in modo diverso da come noi avremmo immaginato. Noi avremmo immaginato uno sbigottimento generale degli invitati, il banchetto che si si interrompe e tutti, adoranti, con gli occhi rapiti in colui che ha mutato l'acqua in vino. Al contrario c'è molta segretezza nel racconto, un parlottare sottovoce della madre con il figlio, un invito del figlio a pochi servitori, il vino nuovo va in tavola, nessuno sbandieramento. E non sarà - me lo chiedo - che il bene va fatto così? Senza che la mano destra sappia che cosa fa la mano sinistra?

Più grandioso - mi dicevo - il contesto in cui Dio si manifesta a Kades, nel deserto, dove si erano accampati gli israeliti, dove avevano protestato con veemenza contro Mosè e Aronne, per la mancanza d'acqua nel deserto: "La gloria del Signore apparve a loro" è scritto. Ma la gloria in questo caso si manifesta con una convocazione di tutta la comunità davanti alla roccia. E le parole suonano potenti: "Ascoltate, o ribelli, vi faremo noi forse uscire acqua da questa roccia?" Mosè bussò con il bastone, ci fu un attimo di esitazione nella sua mano. Ma l'acqua sgorgò. Dio dimostrò la sua santità dando acqua da dura roccia al suo popolo.

Più vistosa la manifestazione alle acque di Meriba; più silenziosa, quasi nascosta al banchetto di Cana in Galilea. Nemmeno il direttore del banchetto ne è consapevole. Un segno dentro un bisbiglio, starei per dire. Dentro un parlottare sottovoce tra la madre, il figlio e i servi, sovrastato - lo possiamo immaginare - dal vociare, se non dai canti, di un banchetto di matrimonio, in un piccolo villaggio, dove i matrimoni erano un rarità e dove le feste per matrimoni avevano così la ragione di durare per giorni.

Non so se si può dire che ora i segni, i segni del Messia, non sono urlati. Quasi non dovesse attrarre la spettacolarità del segno, ma altro, l'anima del segno. E non è forse vero che spesso Gesù nei vangeli, dopo aver compiuto un miracolo, comanda di non dirlo a nessuno? C'è pericolo. Pericolo di falsa interpretazione.

Il segno di Cana certamente allude alla venuta del Messia, una venuta che potremmo raccontare con l'immagine del matrimonio, come se fosse segno di un Dio che sposa la terra, segno di un Dio innamorato di questa umanità, di questa terra. Di noi.

Era ricordato nelle scritture sacre che alla venuta del Messia ci sarebbe stato vino per tutti.

Sottolineo "per tutti". E mi piace sottolinearlo in questa giornata che la chiesa dedica ai migranti. Segno della venuta del Messia - voi mi capite - è il vino per tutti, la festa per tutti, una vita, veramente degna di questo nome, per tutti.

E da dove si parte? Da una donna. La madre di Gesù. Da una donna che si accorge: le donne hanno più attenzione per i dettagli, che non sono poi dettagli. Perché una festa senza vino che festa è? Sarebbe diventata una vergogna per gli sposi, che forse erano poveri, o forse non avevano fatto bene i conti, o erano venuti meno nell'organizzazione.

"Non hanno vino" così la madre, quasi sottovoce al figlio, lei che aveva sensibilità, lei che aveva occhi per i bisogni degli altri. Era tenera. Quanti le avrebbero detto: "Perché te ne impicci? Roba loro! Se la sono voluti loro. Dovevano invitarne meno, dovevano pensarci prima". Non sono forse le cose che spesso diciamo anche noi? Lei no, tenera, tenera anche nelle sue parole rivolte al figlio, che non sono per nulla asfissianti. No. "Non hanno vino". Sono parole che chiedono uno sguardo, chiedono che ci si accorga, vengono da una tenerezza.

Questa madre, di cui non si dice il nome, potrebbe essere anche figura della chiesa. Una chiesa tenera, che prova tenerezza. Figura di tutti coloro cui rimane ancora un briciolo di tenerezza per i bisogni degli altri, di tutti coloro che ascoltano il gemito, di cui oggi ci parlava l'apostolo Paolo, il gemito della creazione, della terra, che è come in doglie di parto. C'è in vista qualcosa di nuovo, ma con quanta fatica, con quanto dolore, con quale travaglio! E ci vuole tenerezza, una parola che ha sdoganato questo papa venuto dalla fine del mondo, parola ricorrente nella sue parole sino a dirci: "Non abbiate paura della tenerezza", parola quasi assente nei documenti ecclesiastici del passato.

E la tenerezza della madre - lasciatemi dire - conquista per primo il figlio. Che sembra rispondere in prima battuta in modo un po' brusco. Dice alla madre che l'ora non è ancora venuta. L'ora di svelarsi per chi è e per come è. L'ora che gli attirerà l'odio di coloro che hanno il cuore duro. Di pietra come le giare che stavano vuote, vuote di acqua, all'ingresso della sala. Anticipare con un segno la sua identità avrebbe significato anticipare l'ora della morte di croce. Gesù apparentemente - dicevamo - sembra rispondere alla madre con una certa distanza, ma è come se le parole della madre lo smuovessero. Una donna, sua madre l'ha smosso, altre donne nel vangelo lo smuoveranno.

Ebbene, lei, la madre, che sembra quasi figura della chiesa, dice ai servi: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela". Era certa che suo figlio sarebbe stato il Messia della tenerezza, lo conosceva, fin nelle sue fibre più profonde, sapeva che si sarebbe fatto trasportare dalla tenerezza. Lui avrebbe lottato senza tregua contro coloro che mutavano la legge in pietra dura.

E la madre ora fa un passo indietro: d'ora in avanti sarà lui il protagonista. Lascia il posto.

Così come la chiesa deve lasciare il posto. Non tocca alla chiesa dire quello che si deve fare. La chiesa ha solo il compito, bellissimo, di dire a coloro che ne fanno parte, e possibilmente al mondo: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela". Vi dirà che il tempo è venuto, che è giunta ormai nella sua pienezza l'ora annunciata dai profeti. "Vi darò" è scritto in Ezechiele "un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne" (Ez 26,36).

Vino nuovo è un cuore nuovo, uno spirito nuovo, un cuore di carne.

 

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