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TESTO Nella casa del Signore contempleremo il suo volto

don Walter Magni   Chiesa di Milano

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VII domenica T. Pasqua (Anno C) (08/05/2016)

Vangelo: Gv 17,1b.20-26 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 17,1b.20-26

1Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te.

20Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: 21perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.

22E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. 23Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.

24Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.

25Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. 26E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

Nella sequenza delle domeniche oggi ricorre la VII domenica di Pasqua. Attenendoci al titolo ufficiale, secondo il Rito ambrosiano, celebriamo tuttavia la Domenica dopo l'Ascensione. Già, ma quando abbiamo celebrato la festa dell'Ascensione? Il giorno liturgico previsto era giovedì scorso, giovedì dopo la VI domenica di Pasqua. Chi però se ne è accorto?

Cenerentola delle feste cristiane
È stato scritto che "l'Ascensione è diventata o tende a diventare la cenerentola delle feste cristiane" (Paolo Ricca). Eppure la Scrittura, la Parola di Dio ci parla a lungo dell'episodio dell'Ascensione del Signore Gesù al cielo. Luca ne parla due volte: alla fine del suo Vangelo e all'inizio degli Atti degli Apostoli. L'Ascensione è di fatto molto più ricordata del Natale. Mentre diamo grande rilievo celebrativo al Natale, l'Ascensione scivola via, senza che ce ne accorgiamo. "L'Ascensione è poco festeggiata perché la Chiesa esita a far festa nel momento in cui il suo Signore se ne va. La Chiesa festeggia volentieri il Signore che viene, ma non il Signore che parte; acclama colui che appare, ma non colui che scompare". Perché con l'Ascensione Gesù risorto diventa invisibile. Una invisibilità che umanamente fa problema. D. Bonhoeffer scriveva, infatti, che "l'invisibilità ci uccide". Perché noi non sopportiamo l'invisibilità. E proprio a causa di questa invisibilità ci allontaniamo, ci stacchiamo, ci dimentichiamo. Come dice anche un nostro proverbio: "Lontano dagli occhi, lontano dal cuore". Come dicessimo che, venendo meno la visibilità, allora si rompe anche la relazione con colui che non vediamo più. Del resto, dell'Ascensione di Gesù si dice proprio così: "Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo" (At 1,11). A conferma di quanto diceva un filosofo del secolo scorso: "Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (L. Wittgenstein). Se è stato sottratto al nostro sguardo, cosa possiamo dire di più?

Vedere con gli occhi della fede
Questo è il punto: se Gesù è stato sottratto al nostro sguardo fisico, tuttavia non è sottratto agli occhi della fede. Perché la storia che segue narra di una profonda presenza del Signore nel cuore dei Suoi discepoli, sino a sperimentare una gioia profonda. Una presenza molto segnalata dal libro degli Atti degli Apostoli. Ma anche dalla storia successiva, fino ad arrivare ai nostri giorni. Come se la storia che segue alla Sua Ascensione fosse una sfida permanente al nostro proverbio. Una dimostrazione che la lontananza di Gesù dai nostri occhi, non è la cancellazione della Sua presenza dal nostro cuore e dal cuore della Chiesa. Per i cristiani, infatti, l'invisibilità non è sinonimo di assenza, ma di un altro tipo di presenza: quella dello Spirito, in forza del quale Gesù è ancora più vicino di prima ai Suoi discepoli. Prima stava con loro, adesso abita dentro di loro. Anzi, sarebbe interessante notare come nei vangeli, proprio quella visibilità e tangibilità di Gesù, alla quale magari noi guardiamo con un po' di nostalgia, finiva per essere un ostacolo alla missio stessa del Signore Gesù. Perché tendeva a trattenerLo. Lo tratteneva in un paese così che non poteva più andare in un altro; delimitavano la Sua azione a partire da un miracolo, persino dentro un abbraccio (Maria Maddalena). Di fatto Gesù sarà stato visto fisicamente da qualche migliaio di persone. Con l'Ascensione, miliardi di uomini e donne l'hanno visto e lo vedono ancora, credendo in Lui, morto e risorto. Perché, come anche ci ricorda il Piccolo Principe: "Non si vede bene che col cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi". (A. de Saint Exupéry)

Nello sguardo Suo, imparo ad aspettare.
La questione sta tutta nel comprendere cosa significa che con l'Ascensione, Gesù è salito al cielo. O, come dice anche il Vangelo odierno, che Gesù alza gli occhi al cielo: "alzati gli occhi al cielo, disse". Gesù ci sta indicando il cielo del Padre Suo. Il Suo vero orizzonte visivo. Il cielo come casa di Dio, come luogo dove Gesù desidera semplicemente ritornare, abitare. Acquisendo in pienezza la Sua identità. "cielo non indica un luogo sopra le stelle, ma qualcosa di molto più ardito e sublime: indica Cristo stesso, la Persona divina che accoglie pienamente e per sempre l'umanità, Colui nel quale Dio e l'uomo sono per sempre inseparabilmente uniti" (Benedetto XVI, Omelia nell'Ascensione, 24.05.2009). Con l'Ascensione Gesù non guarda più soltanto al cielo del Padre Suo, ma entra in un rapporto definitivo con Lui. Altro è guardare al cuore di Dio come una mèta; altro è abitare questo cielo, standoci dentro. Come se, guardando a Gesù, dovessimo continuamente imparare a guardare alto, a guardare in alto. Senza rinchiuderci in piccoli orizzonti, in visuali corte. Imparando soprattutto ad aspettare il Suo ritorno. Mentre purtroppo abbiamo spesso l'aria di chi possiede quanto ci basta, più che non lo sguardo curioso e paziente di chi sa attendere ancora. Scrive P. Tillich: "Penso al teologo, che non aspetta Dio perché lo possiede rinchiuso in un edificio dottrinale. Penso all'uomo, di chiesa, che non aspetta Dio perché lo possiede rinchiuso in una istituzione. Penso al credente, che non aspetta Dio rinchiuso nella sua propria esperienza. Non è facile sopportare questo non avere Dio, questo aspettare Dio...". Anche questo ci insegna la festa dell'Ascensione al cielo di nostro Signore.

 

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