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TESTO Chi spera nel Signore, non resta deluso

don Walter Magni  

VI domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (09/10/2016)

Vangelo: Mt 10,40-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,40-42

40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Il brano della lettera agli Ebrei, l'Epistola di questa liturgia introduce bene il tema della Parola di Dio odierna, facendo un invito che oggi - lo dobbiamo riconoscere - facciamo molta fatica a praticare: "non dimenticate l'ospitalità: alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli".

Ospitalità difficile
Diciamo che la posta in gioco a riguardo dell'ospitalità oggi è diventata molto alta. Un teologo, creato poi cardinale da Paolo VI nel secolo scorso, Jean Danielou, affermava che "la civiltà ha fatto un passo decisivo, forse il passo decisivo per eccellenza, il giorno in cui lo straniero, da nemico (hostis), è divenuto ospite (hospes)". E aggiungeva: "il giorno in cui nello straniero si riconoscerà un ospite, allora qualcosa sarà mutato nel mondo". Diciamo che oggi, da questo punto di vista, la situazione è diventata particolarmente critica, socialmente molto complessa e di difficile risoluzione.
Chi dobbiamo ospitare oggi? Certamente quelle migliaia di profughi che battono alle nostre frontiere di terra e soprattutto di mare. Tentando però un'etimologia senza pretese, l'ospite (hospes) è anzitutto colui che osa mettere il suo piede (pes) sulla soglia (hostia) di casa nostra. Da una parte c'è tutto lo sforzo e l'umiliazione - che pure fatichiamo a considerare - di chi osa suonare il campanello o bussare con insistenza alla nostra porta e dall'altra ci siamo noi che, stando dall'altra parte del videocitofono, ci difendiamo dicendo che non c'è nessuno in casa o che di principio non diamo soldi. Invitandolo, nel migliore dei casi, a rivolgersi piuttosto ai servizi sociali o alla Caritas parrocchiale. Perché oggi, qualsiasi forma di ospitalità o di aiuto caritativo chiede sempre molta prudenza. Chi ci sta chiedendo un aiuto è quasi sempre un potenziale imbroglione e individuare oggi le forme sociali ed ecclesiali di aiuto e di accoglienza chiede un ascolto paziente e un discernimento intelligente. Se fai con spontaneità una donazione in denaro, è legittimo immaginare che quei soldi non vengano spesi per la finalità con la quale erano stati richiesti. E può anche capitare che donando dei capi di vestiario o del cibo, possa ritrovare il tutto nel cassonetto della spazzatura il giorno dopo.

Riconoscere la sete
Forse è arrivato il momento di esprimere un coraggio, un sussulto di Vangelo, diciamo pure un discernimento più realistico: imparare a stare davanti a un qualsiasi povero, che chiede a suo modo un'ospitalità, andando diritto alla sua persona, alla sua sete più profonda. La lettera agli Ebrei che ci invita a non dimenticare che, praticando l'ospitalità alcuni "senza saperlo hanno accolto degli angeli" ci aiuta ad andare oltre gli schemi di difesa abituali che mettiamo in campo nei confronti di chi, anche in modo pretenzioso, ci sta chiedendo qualcosa. Anche recentemente papa Francesco ha chiarito che se stai facendo un gesto di carità, è importante guardare in faccia quella persona, stringendogli la mano. Stabilire un contatto reale con lui, dimostrandogli un po' d'amore. Comunicandogli già con lo sguardo che, anche se non accedi alla sua richiesta, lo apprezzi e lo stai prendendo sul serio. Non è solo questione di buone maniere, ma l'avvio di uno stile diverso, che si compromette e si piega a raccogliere la sete più profonda di quella persona, senza liquidarlo in modo sbrigativo. Non è forse stato anzitutto questo l'amore per i poveri di Madre Teresa di Calcutta?
La tradizione rabbinica racconta un midrash: "una volta, quando Mosè pascolava il gregge di Ithro nel deserto, gli sfuggì un capretto: Mosè gli corse dietro sino alla fessura di una roccia. Giunto là, il capretto si fermò davanti a una cisterna per bere. Quando Mosè gli fu vicino, gli disse: ‘ma io non sapevo che tu corressi per la sete! sei, dunque, così stanco?' E, nel dire così, se lo mise sulle spalle e continuò a camminare". È per questo che il Signore lo mise a capo del suo popolo: aveva saputo riconoscere la sete di un capretto, forse la ragione vera per la quale s'era allontanato dal suo gregge.

Accogliere Gesù
Anche il card. Martini diceva di sognare "una chiesa che parli dopo aver ascoltato e solo dopo aver ascoltato". Ascoltare, accorgersi anzitutto della sete della gente, per essere ospitali e concreti con chiunque bussi ai portoni delle nostre chiese, alla porta delle nostre case. Scoprendo così che cercare la sete dell'altro è raccogliere la sete di Gesù crocifisso ("ho sete", Gv 19,28). Lui che sta ancora alla mia porta e bussa: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3,20). Perché, come dice il Vangelo di oggi, "chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato". E chi possiamo ancora accogliere Signore nel tuo nome, noi che facciamo tanta fatica ad aprire le nostre porte? Certo, potremmo più facilmente accogliere "un profeta perché è un profeta" per avere la sua ricompensa; o anche "un giusto perché e giusto" per essere ricompensati dal giusto. Ma sempre Tu ci porti più in là, chiedendoci di imparare a declinare nella nostra vita i ritmi e le movenze del Tuo amore misericordioso, che mai s'aspetta ricompensa. "Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa". Capire a questo punto che la ricompensa altri non è che Lui.
Signore Gesù, vorremmo avere l'esclusiva dell'incontro con te, ma Tu sei sempre oltre ogni dimora che ci piacerebbe assegnarTi. Insegnaci a riconoscere la Tua presenza là dove meno ce lo aspettiamo, al di fuori dei nostri confini, in quelle terre straniere che così spesso ci rifiutiamo di visitare a partire dal nostro oggi, talvolta così doloroso e difficile da riconoscere.

 

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