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TESTO Sia lode in Sion al nome del Signore

don Walter Magni   Chiesa di Milano

XIV domenica dopo Pentecoste (Anno C) (21/08/2016)

Vangelo: Mt 5,33-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Tradiremmo il Vangelo se leggessimo questo passaggio del Vangelo di Matteo come se fosse un prontuario di norme alle quali attenersi. Un elenco di normative da mettere al posto di un'altra tabella di leggi più antiche rispetto a quelle di Gesù, enunciate nel Discorso della montagna. Gesù parlandoci così oggi, ci sta dicendo qualcos'altro.

Il cuore della Legge
Gesù ci sta dicendo propriamente questo: "fa' parlare anzitutto e in ogni situazione il cuore della legge antica, la legge di Mosè. Così andrai al di là della forma della Legge antica. Cerca piuttosto di capire in ogni situazione nella quale ti dovessi trovare e decidere cosa fare e come comportarti, che cosa ti dice il cuore della Parola di Dio". Se solo ci si dovesse attenere formalmente all'espressione antica dell'"occhio per occhio e dente per dente", staremmo dicendo davvero la Legge antica? Ma anche volendo eseguire alla lettera in ogni situazione l'espressione evangelica di porgere l'altra guancia, pensiamo di eseguire in modo corretto quanto ci sta dicendo Gesù? Quando anche a Gesù capitò d'essere schiaffeggiato da una guardia durante l'interrogatorio messo in atto da Anna e Caifa, il Vangelo di Giovanni non dice che Gesù mostrò l'altra guancia. Disse, invece, una parola molto ragionevole: "se ho parlato male, dimostrami dov'è il male, ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?" (Gv.18,23). Insomma: non esiste una risposta univoca e standardizzata. Gesù, dunque, ci sta dicendo che in ogni situazione dobbiamo far parlare il cuore della legge con la nostra intelligenza.

Santità concreta
Questo significa imparare di volta in volta a guardare alle nostre faccende e alle nostre questioni immettendole tutte nell'orizzonte di Dio. E nel brano evangelico odierno c'è almeno un messaggio che ci invita ad abbordare, ad avvicinarci alla soglia di questo orizzonte. Quasi un invito a non accorciare mai, a non appiattire in ogni caso il senso ultimo del nostro modo di pensare e di agire e di scegliere. Quando Gesù afferma in modo molto alto e preciso: "Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". Come, del resto, già affermava il libro del Levitico: "Siate santi perché io, il Signore Dio vostro, sono santo" (19,2). Chissà cosa evocano nei nostri pensieri parole come santità, perfezione. Cosa pensiamo quando qualcuno ci dice "siate santi" o "siate perfetti"? Magari ci aspetteremmo qualche evasione misticheggiante. Mentre, invece, siamo lanciati da Gesù stesso nella concretezza più realistica. Nel realismo più esplicito. Perché la traduzione di queste parole così alte Gesù ce l'ha già anticipata dicendoci: sia il tuo parlare "sì sì, no no", cioè: sii coerente, trasparente nel tuo modo di parlare! Ma anche: non contrapporti a una persona malvagia, "non opporti al malvagio". Non creare subito una distanza irreparabile. Cerca spazi di soluzione. Ritenta ancora. "E a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle". E ancora, sentite che concretezza: "amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano".

Perfezione come misericordia
Interessante è notare che questa perfezione, questa santità, ha un termine di paragone, si attiene a un riferimento preciso: la perfezione e la santità del Padre. Una santità, dunque, ben lontana da astratti e fumosi ideali di perfezione: il perfetto, così perfetto, da essere distaccato, inaccessibile. No: "perfetti come il Padre"! E qui ci aiuta Luca, che nel suo Vangelo preferisce sostituire l'aggettivo perfetto con misericordioso: "Siate dunque misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso" (6,36). Perché la perfezione è la misericordia. Non l'inaccessibilità di una santità astratta, ma l'accessibilità di una misericordia possibile. Nella quale ci si può sempre e continuamente esercitare. Ci potrebbe essere una perfezione pretesa, che finisce per farci odiare la vita, dovendo continuamente constatare i nostri fallimenti e i nostri limiti. La pretesa che tutto sia al massimo. E che al massimo siano anche gli altri e il mondo intero. Un'idea di perfezione che ci spinge a negare le nostre ferite e a disprezzare quelle degli altri. Ma noi "non dobbiamo piangere sulle nostre imperfezioni perché non veniamo giudicati per questo. Il nostro Dio sa che, da molti punti di vista, siamo zoppi e a metà ciechi (...). Piuttosto possiamo aiutarci gli uni gli altri a crescere nella fiducia, nella compassione e nell'umiltà" (J. Vanier, Il corpo spezzato, 1990, p. 98s.). Questa è la perfezione che ci chiede oggi Gesù: la perfezione della fiducia che sa ricominciare, della compassione che intuisce spazi di speranza, dell'umiltà che anche dentro l'esperienza del limite intuisce la presenza della mano affettuosa di Dio.

 

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