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TESTO L'aldilà comincia aldiqua'

don Giacomo Falco Brini   Predicatelo sui tetti - blog personale

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (25/09/2016)

Vangelo: Lc 16,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 19C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

La vita non ci è data in proprietà. Ci è data in amministrazione. Questo è quello che dice la Bibbia dappertutto. Che ci piaccia o non ci piaccia, finiremo per metterla al servizio di qualcuno o di qualcosa. Questo il senso profondo del vangelo di domenica scorsa, nel racconto della parabola dell'amministratore disonesto, come anche nelle successive e perentorie parole del Signore che ci avverte sull'impossibilità di servire due padroni: poiché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e il denaro (Lc 16,13). La parabola del vangelo di oggi riprende plasticamente questo avvertimento.

Un uomo ricco senza nome e un uomo povero di nome Lazzaro sono vicinissimi: il povero infatti, "stava alla sua porta" (v.20). Come mai il ricco non lo vede se è alla porta? Lazzaro non ha voce, ma il suo corpo coperto di piaghe grida aiuto. Come è possibile non vederlo, se persino i cani si accorgevano di Lazzaro? (v.21) La prima scena del racconto, situata aldiqua della vita, è già tremenda per se stessa nel suo messaggio. In certi frangenti, credo che la stessa Parola di Dio spieghi la Parola di Dio meglio di qualsiasi commento. Sentite cosa dice il Salmo 49 dal v.7 al v.21:
Essi confidano nella loro forza,
si vantano della loro grande ricchezza.
Ma nessuno può riscattare se stesso,
o dare a Dio il suo prezzo.
Per quanto si paghi il riscatto di una vita,
non potrà mai bastare
per vivere senza fine,
e non vedere la tomba.
Lo stolto e l'insensato periranno insieme
e lasceranno ad altri le loro ricchezze.
Il sepolcro sarà loro casa per sempre,
loro dimora per tutte le generazioni,
eppure hanno dato il loro nome alla terra.
Ma l'uomo nella prosperità non comprende,
è come gli animali che periscono.

Questa è la sorte di chi confida in se stesso,
l'avvenire di chi si compiace nelle sue parole.
Come pecore sono avviati agli inferi,
sarà loro pastore la morte;
scenderanno a precipizio nel sepolcro,
svanirà ogni loro parvenza:
gli inferi saranno la loro casa.
Se vedi un uomo arricchirsi, non temere,
se aumenta la gloria della sua casa.
Quando muore con sé non porta nulla,
né scende con lui la sua gloria.
Nella sua vita lo si diceva fortunato:
«Ti loderanno, perché ti sei procurato del bene».
Andrà con la generazione dei suoi padri
che non vedranno mai più la luce.
L'uomo nella prosperità non comprende,
è come gli animali che periscono.

Già secoli prima lo Spirito Santo aveva ispirato il salmista a scrivere con parole indelebili la triste possibilità che il cuore dell'uomo si accechi a un punto tale da perdere per sempre il senso della vita e a ridursi, ahimè, come un animale. Perché non essere toccati dalla sofferenza altrui, rimanere indifferenti a chi è nel bisogno, è segnale preoccupante di un cammino che avanza verso la morte interiore, ovvero di un cuore che sta spegnendo la propria capacità di amare. La seconda scena del vangelo infatti, spingendosi aldilà di questa vita, viene a confermare e a illustrarci questo salmo. Dopo la morte di entrambi, la situazione è totalmente capovolta: Lazzaro si trova con Abramo, simbolo del paradiso di tutti coloro che hanno creduto e confidato nella Parola di Dio. Il ricco si trova negli inferi tra i tormenti, simbolo di tutti coloro che pongono la propria sicurezza nelle ricchezze di questo mondo e non si curano affatto di quello che dice la Parola di Dio (v.23). Ma guarda un po': solo ora il ricco degna di uno sguardo Lazzaro. Adesso è il ricco a gridare il suo bisogno. "Egli sembra vedere Lazzaro per la prima volta, ma le sue parole lo tradiscono: «Padre Abramo - dice - abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». Adesso il ricco riconosce Lazzaro e gli chiede aiuto, mentre in vita faceva finta di non vederlo. Quante volte tanta gente fa finta di non vedere i poveri! Per loro i poveri non esistono! Prima gli negava gli avanzi della sua tavola, e ora vorrebbe che gli portasse da bere!" (Papa Francesco, Udienza pubblica generale del 18.05.2016) Nonostante Abramo risponda con misteriosa dolcezza, non è più possibile cambiare la situazione (vv. 25-26). Troppo tardi. Anche qui, il versetto di un altro libro della Bibbia è la più chiara spiegazione di questo passo della parabola: chi chiude l'orecchio al grido del povero, griderà a sua volta, ma non otterrà risposta (Proverbi 21,13).

