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TESTO In verità vi dico

don Fulvio Bertellini

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XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (24/11/2002)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 25,31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Cristo nel povero

Cristo, il re dell'universo, ha bisogno di noi. E' il messaggio paradossale del brano evangelico di questa festea, che chiude l'anno liturgico. Anzi, Cristo si fa presente nel povero, in chi ha bisogno di noi; e il giudizio finale riguarderà proprio l'amore fattivo e operoso verso chi ha fame, chi ha sete, chi è nudo, chi è forestiero, chi è malato, chi è incarcerato... la semplicità di queste parole può essere facilmente fraintesa, ma va mantenuta nella sua forza devastante, che abbatte i nostri pregiudizi e le barriere protettive che costruiamo attorno alla nostra vita comoda.

Il povero nostro fratello

Come già altre volte si è detto, il primo aspetto che va colto nel comando dell'amore, e in questo caso dell'amore al povero, è la sua dimensione ecclesiale. "Uno di questi miei fratelli più piccoli": Gesù parla innanzitutto dei poveri all'interno della comunità cristiana, e i suoi fratelli sono innanzitutto i fratelli di fede, come nel discorso missionario al capitolo 10 (chi avrà dato anche solo un bicchier d'acqua a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo...) e nel discorso comunitario al capitolo 18: "Chi accoglie uno di questi piccoli nel mio nome, accoglie me...". Il piccolo, il povero da accogliere, è quindi in prima istanza il fratello nella fede. Sembra un discorso limitativo, in realtà è molto più difficile, scomodo e inquietante. Ci sono milioni di poveri nel mondo: ma che ci possiamo fare? Le nostre risorse ci appariranno indubbiamente sproporzionate e insufficienti. L'impresa è troppo difficile, per cui non si comincia neppure.

Qua, vicino a noi

Partiamo invece col dire: ci sono qui, nella mia città, uomini e donne cristiani che sono nel bisogno, e nessuno li aiuta. Battezzati come me, credono in Cristo come me, forse frequentano la mia stessa Chiesa, la stessa Eucaristia. Sono persone anziane sole, che non hanno nessuno che le va a trovare; uomini e donne senza lavoro, o con un lavoro precario; persone truffate e raggirate, spesso sotto l'apparenza della giustizia e della correttezza economica; famiglie devastate dalla malattia del padre, o della madre, o di uno dei figli; famiglie devastate dall'incomprensione o dal tradimento; persone con malattie mentali, misconosciute dai servizi sociali e poco appetite dal giro del volontariato autocompiacente. Per evitare di citare i casi più eclatanti di poveri in canna, ubriaconi, mendicanti, ormai sempre più rari. Cristo è presente in tutti loro, e non chiede soltanto elemosina, e neppure si accontenta di qualche ora di volontariato (che pure è lodevole e importante). Il Cristo povero nei poveri chiede di essere accolto in una comunità di fratelli, non solo da qualche eroica testa calda, come Madre Teresa o don Mazzi o dal centro Caritas, o chi per loro.

Un centro di irradiazione

Questo discorso non è una chiusura; non vuole distogliere l'attenzione dai problemi della povertà in generale; non vuole dire che non dobbiamo accogliere gli immigrati musulmani, o chiedere la tessera religiosa prima di fare la carità. Non si tratta di delimitare confini, ma di individuare un centro di irraggiamento. Questo centro è il Cristo, e intorno a lui è la comunità dei suoi discepoli. Da questo centro l'amore di Dio raggiunge tutti i poveri e tutti gli uomini, ma solo passando per la mediazione della Chiesa. C'è indubbiamente chi ama il prossimo per pura filantropia, senza una fede religiosa, o anche contro una fede religiosa, e ciò mi rallegra assai. Anche senza saperlo, costui ama Cristo nel povero (e anche se non lo ammette, può farlo oggi, nel 2000, perché i discepoli di Cristo hanno tramandato il suo Vangelo e hanno creato un ambiente favorevole a certi valori. Nell'impero romano solo pochi spiriti eletti credevano all'amore universale. Solo la predicazione cristiana, questo messaggio si è esteso, di fatto, a tutto il mondo, e ha potuto oggi essere secolarizzato). Noi amiamo il prossimo per la nostra fede. Può essere che il nostro amore sia meno puro, o meno forte: in ogni caso è questa la nostra vocazione: amare per fede, amare con consapevolezza.

