TESTO Diventa anche tu pane
don Angelo Casati Sulla soglia
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IV domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (25/09/2016)
Vangelo: Gv 6,51-59
«51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
Il linguaggio di questo brano del vangelo di Giovanni, come tutto il capitolo sesto del suo vangelo, in alcuni passaggi sembra fin quasi duro. Come giudicare le parole di Gesù? Gravi? Indisponenti? Scandalose? Sta il fatto che, al termine di questo discorso di Gesù sul pane della vita, in gran parte i suoi discepoli lo abbandonarono e non andarono più con lui.
Abbiamo ascoltato parole come queste "In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita". Qualcuno dice che in questo capitolo l'evangelista Giovanni in qualche misura ha rimediato a un vuoto. Giovanni nel suo vangelo non ha raccontato l'istituzione dell'eucaristia nell'ultima cena, l'ha come sostituita con il racconto della lavanda dei piedi. Ebbene il capitolo sul pane di vita sembra colmare questo vuoto con quella che potremmo chiamare una catechesi sull'eucaristia.
Alla ricerca del senso profondo dell'eucaristia - io penso - dovremmo essere tutti noi, che ancora vi prendiamo parte la domenica. Pensate, dentro una stagione, la nostra, in cui per tanti Dio non è neppure più osteggiato, ma ignorato o guardato con indifferenza, succede, succede ancora, che un piccolo gruppo di cristiani si ritrovino, in quella che loro chiamano la cena del Signore, a mangiare insieme qualcosa di infinitamente piccolo che loro chiamano il pane del loro Signore.
Come potrebbero - mi chiedo - rendere ragione con dolcezza e rispetto di quel loro riunirsi per fedeltà - così dicono - per fedeltà all'invito del loro Signore? Ma che cosa voleva dire Gesù dicendo il pane è la mia carne, invitando a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue? Lontano da lui qualsiasi immagine che rasenti una sorta di antropofagia!
Gesù voleva richiamare i suoi uditori alla concretezza del divino. La parola carne indica l'uomo nella sua debolezza e fragilità. I suoi oppositori - e non solo loro - erano lontanissimi dall'idea che il divino passasse attraverso un uomo, che aveva un corpo, nelle cui vene scorreva un sangue. Il divino veniva evocato nei segni grandiosi del passato, magari nella straordinarietà della manna.
Ora si trovavano davanti uno che diceva loro di essere di più della manna, di essere lui il pane disceso dal cielo. Ma come disceso dal cielo? Uno che veniva da Nazaret, un villaggio da nulla! Uno che aveva una carne di debolezza, uno fondamentalmente segnato dalla piccolezza e dal limite, come segnato dalla piccolezza e dal limite è ogni uomo. Uno che al divino non dava evidenza cavalcando segni di potenza, ma con una storia di quotidiana umanità. Uno che affermava: "il pane sono io, il divino passa attraverso questa mia carne, attraverso questo mio corpo, attraverso la debolezza e la povertà di una vita". Uno che diceva che il divino non passa attraverso lo sfoggio di se stessi, ma attraverso una vita che si fa dono, dono sino a darsi sulla croce per la vita del mondo.
Ebbene proprio questa vita donata è raccontata nell'eucaristia che ci raduna qui ogni domenica. Oserei dire raccontata nello scandalo della concretezza e della piccolezza. Pensate solo all'immagine, che è poi una realtà, di un Dio che si fa pane. Per noi, pensate, malati di chissà quale sogno, il pane! Ma dietro il pane, voi lo sapete, c'è una storia, come dietro il vino c'è una storia, non di grandezza, ma di mulino e di torchio, di chicchi di grano triturati, di chicchi di uve spremuti, sfarinature e torchiature.
A volte penso quanto sia stato grande, geniale, commovente Gesù nel lasciarsi nel segno del pane e del vino. Come se non ci fosse nient'altro che evocasse più limpidamente la sua vita e la sua morte, E noi, noi, pensate, a volte parliamo di eucaristia senza parlare di pane e di vino, senza ricordare che il rito cui siamo chiamati ogni domenica per fare memoria di lui, è una cena: "Fate questo in memoria di me"! Non è forse vero che ad ogni celebrazione riascoltiamo parole che sono invito per tutti?
Parole dette per tutti, e non per pochi. Dette per tutti, donne e uomini, di ogni condizione, di ogni condizione sociale, culturale, di ogni condizione dello spirito, che sia la nostra una condizione di vicinanza o di lontananza, per usare categorie abusate, spesso prive di senso evangelico, colme di ambiguità e di fraintendimento. A tutti: "Prendete e mangiartene tutti, prendete e bevetene tutti". Ha detto: "Prendete". E tu prendi, dici: "Amen". Dici: "Sei stato e sei un pane per me, Signore! Sei stato e sei un pane per tutti".
Guarda che cosa è diventato Dio! Pensate, noi che lo inseguiamo nei segni della grandezza e dell'onnipotenza! Un pezzo di pane e una piccolezza. Che grida silenziosamente l'amore. A volte, ve lo confesso, provo stupore, stupore e commozione, nel vedere come la gente, la gente comune, al momento della comunione, offre la mano e prende nel palmo il pane delle Cena dl Signore.
E tu leggi in quelle mani, per come ti si offrono, il segno di uno stupore, di una tenerezza infinita per il mistero che arde nel pane. Un banchetto, l'eucaristia, e a invitarci la Sapienza, l'immagine era nella lettura del libro dei Proverbi. In questo Signore fatto pane, pane per tutti, è iscritta una sapienza, una sapienza del vivere. Che ci viene ricordata ogni volta che lo riceviamo nelle mani: ricevi una sapienza del vivere: che sta nel farsi pane, pane per gli altri.
Per questo l'eucarestia è il contrario dell'isolamento. In passato forse non siamo sfuggiti a questo pericolo quando l'invito insistente era quasi a isolarsi con Dio. No, Paolo ci ha ricordato che isolarsi, fosse pure con Dio, sarebbe stravolgimento della cena del Signore. Cena vuol dire mangiare insieme, non ognuno al suo tavolino, vuol dire la festa dei volti intorno alla tavola del Signore.
Ecco le parole di Paolo: "Poiché vi'è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo, tutti infatti partecipiamo all'unico pane". Isolarsi sarebbe lo stravolgimento dell'eucaristia, del pane del Signore. Alcune domeniche fa ricordavo le parole di un biblista: "Fa' come Dio, diventa uomo".
Oggi forse potremmo dire: "Fa' come Gesù, diventa pane. Diventa anche tu pane"!