TESTO Commento su Luca 10,25-37
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XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/07/2016)
Vangelo: Lc 10,25-37
In quel tempo, 25un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di don Massimo Cautero
Il desiderio della vita eterna.
Il vangelo di oggi è un vero e proprio esame di coscienza per noi battezzati che siamo in pellegrinaggio attraverso questo tempo, esame compiuto attraverso due domande peculiari: "... che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?" e " chi è il mio prossimo?".
Gesù risponde ad una domanda con un'altra domanda, un modo particolare di insegnare per gli ebrei, attraverso il quale i maestri invitavano i discepoli a guardarsi "dentro", tirando fuori dalla coscienza, con la sapienza delle domande, quello che in fondo sapevano già! Certo, l'intento del dottore della legge raccontato dal vangelo non era "puro", da vero discepolo disposto ad imparare, ma solo per mettere "alla prova" quel Maestro che, nonostante il tentativo di intrappolarlo (di togliere a Gesù la cattedra di Maestro, sperando in una risposta sbagliata!) riesce, invece, a riportare "sui banchi di scuola" proprio quel "dottore" che è così costretto a fare i conti non più con la legge degli uomini ma con l'amore di Dio.
"... cosa devo fare per avere la vita eterna?" è la domanda che tutti noi sacerdoti aspettiamo con ansia - ed un certo timore! - dal gregge che ci è affidato. Una domanda che, purtroppo, ci sentiamo rivolgere sempre meno, a cui ci siamo abituati a dare per scontata e, per questo, forse su cui riflettiamo meno, anche perché troppo avvezzi a dare legalistiche "ricette", come dal medico, quando qualcuno si rivolge a noi, comodamente seduti sulla consuetudine del "giusto o sbagliato" e troppo pigri per la dinamica dell'amore che non si stanca mai di interpellare gli uomini con dinamiche sempre nuove.
Una domanda comunque insita nel "bisogno" religioso contemporaneo come lo è da sempre, ma a cui oggi troppo spesso anche i battezzati amano dare una risposta "parziale" come la risposta del dottore della legge, giusta ma senza cuore, se non addirittura illusoria, come è anche il mondo di oggi che ama le apparenze e realtà virtuali. Troppi i cristiani che scambiano l'esigenza della vita eterna con l'illusoria promessa dell'eterna giovinezza della medicina moderna o delle "beauty farm", dimenticando che la vita eterna, la resurrezione, è il nucleo della fede che non illude ma, concretamente, ti ridarà quel corpo purificato dalla morte che corrompe ogni cosa.
La Resurrezione è da sempre promessa di Dio e realizzazione in Cristo, è quella che ci viene data in dono senza pretese di conquista ma con l'esigenza di essere riconosciuta per quello che è: nessuno può prendere sul serio il proprio battesimo se non prende sul serio il bisogno della vita eterna, della resurrezione. In fondo la tappa del sacramento della Confermazione non è altro che "confermare" quello che abbiamo già e riconoscerne il bisogno, la richiesta, la domanda che ci accompagnerà per tutta la vita ed a cui la risposta di Cristo ci permetterà di entrare in quella eterna.
Un cristiano che non ritiene importante, fondante, il suo bisogno/domanda di vita eterna, di resurrezione, può ritenersi "sciolto" dal suo battesimo, senza bisogno di atti pubblici e pubbliche giustificazioni, un cristiano che ha barattato il bisogno/domanda di vita eterna nella resurrezione con qualcos'altro ha barattato Cristo con qualcos'altro, quindi, semplicemente, non è più suo discepolo!
"E chi è il mio prossimo?" è la domanda che completa la prima e ci apre le porte alla reale figliolanza divina. Senza questa domanda Cristo resterebbe un valore fra tanti, una scelta possibile, ma Lui è il "Valore" e la "Scelta" della vita proprio perché senza Lui la vita rimane una breve parentesi nella storia che conduce alla morte, con Lui la storia diventa vita vera, senza parentesi, vita che conduce alla Vita, quella eterna.
E' interessante capire che Gesù risponde al dottore della legge con una parabola e non con un'altra domanda come alla prima: la parabola è in se un rimando, incoraggiamento, a tuffarsi nella vita lasciando che questa ci coinvolga e ci trascini, appunto, nel "vivo" della risposta.
Il prossimo della parabola è chi si fa prossimo, cioè non rifiuta la distanza di un altro; i ruoli sono intercambiabili perché nella strada della vita mi ritroverò sempre ferito e derubato e troverò sempre qualcuno che è stato ferito e derubato, per cui avrò bisogno di un prossimo che si china su di me e troverò sempre un prossimo che avrà bisogno che io mi chini su di lui: questa è la vera fraternità che permette di discriminare i figli di Dio dai figli delle tenebre, se non mi faccio prossimo non posso trovare il fratello e senza fratelli non sono figlio. Il compatire a cui si riferisce il dottore della legge è la risposta giusta che viene data al Maestro Gesù dal discepolo dottore della legge, quella compassione che Gesù sta offrendo proprio a lui mentre si fa interrogare. Quel dottore della legge ha avuto l'occasione di guardare la compassione di Dio in faccia, Cristo Gesù, e di farsi guarire, qualcosa di profondo che ha permesso a Gesù di potergli dire "va e anche tu fa così", certificando con quel "fare" la risposta a quel "cosa devo fare..." della prima domanda.
Al dottore della legge è stata data una grandissima occasione per entrare nella vita eterna, chissà se verrà data anche a noi, discepoli del terzo millennio, impauriti e sperduti e tutti intenti a conservare le nostre sostanze e sicurezze. Chissà se siamo ancora in grado di capire che il prossimo ferito, derubato, bombardato, sgozzato, affogato, fuggitivo, povero che ci viene offerto a noi dalla storia è l'occasione perché, come il dottore della legge, Gesù ci mostri la sua compassione e ci faccia diventare fratelli e perciò figli di quel Padre che ci vuole amare per la vita eterna.
In fondo la vita, ogni vita, è una parabola che Dio usa per invitarci a vivere, vivere eternamente. Quello che nelle nostre parabole di vita ci rifiutiamo di vivere per amore e compassione sono amore e compassione che non troveremo e senza amore e compassione la vita eterna, la resurrezione, non può esserci!