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TESTO Rendete grazie al Signore, il suo amore è per sempre

don Walter Magni  

Dedicazione del Duomo di Milano (Anno C) (16/10/2016)

Vangelo: Lc 6,43-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 6,43-48

43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.

Con la solennità della Dedicazione del Duomo, il Tempo dopo Pentecoste percorre l'ultimo tratto dell'anno liturgico e il titolo liturgico di questa domenica fissa la sua attenzione sulla bella architettura del nostro Duomo, della nostra Chiesa cattedrale, immagine della bellezza del popolo di Dio che si raduna nel giorno del Signore. Anche il Vangelo ci aiuta con alcune immagini ad approfondire il significato del nostro essere nella chiesa, del nostro essere chiesa.

L'albero e i frutti
Possiamo anzitutto paragonare la realtà di chiesa a un grande albero che produce dei frutti. Frutti che possono essere buoni o cattivi: "Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo". Come produrre frutti buoni, in un mondo che, anche a riguardo della chiesa, non si è fermato nel pubblicizzare tanti suoi peccati, anche gravi? Dobbiamo tornare a convincerci che la chiesa non vive per se stessa, come una istituzione a sé, ma se ancora produce frutti buoni è perché è innestata sull'albero della misericordia di Dio, l'albero della croce di Gesù Cristo. Solo così è possibile produrre i frutti dello Spirito descritti da Paolo: "Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22). Ma perché questo innesto non muoia per soffocamento è urgente che si spalanchino le finestre delle nostre chiese. C'è bisogno di aria nuova, di aria fresca per i nostri gruppi e le nostre tante associazioni. Evitando di rimpiangere un passato rigoglioso, ma inevitabilmente passato. Non vanno certo sovvertite le radici, con la profondità che la tradizione rappresenta, ma molti rami vanno curati e potati se necessario, se vogliamo che continuino a dare frutti di stagione. Quando nelle nostre chiese la smetteremo di guardarci addosso, contandoci le ferite e lamentandoci senza fine? La malattia più pesante della Chiesa del nostro tempo è l'autoreferenzialità, la chiusura su se stessa, incapace di vedere la bellezza di nuovi sbocchi per il Vangelo. Una chiesa malata non può dare frutti: "La Chiesa deve uscire da se stessa verso le periferie esistenziali. Quando la Chiesa diventa chiusa si ammala" (papa Francesco).

Bocca e cuore
Un'altra immagine che ci regala il Vangelo odierno evidenzia il rapporto tra bocca e cuore: "L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda". La misura qualitativa delle molte parole che escono dalla bocca della chiesa è data dalla profondità del cuore che la abita. Quante parole nella nostra predicazione, nelle catechesi, nei documenti e dai programmi che produciamo. È urgente riattingere tutto alla sorgente, riandando con pazienza alla radice delle nostre parole mettendole a confronto, serio e provato, con la Parola che in principio è stata pronunciata. Il rischio del vaniloquio ecclesiastico è sempre in agguato, soprattutto nella misura in cui non trasmettono e non producono l'azione santificante e misericordiosa di Gesù Salvatore. Dobbiamo rimanere legati in modo sempre più intenso a Gesù. Dobbiamo far sì che nelle nostre chiese risuonino le Sue parole, l'inflessione convincente della Sua voce, il tono caldo e affettuoso del Suo modo di parlare. Come in un corpo è importante che passi la linfa vitale perché viva, così dobbiamo permettere che Gesù operi in noi, che la sua Parola risuoni, che la sua presenza eucaristica ci nutra. La chiesa - "Mater et magistra", diceva Giovanni XXIII, "non è chiamata anzitutto a essere esperta di tutto, ma a parlare a tutti trasmettendo dal profondo del suo cuore la misericordia amante del Suo Signore". "Penso che tutti possiamo migliorare un po' su questo aspetto: diventare tutti più ascoltatori della Parola di Dio, per essere meno ricchi di nostre parole e più ricchi delle sue Parole" (papa Francesco).

La casa sulla roccia
La terza immagine evangelica descrive la solidità di una casa costruita sulla roccia: "...simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene". Rapportata alla realtà della Chiesa, l'immagine di una casa fondata sulla roccia ci avrebbe dovuti portare a considerare anzitutto la solidità e la resistenza della sua collocazione, del suo fondamento. Invece ci siamo abituati a nasconderci dietro l'immagine di una chiesa forte e potente. Come anche Pietro ci ha ripetuto, si tratta di continuare ad avvicinarci "a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio". È Lui la pietra angolare "scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso". Dunque, solido e incrollabile nel tempo non è la Chiesa, ma il Suo fondamento. Chiarendo che la forza e la solidità di Gesù risiede anzitutto nel Suo essere Crocifisso, mentre all'infinito nella nostre chiese ci ripete: "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19). "Vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia (...). Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso". (Intervista a Papa Francesco del 21 settembre 2013). Cominciando sempre dal basso, senza paura di chinarci, come ha fatto Gesù: "si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto" (Gv 13,4-5).

 

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