TESTO Il mandato missionario
don Walter Magni Chiesa di Milano
I domenica dopo la Dedicazione (Anno C) (23/10/2016)
Vangelo: Mt 28,16-20
16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Siamo quasi al termine dell'anno liturgico e in questa domenica, detta del mandato missionario, la Chiesa è invitata a riflettere sul significato della missione, della sua missione nel mondo. Cercare di capire cos'è oggi la missione significa raggiungere il cuore della Chiesa. Il motivo per il quale la Chiesa esiste e resiste. S'affatica e cerca nuove vie per annunciare il Vangelo, percorsi di evangelizzazione per le strade del mondo nel quale si trova.
Gesù Risorto, radice della missione
L'episodio evangelico di oggi narra del mandato missionario di Gesù Risorto ai Suoi. Come se l'invio di Gesù non fosse che la continuazione del mandato che Lui stesso aveva ricevuto: "andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato". Come se la missione non potesse andare oltre Gesù. Anche l'invito, dolce e convincente della Lettera agli Ebrei, a "tenere lo sguardo fisso su Gesù" (Eb 12,2) ci aiuta a ritornare alla sorgente. Per rinfrescare e rigenerare il senso ultimo dell'annuncio che investe le nostre comunità. E la capacità di centrare questo annuncio sulla figura stessa del Signore morto e risorto è il miglior antidoto contro tutte le tentazioni o malattie della Chiesa di sempre. L'efficientismo imprenditoriale di certa missionarietà ecclesiastica, da un lato, e la pigra acquiescienza di tante nostre comunità, dall'altro. Più si tiene fisso lo sguardo su Gesù e più siamo introdotti a un vero equilibrio dello Spirito. Più contempli il Suo volto e più ti prende la Sua inquietudine e passione d'amore: "sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso" (Lc 12,49). Gli stessi verbi del Suo mandato: andare, fare discepoli, battezzare, insegnare e osservare, non possono essere solo codificati in alcune precise azioni ecclesiastiche, ma vanno continuamente temprati al fuoco dello Spirito di Gesù, che come il vento soffia dove vuole.
"In Galilea, sul monte che (...) aveva loro indicato"
Ma un altro dato evangelico va raccolto. Si dice, infatti, che "gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che il Signore Gesù aveva loro indicato". L'ambientazione del mandato di Gesù anzitutto in Galilea è di sorprendente attualità. È innegabile riconoscere, infatti, che anche le nostre comunità stanno diventando sempre più una Galilea dei popoli, delle genti. Un caleidoscopio di etnie, di culture e di religioni. L'Italia addirittura sembra ormai come un vero e proprio ponte naturale, gettato nel Mediterraneo. Ed è come se su questo ponte già stiano passando, e ancor più siano destinate a passare, infinite storie, cariche di umanità e di ricchezza spirituale. Questo è un segno tangibile dello Spirito che non possiamo ignorare all'inizio del Terzo Millennio. Il fatto, cioè, che la spinta missionaria non è più solo ad gentes, ma è anche infra gentes. Nel senso che la missione è sempre più qui. Nel pluralismo culturale e religioso che ci avvolge e ci prende da tutte le parti, sin dentro le nostre case. Come non fosse più tempo per le nostre chiese di piangersi addosso, lamentandosi in modo sterile di un passato che non ritorna. Sentendosi piuttosto chiamate con urgenza a raccogliere la voce di tanta gente che, camminando nelle tenebre resta in attesa di una grande luce (Is 9,1). Sta per suonare per tutti l'ora di una chiamata, di un mandato che non può più essere rimandato. La Galilea delle genti, che il nostro Paese sta diventando, ha bisogno di cristiani dalla fede più matura e di comunità cristiane che più non temono l'incontro e il confronto, l'ascolto e il dialogo con chi ti sta accanto.
"Essi però dubitarono"
E c'è ancora spazio per le nostre domande e per tutte le nostre perplessità. Un'espressione del Vangelo odierno potrebbe colpirci ancora, quasi fosse una sorta di contraddizione: "quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono". Per un verso, i discepoli riconoscono il loro Signore, per un altro, però, nel loro cuore il dubbio persiste: "essi però dubitarono". Qui si colloca un dato che sembra aver trovato un ampio spazio nel nostro Occidente. Il gusto, talvolta esasperato, della critica e della domanda. Anche nella Chiesa che si trova continuamente provocata a mettere in atto un difficile discernimento del tempo presente. Sempre alla ricerca di segni, di segni dei tempi capaci di ridare speranza al mondo. Persino finiamo per essere incerti sulle stesse forme dell'identità cristiana. Intuendo che in Occidente il cristianesimo è più spesso di convenzione che di convinzione, mentre il pluralismo culturale e religioso ci pone con urgenza delle domande: c'è ancora spazio per la nostra fede in un mondo attraversato dall'indifferenza? Come concretamente le nostre comunità cristiane si alimentano della centralità della Pasqua? Attenersi ancora oggi all'orizzonte della missione significa stare dentro un esercizio di ritorno all'essenzialità che di fatto coincide con il ritorno al centro, alla relazione viva, personale e diretta con Gesù Risorto. Sapendo distinguere tra ciò che appartiene al cuore della fede e ciò che ci consegna la storia, come qualcosa che chiede continuamente d'essere ripensato, purificato e rivissuto in termini di fedeltà e di creatività. Gesù Risorto ci accompagni in questo cammino, lungo le strade di una storia ancora avvincente e affascinante.