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TESTO Ascoltate oggi la voce del Signore

don Walter Magni   Chiesa di Milano

VI domenica dopo Pentecoste (Anno C) (26/06/2016)

Vangelo: Gv 19,30-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 19,30-35

30Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

31Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. 32Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. 33Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, 34ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. 35Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate.

Le letture bibliche di oggi sono attraversate, come un filo rosso, da una parola che riassume anche il senso della celebrazione eucaristica alla quale stiamo partecipando. Il termine "alleanza", che dice legame, comunione tra persone e realtà che erano distanti e divise. Alleanza che Gesù porta a compimento pronunciando sulla croce un'espressione forte e chiara, dicendo: tutto "è compiuto".

Dio non sa stare solo
Ascolti un'espressione così e ti viene voglia di tacere. Come non ci fossero altre parole da aggiungere.
Quali parole potremmo inventare noi, nella nostra povertà, quando la Parola fatta carne alza un "forte grido" per poi spegnersi nel silenzio buio e gelido della morte? Davanti al Crocifisso non ci resta che tacere e adorare. Non ci resta che aderire. Per stare nalle parole conclusive del Vangelo odierno: "chi ha visto né da testimonianza (...) egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate". Ecco, forse più che tacere non ci resta che credere, senza commentare.
Ad ogni Eucaristia che celebro, ad ogni Comunione che faccio, per un istante almeno, mi affaccio sull'enormità di ciò che sta accadendo. Dio che mi cerca. Dio che è ancora in cammino verso di me.
Dio che è arrivato e mi ha raggiunto. Dio che, dopo avermi trovato entra dentro di me. Trovando casa in me. Come non accettasse di restare solo. Incapace di restare solo, racchiuso in Sé. Faccio la Comunione e mi sento colmo di Dio, mentre fatico a trovare parole e non mi resta che dedicarGli almeno il silenzio. E sempre più mi pare incredibile che Dio abbia desiderato di fare un patto di sangue con me. Che proprio io Gli vada bene così, come sono. Dio fa alleanza con me. Si fa accanto a me e ogni volta mi dice: ho voglia di stare con te. Ho bisogno di te. E io non ho doni da offrirGli.
Sono solo un uomo con la sua povera storia. Bisognoso di cure, pieno di deserti senza oasi. Non mi resta che accoglierLo. Dicendo "sì" alla Sua comunione, a quel progetto che stava sognando dall'eternità. A partire dalla creazione di Adam, dall'innamoramento con Abramo sotto il cielo stellato; fino all'intreccio col popolo di Israele, definito da Mosè sul Sinai.

"È compiuto"
Così scopro che in questa Suo struggente bisogno di starmi vicino, d'essermi accanto, Lui Si consegna tutto. Senza riserve. Nulla trattenendo per Sé. Neppure la vita. Sognando la Sua Alleanza, Dio Si regala tutto. In questa compiutezza divina si potrebbero intuire anche livelli e sfumature dell'amore.
Sicuramente Gesù porta a compimento il desiderio di alleanza e di comunione che Dio si portava nel cuore ancora prima della creazione del mondo. Perché da sempre Dio è amore che è amante e desidera l'amato. Ma ancora più profondamente - qui sta tutto lo stupore e la meraviglia - in Gesù che grida il compimento c'è tutto Dio. Senza alcuna riserva. Senza più calcolo, senza più misura per Sé. Dio tutto pienamente consegnato in Gesù per me. Proprio questo amore sconcerta e confonde persino.
Come aveva detto durante quell'ultima cena: "Questo è il mio corpo che è dato per voi...(...). Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi" (Lc 22,19-20). Come dicesse: "ecco il tutto di me per te, dentro di te". Il sublime dentro il dimesso, lo splendore dentro l'argilla, il forte dentro il debole. In questo modo Gesù non ci ha regalato la salvezza soltanto, ma la stessa redenzione, che è molto di più. Se la salvezza è tirar fuori qualcuno dalle acque che lo sta sommergendo, la redenzione è la capacità di trasformare la debolezza in forza, la maledizione in benedizione, il tradimento stesso in atto d'amore, il pianto in danza, la veste di lutto in abito di gioia, la mia stessa carne nella casa di Dio. Così fa Dio quando decide di allearsi per sempre con gli uomini.

Gesù, mio compimento
Gesù sulla croce ha detto sette parole. Parole che noi possiamo raccogliere e ripetere ancora. La Sua parola di perdono ("Perdona loro perché non sanno quello che fanno"), di totale affidamento ("nelle tue mani affido il mio spirito"). Ma quel "tutto è compiuto" non lo potremo mai ripetere come Lui.
Con la Sua stessa forza, con la Sua pretesa. Nel momento della morte ce ne andremo lasciando cose non terminate. Soprattutto l'incompiutezza dell'opera che il Signore ci aveva affidato da compiere personalmente. C'è un'espressione che il Vescovo pronuncia in occasione di una consacrazione, di una ordinazione sacerdotale: "Dio porti a termine l'opera che ha iniziato in te". Dio, col battesimo ha certamente iniziato in ciascuno un'opera grande, una vocazione particolare, una missione che ci ha fatto sognare. Ma non saremo noi a concludere queste operazioni che Dio stesso ha cominciato in ciascuno di noi. Secondo la tradizione rabbinica Dio disse a Mosè, che alla fine della vita voleva terminare l'opera di liberazione del popolo da lui affidatagli, facendolo entrare nella Terra promessa: "Non spetta a te compiere l'opera, ma non sei libero di sottrartene" (Pirqè Avot 2,16). Questa è l'obbedienza che ci spetta: attenerci all'opera che Dio ha iniziato in noi senza sottrarci, senza tirarci fuori. Nella fiducia che "chi ha iniziato l'opera in noi, la porterà a compimento" (Fil 1,6), come ci assicura l'Apostolo Paolo. Non ci resta che lasciarci abitare da Colui che tutto compie portando a conclusione. Lasciamo che sempre Gesù ripeta dentro di noi il Suo "sì", per sempre.

 

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