Il messaggio è chiarissimo: l'ammonizione severa è per tutti coloro che vivono in una prosperità egoistica senza curarsi degli inviati speciali (i poveri) che Dio manda alle nostre porte. L'intento non è certo quello di spaventare, ma di invitare costoro ad una urgente e fattiva conversione. La possibilità di finire negli inferi tra i tormenti è seria, realissima. Da notare che non si dice nella parabola che Dio mandò negli inferi quel ricco. Negli inferi (o nel paradiso) ci si va con le nostre scelte. Il nostro aldilà comincia aldiqua. Perciò, senza inutili ansie, non c'è tempo da perdere! Abbiamo solo questa vita per credere alle parole del Signore che domenica scorsa aggiungeva: fatevi amici con la disonesta ricchezza, perché quando questa verrà a mancare essi vi accolgano nelle dimore eterne (Lc 16,9). I poveri sono la possibilità di salvezza che Dio offre instancabilmente a ogni ricco accecato dal proprio benessere e preoccupato solo della sua sussistenza (cfr. Lc 12,16-21). Quel ricco ebbe una vita intera per farsi amico Lazzaro, ma non lo fece. Forse dentro di sé era come quei farisei che si fecero beffe di Gesù quando diede questo insegnamento (Lc 16,14). Ma rifiutarsi di ascoltare il grido del povero è rifiutare Dio. Escludendo Lazzaro, quel ricco non ha tenuto in alcun conto né il Signore, né la sua legge. Ignorare il povero è disprezzare Dio! Questo dobbiamo impararlo bene: ignorare il povero è disprezzare Dio! (Papa Francesco, Udienza pubblica generale del 18.05.2016)

Bene, allora stiamo capendo qualcosa di importante per una sincera verifica della nostra fede. Le ricchezze nelle nostre mani non sono segno di benedizione, anzi, se le nostre mani non si aprono alla loro condivisione possono diventare causa di rovina eterna. Ma se le mani si aprono al dono verso i poveri, ecco che la benedizione di Dio ci sovrasta. C'è una furbizia del mondo che inganna e rende schiavo il cuore dell'uomo conducendolo verso la morte eterna; ma c'è anche un'altra furbizia che attira la benedizione e ci conduce a Dio. La morte, diceva un noto comico napoletano (Totò), è una "livella": è molto democratica in quanto comune esperienza del ricco come del povero. Ma per noi credenti non lo è. La morte è soltanto la porta d'ingresso al giudizio di Dio. Lasciamo tirare le opportune conclusioni alla già citata catechesi di Papa Francesco: "Abramo in persona offre la chiave di tutto il racconto: egli spiega che beni e mali sono stati distribuiti in modo da compensare l'ingiustizia terrena, e quella porta che separava in vita il ricco dal povero, si è trasformata in «un grande abisso». Finché Lazzaro stava sotto casa sua, per il ricco c'era la possibilità di salvezza, ma ora che entrambi sono morti, la situazione è diventata irreparabile. Dio non è mai chiamato direttamente in causa, ma la parabola mette chiaramente in guardia: la misericordia di Dio verso di noi è legata alla nostra misericordia verso il prossimo; quando manca questa, anche quella non trova spazio nel nostro cuore chiuso, non può entrare. Se io non spalanco la porta del mio cuore al povero, quella porta rimane chiusa, anche per Dio. E questo è terribile!... A questo punto, il ricco pensa ai suoi fratelli, che rischiano di fare la stessa fine, e chiede che Lazzaro possa tornare nel mondo ad ammonirli. Ma Abramo replica: «Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro». Per convertirci, non dobbiamo aspettare eventi prodigiosi, ma aprire il cuore alla Parola di Dio, che ci chiama ad amare Dio e il prossimo. La Parola di Dio può far rivivere un cuore inaridito e guarirlo dalla sua cecità. Il ricco conosceva la Parola di Dio, ma non l'ha lasciata entrare nel cuore, non l'ha ascoltata, perciò è stato incapace di aprire gli occhi e di avere compassione del povero. Nessun messaggero e nessun messaggio potranno sostituire i poveri che incontriamo nel cammino, perché in essi ci viene incontro Gesù stesso: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40), dice il Signore. Così, nel rovesciamento delle sorti che la parabola descrive è nascosto il mistero della nostra salvezza." (Papa Francesco, Udienza pubblica generale del 18.05.2016)

 

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