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TESTO Ho tanto bisogno di Luce

mons. Antonio Riboldi

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (06/02/2005)

Vangelo: Mt 5,13-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.

"Sento in me una confusione, che è come camminare al buio...non sai dove vai...non sai cosa far e...hai paura di sbagliare tutto...e tutto è tristezza. Ho bisogno di capire, bisogno di luce "dentro". Ma chi può darmela?"

Parole che noi viviamo e sentiamo spesso. Quante volte noi vescovi, o gente comune, raccogliamo questa confessione, che è l'origine di una profonda, insopportabile tristezza! La vita non concede sosta nelle scelte di ogni giorno, nei rapporti che si hanno gli uni con gli altri, tra sposi, tra figli e genitori, ma un poco con chiunque.

Ho sempre amato la montagna ed anche il rischio che a volte questa comporta. Amavo il rischio. Con alcuni, ricordo, una notte tentammo di giungere in vetta, che era a 3.500 metri. Non avevamo alcuna pila con noi che facesse luce. Ci affidavamo al sentiero tracciato che a malapena si vedeva. Ad un certo punto in un bivio di sentieri, nel buio, scegliemmo quello che ci sembrava più facile e piano. Quel sentiero si fermava ad una fontanella. Davanti a noi ora si parava la scelta della scalata di una montagna, che si presentava irta come un muro pieno di sterpaglie. Decidemmo di non tornare indietro per il sentiero lasciato ed affrontammo l'arrampicata, senza vedere dove finiva e dove portava. Credevamo bastasse arrampicarsi con grande fatica, scivolando continuamente. Finché, nel buio assoluto, ci accorgemmo del pericolo in cui ci eravamo messi. Tornare indietro voleva dire cadere. Andare avanti era quasi impossibile. Finché decidemmo di gridare, senza sapere neppure, nella notte, se qualcuno da qualche parte ci avrebbe sentiti.

Fummo sentiti da alpinisti, che erano in un bivacco sul ciglio. Risposero al nostro grido, vennero in soccorso. Giunti al sicuro, la prima parola ci dissero: "Siete davvero dei folli. Avete rischiato la morte. Vi è andata bene, perché vi abbiamo sentito". Fattosi luce, guardammo dove eravamo, ed in effetti eravamo in un luogo senza ritorno e con il pericolo di perdere le forze e cadere in basso e morire.

Ed è così per tanti nella vita. Quando viene meno quella luce, che è la fede, e si fa scuro dentro di noi, siamo tentati di abbandonare il sentiero dell'anima, per donarci al sentiero, quasi in discesa, senza fatica. E viene il momento di trovarci, nel pericoloso buio dell'anima, con la paura che tutto sia finito.

Lo conosciamo tutti il sentiero "facile", che porta alla notte della paura: una paura che, a volte, porta a scelte estreme, come la droga, o il suicidio.

Basta guardare fissa negli occhi una persona, che ti si accosta con fiducia, senza i veli che nascondono l'anima, per "leggere" la luce o il buio, che sono l'atmosfera della sua vita interiore. Gesù, incontrando le persone, "le fissava dolcemente negli occhi", come fece con il giovane ricco, che rifiutò l'offerta di seguirLo, o con Zaccheo, che si lasciò subito conquistare: "Zaccheo scendi, oggi voglio entrare nella tua casa", o della samaritana al pozzo. E' la prima cosa che faccio quando incontro qualcuno che viene a parlarmi. Non ci vuole molto per leggere luce e notte in chi ti sta di fronte. Le parole che dicono, poi, possono solo alzare il velo. E se si riesce a donare luce - questo è lo Spirito che è in noi uomini di fede e di amore - è come se nel cuore dell'interlocutore si spalancasse il cielo e tutto diventa bello, come quando raggiunsi la vetta.

Dice oggi Isaia: "Così dice il Signore: Spezza il tuo pane all'affamato, introduci in casa i miseri, senza tetto, vesti chi è ignudo, senza mai distogliere gli occhi dalla tua gente. Allora la tua luce sorgerà come l''aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te comminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà: implorerai aiuto ed egli dirà: Eccomi! Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all'affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio" (Is. 58,7-10).

