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TESTO "Stessamente"

don Luciano Cantini  

Epifania del Signore (06/01/2017)

Vangelo: Mt 2,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 2,1-12

1Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

6E tu, Betlemme, terra di Giuda,

non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:

da te infatti uscirà un capo

che sarà il pastore del mio popolo, Israele».

7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Il mistero
Nelle lettere di s. Paolo, e in modo particolare in Efesini e Colossesi, troviamo l'annuncio del mistero per eccellenza. È un mistero che appartiene al Padre ma che nel Figlio viene rivelato. Il mistero rappresenta non solo qualcosa di nascosto e di indicibile (in greco muto e miope utilizzano la stessa radice verbale) quanto una sorta di confine, un limite da cui osservare una realtà altra. La "mistica" (termine appartenente allo stesso gruppo di derivati lessicali) riguarda proprio la contemplazione oltre il limite del mistero che segna il confine tra nascondimento e rivelazione, chiusura e apertura, silenzio ed esplosione della lode.

Le genti sono chiamate
Questo «mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi» (Col 1,26) ha dello strabiliante sia per il popolo ebraico che si riteneva privilegiato dalla promessa di Dio sia per le genti, tutti i popoli della terra, soprattutto coloro che avevano la percezione di essere esclusi dalla vocazione universale alla salvezza. Già i profeti annunciavano un banchetto a cui tutti i popoli sono chiamati a partecipare, un progetto di liberazione: Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti (Is 25,7). Era l'annuncio dello svelamento del mistero.
Spiace che la nostra traduzione attutisca la forza che traspare dal testo greco, molto più semplice e sintetico, affermando, infatti, che le genti sono chiamate ad essere (espressione assente nel testo greco) sembra procrastinare un fatto che Efesini, invece, testimonia come già in atto, non un progetto che si realizzerà quanto una realtà già vissuta. Anche lo spostamento della espressione in Cristo Gesù immediatamente dopo può trarre in un certo inganno rafforzando il senso della promessa (letteralmente: compartecipi della promessa in Cristo Gesù mediante il Vangelo).

A condividere la stessa eredità
Per capire cosa Paolo ci sta dicendo occorre lasciarci meravigliare da tre parole, sono: synklêronoma (coeredi), syssoma (stesso corpo, concorpo), symmetocha (compartecipi). Queste parole sono accumunate dalla particella syn (con, stesso, insieme, unito), particella che dà anche origine ad una molteplicità di parole come sinonimo, sintetico, sinodo, sinergia, ecc. Messe così una dietro l'altra si integrano e si rafforzano a vicenda, ci offrono un testo pieno di enfasi. L'oggetto della meraviglia che ancora ci lascia perplessi e incapaci di capire e accogliere è che non è la stessa eredità, o la stessa promessa le cause della formazione dello stesso corpo, ma il fatto di essere "stessamente" eredi e "stessamente" partecipi. Ci troviamo davanti ad un'affermazione sorprendente, incredibile, colma di conseguenze straordinarie.

Per mezzo del Vangelo
Questo dobbiamo credere e questo, come cristiani - santi e profeti - dovremmo essere capaci di annunziare. Non si tratta di abbattimento di muri o di frontiere quanto superare ogni logica di divisione, capire ciò che è nel pensiero di Dio fin dalla creazione così meravigliosamente raccontato in Genesi: Adamà, primo creato, è segno di unità del genere umano e precede ogni divisione anche quella tra uomo e donna, perché che ogni divisione è orientata all'unità: Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne (Gn 2,24).
Dobbiamo anche credere alla forza dell'Annuncio del Vangelo: annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! (1Cor 9,16). Non è sufficiente credere, bisogna lasciarsi conquistare dalla gioia del Vangelo perché ci dia la forza della testimonianza e dell'annuncio.
La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento (EG1).
Bisogna lasciarsi afferrare da questa Buona Notizia intrisa di misericordia, riconoscersi tutti figli dello stesso Padre, avere il piacere della riconciliazione, il desiderio di unificare ciò che pare radicalmente diviso, occorre convertirci l'uno all'altro. Solo eliminando le divisioni raggiungeremo quella pace che il Signore ha donato il giorno di Pasqua su cui fonda il suo Regno.

 

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