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TESTO Commento su Geremia 38,4-6.8-10; Luca 12,49-53

Carla Sprinzeles   Radio Nichelino Comunità

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (14/08/2016)

Vangelo: Lc 12,49-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

La liturgia di oggi ci chiede di vivere il nostro essere credenti con una buona dose di realismo!
Credere è rischioso. Vivere i valori del regno conduce al rifiuto; la "pace" messianica non garantisce il credente da persecuzione, ostilità, emarginazioni.

GEREMIA 38, 4-6. 8-10
La prima lettura offre l'esmpio del profeta Geremia: a causa della Parola è condannato a morte da coloro a cui è inviato.
La figura del profeta Geremia ha avuto un grande influsso nella spiritualità giudaica del I secolo.
Al tempo di Gesù, Geremia era visto come il "tipo" del profeta rifiutato, ostacolato e perseguitato per il coraggio della verità, come il profeta delle genti e della nuova alleanza. E' un uomo posto da Dio sulla soglia tra passato e futuro: mentre denuncia il passato d'Israele, la sua infedeltà all'Alleanza, penetra con lo sguardo nel futuro per contemplare un nuovo inizio gratuitamente donato da Dio.
Non ci sorprende che gli evangelisti abbiano guardato a lui come "profezia" del Cristo, attraverso citazioni dirette o allusioni sparse nei racconti della passione.
La liturgia di oggi si inserisce in questa tradizione, proponendo un evento della sua vita come chiave interpretativa di un Vangelo scomodo.
Il brano si apre con la richiesta di condannare Geremia a morte poiché scoraggia i guerrieri rimasti in città e il popolo con loro. In una parola egli non cerca il benessere del popolo. Geremia è accusato di non offrire parole di pace, rassicuranti promesse capaci di infondere a soldati e popolazione il coraggio di continuare a resistere all'assedio babilonese.
Volendo capire la correttezza dei capi d'accusa, leggiamo insieme il messaggio del profeta: "Così dice il Signore: Chi rimane in questa città morirà di spada, di fame, di peste; chi si consegnerà ai Caldei vivrà e gli sarà lasciata la vita come bottino. Così dice il Signore: certo questa città sarà data in mano all'esercito del re di Babilonia che la prenderà."
Non si tratta di una parola nuova: mentre i profeti di corte predicano vittoria e pace, Geremia profetizza sconfitta e schiavitù, giungendo ad affermare che resistere a Nabucodonosor è resistere a Dio. Egli parla apertamente nel tempio come nella corte; davanti al re, ai capi e a chiunque lo voglia ascoltare. Scrive ai deportati a Babilonia per togliere loro ogni illusione: il ritorno è una realtà lontana, meglio iniziare a stabilirsi nella terra d'esilio. Per questo fu considerato un traditore, una spia dell'esercito babilonese, deriso, percosso, imprigionato e condannato a morte.
Eppure non tace: subito dopo essere stato estratto dalla cisterna, non esita a ripetere le stesse parole a chi l'ha condannato: "Dice il Signore, Dio degli eserciti, Dio d'Israele: se ti arrenderai ai generali del re di Babilonia, allora avrai salva la vita e questa città non verrà data alle fiamme: tu e la tua famiglia vivrete. Se non ti arrenderai questa città sarà messa in mano dei Caldei, i quali la daranno alle fiamme e tu non scamperai dalle loro mani."
Umanamente l'ostinazione di Geremia rasenta la pazzia: per quale ragione continuare a proclamare una parola che non solo non è accolta, ma può provocare la morte del portatore?

LUCA 12, 49-53
Il Vangelo presenta una serie di "detti incandescenti": la parola di Gesù non porta pace, ma conflitto e divisione persino all'interno delle relazioni più intime.
Dopo duemila anni di cristianesimo la guerra divampa in Medio Oriente, in Africa, in Asia. In America latina non si contano più i luoghi comuni dove uomini e donne vengono uccisi. Le famiglie si disgregano, le coppie litigano, i partiti politici dividono le nazioni, mentre i poveri sono più schiacciati e disprezzati.
Quale pace allora Gesù ha desiderato portare sulla terra? Voleva accendere un fuoco che non poteva divampare, finché egli non avesse ricevuto un misterioso battesimo, quello dell'immersione nelle conseguenze del peccato, fino alla croce. E' venuto a portare il fuoco, non la pace "come la dà il mondo".
Il un convegno ecumenico alcuni giovani di destra si sono trovati in un gruppo di studio con degli adulti segnati dall'ormai lontano '68. Il dialogo si arenava nell'incomprensione reciproca tra le generazioni sorde l'una all'altra. Dov'era finita la pace di Cristo? Non è stato possibile attuarla, finché ogni parte è rimasta fissa in ciò che le apparteneva: opinioni, mentalità.
Quando gli adulti hanno preso coscienza di difendere con i denti una storia che ormai non appartiene più ai giovani, quando hanno ascoltato le opinioni più diversificate, allora è nata l'amicizia.
Gesù ci avverte: "D'ora in poi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera".
Siamo spesso tentati di leggere il Vangelo attenuandone la violenza. Le esigenze di Cristo invece, per coloro che vogliono diventare come lui operatori di pace, cioè figli del Padre, presentano sempre la stessa offerta scandalosa di libertà: bisogna lasciare l'avere con l'essere.
Dal versetto del Genesi "l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre", al grido della croce "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", l'avventura umana è scandita dalla necessità di lasciare il padre - la famiglia d'origine - di essere "abbandonato" per intrecciare relazioni di pace e non di divisione. Si tratta di lasciare lo spazio rasserenante che ci è servito per costruirci, divenuto ora troppo stretto, per aprirci alla relazione con l'altro. Bisogna perdere la vita per ritrovarla.
Il Signore non è venuto a portare la pace, ma l'ha affidata alle nostre mani.
L'avere divide, invece l'essere nell'amore unisce. Basta accettare che il fuoco dell'amore bruci ciò che ci lega all'avere, per poter incontrare l'altro là dove sta, e camminare insieme con lui verso il Bene che non ci appartiene ma che ci invita alla Vita.

Amici, Gesù ci ha affidato la pace, ora tocca a noi portarla avanti, accettare che il fuoco dell'amore bruci i nostri legami con l'avere, il possedere e camminare insieme agli altri.

 

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