Ma bisogna che noi la chiediamo a Dio e ci sforziamo di liberarci dalle falsi luci, troppe luci, dal luccichio della ricchezza, alla banalità della bellezza fisica, al facile battimano del palcoscenico della vita, insomma da tutte quelle "cose" che, davanti alla serietà della vita, sono davvero cianfrusaglie destinate a creare confusione, arroganza, continua ansia, incertezza, insomma quel buio, che non ti abbandona mai; semmai ti concede momenti di ebbrezza, che svaniscono subito, lasciandoti l'amaro in bocca. Assistiamo tutti alla follia dell'enalotto, di tanti cioè che, ogni settimana, rincorrono la fortuna, indebitandosi, finendo vittime di una dipendenza che può portare al suicidio.

Ma quello non è vivere! O ancora peggio, non sapendo guardare alla luce vera, che è da Dio, che tiene con amore ben stretto nelle sue mani il nostro futuro, tanti, troppi, si affidano a maghi, negromanti, oroscopi, che creano illusioni e sono, per tanti, un vero modo di sottomettere le persone, fino a schiavizzarle, con il malocchio o altro, e conducendole alla rovina...facendo, di questa autentica rapina della fiducia, colossali fortune economiche.

Non so se chiamare tutti questi "veri ladri di fiducia" o noi ingenui che si fanno imbrogliare. Ma occorre uscire dalla ingenuità ed essere come dice il Vangelo "semplici come colombe, ma astuti come i serpenti".

Gesù oggi, a noi, che siamo suoi discepoli, chiede di più: chiede di essere "luce e sale della terra"; ossia gente che sa dare chiarezza nella vita, quella che è dono di Dio e questa Luce è sempre Lui che ce la dona con la Sua Parola e sapore della vita, che è la carità.

"Gesù disse ai suoi discepoli: Voi siete il sale della terra: ma se il sale perdesse il sapore, come lo potrà rendere salato? A null'altro serve che a essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata su un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt. 5,13-16).

Mentre scrivevo questi pensieri, fui interrotto da un giovane che veniva a salutarmi perché in partenza per un paese distrutto dal maremoto in Asia. Esplodeva di gioia, di luce. Era felice di una felicità troppe volte a noi sconosciuta, perché abbiamo abbassato le tapparelle della fede e della carità, rinchiusi nel ghetto del nostro egoismo. Alla domanda "Ma non ti fa paura? Non temi i disagi, le malattie, forse la morte?" Mi rispose: "Padre, è mai possibile tenere chiusa in una cassaforte la luce della fede e soprattutto la carità, che è fuoco donato dallo Spirito? Sono le due ali che Dio ci ha dato per volare vicino a chi soffre e sollevarli". "Quante aquile, pensavo, ai nostri giorni volano nel cielo del mondo, dove si soffre. Sono le migliaia di luci, a volte innominate, sparse nel mondo, e sono la luce ed il sale che tutti vorremmo essere, e sono Dio tra noi!" Guardavo la gioia di quel giovane e mi dissi: "Finché nel mondo c'è tanta luce, il mondo è bello, anche se con tanti crocifissi. Guai sparisse questo firmamento di luce posto sul mondo!"

Quanti sguardi vorremmo incontrare, sguardi che sono a volte disperazione, e sciogliere con il nostro, il gelo che si è formato sull'anima. Sapessimo come è bello creare "paradisi" veri! Mi scriveva una suora della Bolivia, mettendo nelle mie mani il destino di alcuni studenti, costretti a lasciare scuola e speranza, se non incontravano il sale della carità. Si chiamano Nonoska, Daniel, Mariela e tanti altri. Non esitai un istante a tendere la mano. Quello che scrissero è gioia di resurrezione: il miracolo del "sale della terra", ossia della carità.

E' possibile una buona volta mettersi le ali della fede e della carità, lasciando a terra pigrizia, egoismo e quant'altro è buio dell'anima, e farsi luce e sale? E' la bellezza della vita. Ripeto, a volte basta il sorriso di un fratello o di una sorella che scorge nei tuoi occhi luce e bontà, per innamorarti di essere "aquila di Dio".
Offro ancora una volta la poesia di Trilussa:
Quella vecchietta cieca che incontrai
la notte che me persi in mezzo al bosco
e mi disse: "Se la strada nun la sai
te ciaccompagno io, che la conosco.
Se ciai la forza de venimme appresso
de tanto in tanto te darò una voce
fino là in fonno dove c'è un cipresso,
fino là in cima dove c'è una croce".
Io risposi: "Sarà, ma trovo strano
che me possa guidà chi non ce vede".
La cieca allora, me pijò la mano
e sospirò "Cammina". Era la fede.

 

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