Credibilità nel vivere l'amore

Il problema è che spesso resta solo un messaggio, e questa è la ragione di molte critiche alla Chiesa e ai cristiani. Ma la prima critica ci viene dal Vangelo stesso: Gesù, con la parabola del re-pastore, che giudica il suo gregge, ci anticipa i criteri del giudizio. L'effetto-sorpresa che riguarda i giusti, non dovrebbe riguardare noi, che sappiamo molto di più dei giusti della parabola. Gesù ci apre una finestra sul futuro, e vuole che sappiamo che il giudizio riguarda l'amore. L'amore all'interno della comunità, che si irraggia a tutti gli uomini, e fa comprendere la bellezza dell'amore di Dio. La carità finora è stata confinata nel privato, o riservata a pochi eletti, i grandi santi della carità. Come se il fuoco acceso da Cristo si fosse raffreddato, e solo qualche scintilla impazzita riesce di tanto in tanto a ravvivarlo e a saltare all'esterno.

La sfida che oggi questo Vangelo propone è dunque vivere una carità consapevole, personale, in un ambito di comunità. Anche in forme associative, anche in forme politiche. Una carità credibile comporta certamente uno slancio personale, l'adesione a forme di volontariato, la spontaneità e l'immediatezza. Ma comporta anche la consapevolezza dei problemi, la capacità di progettare, la capacità di coinvolgere, la capacità di fare giustizia, senza limitarsi all'elemosina. E quindi, anche una certa capacità di fare politica. O il Cristo potrebbe dirci: aspettavo onestà e giustizia; chiedevo che fossero applicate le leggi a mio favore - e voi siete stati ingiusti e disonesti, e le leggi che c'erano non le avete applicate... e dove andremo a finire?


Flash sulla I lettura

Il brano è la parte centra le del capitolo 34, dedicato ai pastori - ovvero i capi corrotti del popolo di Israele: il re, i sacerdoti, i profeti, i capi militari e i giudici. Tutti sono venuti meno al loro compito, determinando il fallimento del popolo. Per cui si annuncia che verrà il giorno in cui Dio stesso si prenderà cura in prima persona del suo popolo, per riportare in esso la pace e la giustizia. La lettura è formata appunto dalla sezione in cui comincia la svolta decisiva: "Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura...". La profezia di Ezechiele è riecheggiata più volte nel Nuovo Testamento: nella parabola della pecora perduta, nella parabola del giudizio finale, nel discorso del buon pastore del Vangelo di Giovanni: si tratta quindi di un testo decisivo per comprendere in che modo Gesù è il Messia, che ha già cominciato a realizzare le promesse di Dio. In lui è Dio stesso che si prende cura degli uomini; in Gesù Dio stesso va in cerca dei peccatori, e raggiunge ogni uomo che si è allontanato da lui. In Gesù Dio si prende cura degli uomini, guarisce le loro ferite e malattie. Mentre rileggiamo la profezia in questa festa di Cristo Re, dobbiamo quindi essere attenti a vederla già realizzata in Cristo, anche se in attesa del compimento definitivo. E anche il giudizio è già cominciato: sono le nostre scelte che già fin d'ora ci collocano tra le pecore o tra i capri. Solo chi assume verso il gregge di Dio lo stesso atteggiamento di amore e comprensione del Buon Pastore, rimane nella parte buona del gregge, che a noi non è concesso di giudicare, ma solo di servire.


Flash sulla II lettura

"Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti": qui appare chiarissimamente che all'origine del pensiero cristiano sulle cose ultime sta l'evento, tutto particolare, della risurrezione di Gesù, più ancora di una rivelazione specifica su quello che accadrà alla fine. La risurrezione ricapitola il passato (per cui viene riletto alla sua luce tutto l'Antico Testamento) e anticipa il futuro: tutti infatti parteciperemo della potenza redentrice di Gesù, che ha strappato lui dalla morte per farlo sedere alla destra del Padre.

Paolo sviluppa coerentemente l'intuizione di fondo: a partire da Gesù, la forza della risurrezione viene estesa a tutti gli uomini, cominciando dai credenti, fino a che tutta la creazione sia redenta, e i nemici sconfitti. "Bisogna infatti che egli regni, finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi": il Regno di Dio è dunque il progredire della storia, in cui viene progressivamente vinta la resistenza all'amore redentivo di Gesù. E il processo è lungo, perché appunto procede attraverso la forza debole dell'amore. Debole, ma destinata a vincere: il brano si chiude con la contemplazione della vittoria finale, il momento in cui "Dio sarà tutto in tutti".

 

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