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TESTO La radicalità del "si"

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (26/06/2016)

Vangelo: Lc 9,51-62 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,51-62

51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio.

57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Durante l'anno del Noviziato ci veniva ripetuto che la scelta della vita religiosa e del sacerdozio erano talmente serie e importanti che andavano fatte non senza accurata ponderazione, e soprattutto che dovevano essere fatte senza rimpianti o nostalgie per il passato.

Nella vita di speciale consacrazione ci si immedesima infatti in una nuova dimensione esistenziale, per la quale si abbandona ogni cosa quanto ad averi materiali, affetti, libertà e decisioni personali per conquistare una sola cosa: Nostro Signore Gesù Cristo. Questi va scelto con cuore indiviso, cioè radicalmente e senza alternativa, senza che le prospettive secolari, anche quelle che sarebbero legittime fuori da questo stato, ci attraggano oltre misura. Ecco perché prima ancora di essere ammessi ai voti si viene vagliati con molta attenzione da parte dei Superiori di un Istituto Religioso, come pure viene chiesto ai candidati di riflettere attentamente e senza riserve sulla loro decisione. O si sceglie unicamente Gesù Cristo senza condizioni o si delibera per il mondo e per la vita professionale. Gesù chiede infatti radicalità, fermezza, decisione e fedeltà nella sequela già ad ogni cristiano in forza del suo battesimo, ancor di più a coloro che lui stesso chiama alla maggiore sequela. Nella pagina del Vangelo di oggi osserviamo che Gesù non si entusiasma quando uno sconosciuto gli si propone come discepolo fedele: "Ti seguirò ovunque tu vada", ma piuttosto gli mette in mostra le difficoltà e gli impegni che la sequela comporta, soprattutto l'insicurezza e l'instabilità anche dal punto di vista materiale. "Il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo", gli risponde di rimando. In un'altra circostanza, a coloro che chiedevano di mostrar loro dove lui abitasse, ribatteva: "Venite e vedete"(Gv 1, 38 - 39) mentre adesso dice a questo sconosciuto di essere un "senza fissa dimora". Alcuni esegeti hanno messo a raffronto il prologo del Vangelo di Giovanni (Gv 1, 11: "E venne fra la sua gente ma i suoi non l'hanno accolto") per indicare che la vera patria del Figlio dell'Uomo, cioè di Dio Incarnato è quella data dalla fede in chiunque voglia seguirlo, che il suo messaggio di salvezza non è limitato a un solo luogo, ma deve avere come obiettivo tutti i popoli e ogni uomo sulla terra, pertanto il vivere e l'operare di Gesù deve avere valenza altrettanto universale. In parole povere, siamo chiamati a conformarci a lui, a vivere radicalmente anche la sua missione e il suo protrarsi verso tutti. Chi segue il Signore, specialmente nella radicalità della consacrazione, ha sempre il "piede alzato", non si affeziona a un determinato luogo o a una patria o ad una sola cultura, ma ogni terra è la sua terra. Mentre interagisce con i suoi interlocutori, del resto, Gesù ha appena saputo che un intero villaggio di Samaritani ha rifiutato di riceverlo perché diretto a Gerusalemme. La Giudea vive in tensione continua con la Samaria, al punto da non potersi sopportare gli abitanti dell'una e dell'altra terra. Eppure Gesù li si stava recando, proprio in un territorio ostile e avverso; avrebbe voluto proporre anche a persone distanti la sua parola e il suo messaggio. A questo sottende allora la risposta di Gesù: il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo non soltanto in senso geografico, ma anche nel senso della missionarietà e della varietà dei suoi interlocutori: essi possono essere ben disposti ma anche refrattari. Non c'è quindi sicurezza umana nel seguire Gesù, non vi sono garanzie o immediati benefici ma solamente imprevisti e continui patemi missionari e anzi, l'unico luogo dove Gesù "poserà" il capo sarà la croce sulla quale egli morirà per noi (Gv 19, 30). Se non ci si mette in questa prospettiva e non si persevera in essa, meglio non mettersi al seguito di Gesù, poiché se ne avrebbe solo svantaggio. Come si diceva prima, Gesù chiede fermezza e decisione, costanza e radicalità, soprattutto quando a chiamare è proprio lui di sua iniziativa. Al secondo interlocutore infatti chiede egli stesso di seguirlo senza che gli affetti familiari abbiano la prevalenza sulla missione ed evitando che qualsiasi cosa possa distoglierci dal proposito di perseveranza. L'eccessiva familiarità con persone, situazioni, luoghi e circostanze "secolari", non importa se legittime o regolari, può sempre portare all'arrendevolezza nella sequela del Signore, cioè al "mettere mano all'aratro e poi voltarsi indietro". Piuttosto, seguire il Signore comporta condividere in tutto e per tutto la nostra persona con la sua; donare interamente noi stessi, la nostra vita e il nostro essere, come nel caso di Eliseo, che su indicazione di Dio viene scelto da Elia quale profeta suo successore.

Elia, uomo che parla a nome di Dio e per suo mandato, gli si avvicina e gli getta il mantello. Un gesto che si ripete anche nella triste circostanza della lapidazione di Stefano, quando gli aguzzini lanciano il mantello ai piedi del giovane Saulo. "Il mantello è simbolo della persona e, in qualche modo, anche dei suoi diritti. Gettare il mantello su qualcuno costituisce un segno di acquisto, di desiderio di alleanza"( Martini). Lanciare il mantello significa quindi condividere la propria persona con quella di un nostro interlocutore, in modo da acquisirla per intero e realizzare con essa lo stesso destino, la stessa missione. Significa suggellare la vita che è nostra fondendola con quella di un altro, condividendone in tutte le esperienze, le prove, le passioni. Di conseguenza, Elia "conquista" la persona di Eliseo per renderla partecipe in tutto di sé e della sua missione. Ovviamente la missione di Elia è di provenienza divina, pertanto Eliseo concepisce che la sua vita dovrà essere modellata in tutto sulla volontà di Dio. Egli dovrà compiere esattamente quello che, per volontà del Signore, Elia ha realizzato finora.

Ecco Eliseo non esita a corrispondere alla chiamata. Si congeda solamente dai suoi con un banchetto d'addio, ma si pone immediatamente alla sequela di Dio che lo istruisce momentaneamente nella persona dello stesso Elia. Quando questi sarà rapito al cielo su un carro di fuoco, il giovane eletto assisterà a tutta la scena e vedrà poi il mantello (la vita, la persona di Elia) cadere giù dal carro per finire a pochi passi da lui.

Quando sii è scelti da Dio per un particolare progetto di vita, si dispone certamente della propria libertà di adesione o meno, ma prima ancora che nell'affidarci un compito o realizzare un progetto, Egli ci si propone in un misterioso rapporto di amore e di amicizia che misteriosamente avvolge e coinvolge... Insomma Dio ci ama e ci seduce; di conseguenza ci chiama. Ma la risposta non può che essere ferma e motivata.

 

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