TESTO Commento su Isaia 66,18-21; Lc 13,22-30
Carla Sprinzeles Radio Nichelino Comunità
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XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (21/08/2016)
Vangelo: Lc 13,22-30
In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
Oggi ci viene sottolineata la verità che Dio vuole salvi tutti gli uomini e le donne, non soltanto gli ebrei di ieri e i cristiani di oggi.
L'inclinazione dell'essere umano è di stravolgere questa verità e di dover "meritarsi" il dono gratuito di Dio.
Così l'antico popolo dell'Alleanza presumeva di essere l'eletto per meriti di nascita e di sangue a cui toccava la salvezza, negata agli altri popoli.
Ci sono poi cristiani di oggi, i quali pensano di essere migliori degli altri, perché la loro religione è la vera religione.
Bisogna riconoscere invece l'iniziativa di Dio e vivere secondo il suo progetto di salvezza valido per tutti. I doni che egli concede debbono essere motivo di gratitudine e fedeltà, non di orgoglio e disprezzo per gli altri, ma piuttosto un incitamento a far conoscere la bontà di Dio a tutti e per tutti. Siamo come i suonatori in un concerto, suoniamo la nostra musica in armonia con quella degli altri, nel rispetto reciproco, sapendo che non siamo noi il direttore d'orchestra e ancora meno il compositore.
ISAIA 66,18-21
La prima lettura è tratta dal libro di Isaia, al termine del libro.
Ritornati dall'esilio i Giudei si scontrano con una realtà quotidiana deludente.
Ben presto l'entusiasmo del ritorno sfuma e sopraggiunge l'apatia, lo scoraggiamento.
Continuando la predicazione di Isaia, un profeta tenta di risvegliare il coraggio descrivendo l'avvenire glorioso del popolo eletto.
L'avvento del messia segnerà la riunione di tutti i popoli nel tempio del vero Dio e l'esclusivismo giudaico sarà totalmente superato.
La chiusura del libro di Isaia giunge a limiti insospettabili; infatti la partecipazione al culto ed al sacerdozio, non più riservata ad una casta privilegiata, sarà aperta a tutte le genti.
Nella nuova comunità dei figli di Dio, nel nuovo Israele, tutte le differenze di razza, colore, di ceto e di lingua sono scomparse.
Il centro dell'annuncio di Isaia è nel verbo "radunare", che prima si era applicato alla diaspora giudaica, ora diventa una speranza per l'umanità intera.
Di questo popolo fanno parte anche le persone che "non hanno mai udito parlare di me e non hanno mai visto la mia manifestazione", eppure la loro esistenza giusta li rende già popolo di Dio.
La sorpresa inaudita e quasi scandalosa per un certo integralismo razzista e religioso ebraico: anche tra i pagani Dio sceglierà sacerdoti, abolendo ogni privilegio esclusivo di un popolo e di una tribù e ogni formalismo sacrale.
Gli stessi ebrei dispersi sono trascinati dal flusso del viaggio che l'intera umanità ha intrapreso verso Gerusalemme.
Il ritorno degli ebrei in esilio è reso possibile grazie ai pellegrini pagani.
I pagani convertiti saranno così bene integrati nella fede in Dio e nel popolo, che saranno ritenuti idonei a prestare servizio sacerdotale nel tempio del Signore.
L'affermazione dal carattere singolare, segna l'addio a una religione mantenuta entro limiti culturali di un popolo e apre orizzonti ad un sacerdozio universale nel quale potrà trovare posto ogni uomo.
LUCA 13,22-30
Il brano che leggiamo di Luca e si fa una domanda che spesso ci facciamo anche noi.
"Sono pochi quelli che si salvano? Era un problema che si ponevano anche i rabbini al tempo di Gesù, sicuramente pensavano che si sarebbero salvati solo gli osservanti scrupolosi della Legge.
La risposta di Gesù non è per loro molto confortante.
Nessuno deve considerare una facile assicurazione di salvezza, solo per l'appartenenza ad un mondo religioso e neanche le pratiche religiose non garantiscono nulla, anzi la sicurezza di sé porta distanti da Dio.
"Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza", abbiamo celebrato tante volte l'eucarestia, cibandoci del tuo corpo e del tuo sangue, e ci potresti dire che non abbiamo nulla in comune con te, che siamo operatori d'iniquità?
Tutta la vita di Gesù è stata come uno svelare le nostre incongruenze, le nostre falsità nascoste dietro una pratica religiosa già stigmatizzata dai profeti: "Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre adunanze; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni"(Amos 5,21-22).
Il vero culto a Dio consiste nel conoscerlo, per poter realizzare la vocazione umana: diventare somiglianti a lui, per essere giusti come lui è giusto, operando il bene.
Conoscere Dio è, come dice Geremia, "tutelare la causa del povero e del misero".
Se invece preferiamo la via larga dell'apparenza, alla "porta stretta" della verità, "avremo già ricevuto la ricompensa, che viene dagli uomini.
La verità congruente con la realtà, si oppone alla bella figura, la quale non corrisponde all'autenticità del cuore.
La vocazione dell'uomo è permettere al Bene infinito, che è Dio di incarnarsi nel concreto della vita. Partecipare alla messa per assolvere un obbligo, senza lasciarci plasmare e fecondare dalla Parola proclamata e mangiata, è operare l'iniquità, perché è cambiare la vita divina, che ci viene offerta con l'idolo di un dovere limitato all'esteriorità, come se la salvezza venisse dall'essere in regola!
Operare l'iniquità è praticare la religione in modo puramente esteriore, ingannando se stessi e gli altri nel compiere gesti che non trovano riscontro nel concreto della vita.
Andare a messa senza cercare di crescere nella somiglianza con Cristo; pregare, profetare, cacciare demoni e fare persino dei miracoli senza essere a servizio della vita, del bene del prossimo, cioè senza compiere la volontà del Padre, è operare iniquità.
Sì, Gesù ha detto di fare la Cena in memoria di lui, ma la cena intera, compreso l'inginocchiarsi davanti ai fratelli per lavare loro i piedi, cioè per perdonare e metterci a servizio del loro bene.
Chi non ha praticato la religione cristiana, ma è stato vero figlio del Padre operando il bene attorno a sé, verrà da occidente e da Oriente per sedere a mensa con il Signore.
Amici, non è la nostra etichetta di cristiani che ci salva.
Uno può dirsi ateo, ma poi avere dei principi umani per cui è onesto, è generoso, ama e aiuta chi gli è vicino ed essere più cristiano di noi, che magari non perdiamo una messa.
Questo ci serva a rivedere la nostra vita e magari continuare ad andare a messa con adesione agli insegnamenti di Gesù, cercando di assomigliare a lui: questa è la porta stretta, perché non è confacente ai principi del mondo in generale, alla massa.