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TESTO Commento su Matteo 25,31-46

don Michele Cerutti

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Domenica di Cristo Re (Anno C) (06/11/2016)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 25,31-46

31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Con la domenica di Cristo Re si conclude un anno liturgico e ormai siamo prossimi alla chiusura dell'anno giubilare della misericordia. E‘ una domenica particolarmente difficile da comprendere.
Gesù non è venuto per comandare ma per servire e la sua morte in Croce è la dimostrazione alta del suo servizio. Ci è difficile comprendere un Gesù che è Re. Il Re è poi difficile da comprendere nella nostra società dove le figure di sovrani si associano a uomini e donne che hanno esercitato il loro potere fino all'esasperazione per i popoli.
Parlando di Gesù Re vogliamo significare che Egli è il centro della nostra vita di credenti. Anche se magari presi da tante cose e Gesù lo mettiamo all'ultimo posto con questa festa vogliamo dirgli che tendiamo sempre di più a metterlo al centro della nostra esistenza. Non dobbiamo aver paura se ancora è negli ultimi posti egli sa acquistare le sue posizioni e vince tanti nostri timori.
La Parola di Dio appena proclamata e in particolare il brano del Vangelo ci mette particolarmente in difficoltà ogni qualvolta lo meditiamo. Gesù è ormai prossimo al giudizio che lo porterà alla morte. Egli è consapevole che il disegno del Padre si sta per compiere e non sarà certamente una passeggiata. Per questo motivo in questo capitolo 25 Matteo espone i discorsi escatologici di Gesù, ovvero i discorsi sulle realtà ultime. In un primo discorso egli ci esorta a far in maniera tale che i nostri talenti non siano sotterrati ma messi a disposizione dei nostri fratelli. In un secondo discorso egli ci esorta alla dimensione della vigilanza ovvero a tenere accese le lampade. Tenere accese le lampade perché quando lo Sposo arriva non ci trovi impreparati.
Nel discorso di oggi si sintetizza il tutto con la dimensione del giudizio. Mettere a disposizione i talenti a favore dei nostri fratelli nella necessità e tenere accese le lampade diventa un imperativo perché saremo anche giudicati. Il giudizio non si limiterà a sapere quanti rosari abbiamo recitato, le lodi, vespri, compiete sono stati recitati in maniera perfetta, a quante messe abbiamo partecipato. Non voglio sminuirne l'importanza. La nostra vita di preghiera è una lampada che va alimentata, ma per renderci attenti alle necessità dei fratelli.
I santi della Carità, come don Guanella, ci insegnano proprio questo. Essi vivevono la loro vita spirituale per essere caricati e andare ai fratelli e scorgere in loro le necessità. Le loro grandi opere che oggi tocchiamo con mano nascono dalla loro preghiera e si alimentano per la preghiera di tutti quei religiosi e religiose che vi prestano la loro opera. Allora queste opere sono veramente realtà di misericordia e doni della Provvidenza.
Noi saremo giudicati in particolare sull'amore.
San Giovanni della Croce diceva così: "Alla fine della vita saremo giudicati sulla carità". Non una carità astratta, ma concreta. Gesù presenta in questo brano i piccoli gesti sui quali saremo giudicati: dare da bere all'assetato, dare da mangiare all'affamato, vestire l'ignudo, visitare i carcerati, ospitare il forestiero, visitare i malati. C'è chi potrebbe pensare a programmi di vita impegnativi. No, non c'è richiesto di andare in luoghi lontani. L'ammalato, l'affamato, l'ignudo e il forestiero possono essere nella nostra Comunità dove viviamo. Possono vivere anche nella realtà della nostra famiglia. Certo la difficoltà sta nel fatto che non siamo allenati a essere attenti ai fratelli in difficoltà che vivono vicino a noi.
I santi della Carità hanno alimentato questa loro sensibilità molto spesso già da bambini vivendo in famiglie che erano attenti ai bisognosi che bussavano le porte delle loro case. Diventa più difficile donarsi al fratello proprio perché rischiamo di chiuderci in noi stessi.
Un capitolo particolarmente significativo si apre con la esortazione di Gesù nei confronti dei forestieri. Questo invito è sicuramente di attualità stringente. La nostra Italia si trova davanti alla sfida dell'accoglienza di profughi che giungono dai paesi poveri della terra. Il cristiano non può accettare i toni accesi nei confronti dei migranti. Giudizi così sprezzanti che si diffondono in rete e tra la gente che ci dovrebbe interpellare. Siamo i primi a lamentarci perché il crocifisso venga rispettato come simbolo e questo è giusto. La Croce esprime la nostra fede. Ci lamentiamo perché vogliamo il rispetto del presepe e anche questo è doveroso. Questo rispetto per la Croce e per il presepe dovrebbero portarci al rispetto per i tanti crocifissi che attraversano il Mediteraneo e attraccano nei nostri porti o per i tanti poveri che vivono nelle grandi stazioni. Ogni barcone che vediamo al telegiornale dovremmo vedere Gesù che ci chiede cosa fai per me?
Chiediamo proprio questo a conclusione di questo anno giubilare che ci ha fatto riflettere sulla dimensione della misericordia un cuore che ci stimola ad aprirci nei confronti di coloro che sono nella storia un po' di passi indietro e essere noi quelli capaci di arrestare la nostra andatura per venire incontro a loro.

 

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