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TESTO Fratelli amatevi gli uni gli altri, come Io vi ho amati

mons. Antonio Riboldi

V Domenica di Pasqua (Anno C) (24/04/2016)

Vangelo: Gv 13,31-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 13,31-35

31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Sentiamo tutti la tristezza di vivere in una famiglia, in una società, che troppo spesso pare abbia perso il senso della propria umanità. Ha ragione Papa Francesco quando, riferendosi ai profughi che stava per visitare nell'isola di Lesbo, sabato scorso, ha scritto in un tweet:

"I profughi non sono numeri, sono persone: sono volti, nomi, storie, e come tali vanno trattati".

In questo mondo così autoreferenziale, ripiegato sopra i propri diritti, che ha trasformato in privilegi solo per se stesso, l'altro ormai è solo un numero, o un fastidio, o un pericolo, o un ostacolo, o un oggetto da sfruttare! Non sappiamo più guardarci e non ci rendiamo conto che, lentamente, è come se non vivessimo più e ci stessimo distruggendo in quello che di più bello il Signore ci ha donato, ‘essere a Sua immagine', quindi essere ‘per natura' portati a riconoscerci e farci dono reciproco del nostro amore.

La vita non ha nessun senso se nei rapporti, a cominciare dalla famiglia, fino all'umanità tutta, non viviamo la bellezza dell'amare ed essere amati.

C'era un tempo, di povertà, il tempo in cui i nostri padri erano costretti ad emigrare, per sostenere le proprie famiglie: quanti italiani si sparsero in altre parti del mondo! Quanta sofferenza nei distacchi, nelle incomprensioni, ma anche quanta solidarietà, amicizia, aiuto vicendevole.

Oggi questi valori sembra siano stati spazzati via dall'egoismo del benessere che, per fare posto alla cura delle cose senza vita, non fa più posto all'accoglienza. È un vero peccato ed è per questo che risuona forte e urgente il richiamo di Gesù, nel Vangelo di oggi:

"Fratelli, ancora un poco sono con voi. VI DO UN COMANDAMENTO NUOVO, CHE VI AMIATE GLI UNI GLI ALTRI, COME IO VI HO AMATO, COSÌ AMATEVI GLI UNI GLI ALTRI. DA QUESTO SAPRANNO CHE SIETE MIEI DISCEPOLI, SE AVRETE AMORE GLI UNI PER GLI ALTRI". (Gv. 13, 31-35)

È il grande testamento che Gesù ha consegnato alla Chiesa; il comandamento che distingue il cristiano dal mondo dominato dalla superbia, che porta non solo a isolarci in noi stessi, a essere indifferenti verso chi ci sta vicino, come non esistesse, ma anche a giudicarlo o fargli del male, per prevalere su di lui.

E in questi modi non solo è come se si cancellasse la presenza del fratello, ma si rischia di cancellare la Presenza e l'Amore di Dio dalla nostra vita: questa è la vera dannazione del nostro tempo!

Una delle mie preoccupazioni pastorali, sia come parroco nel Belice, sia come vescovo, era quella di amare con tutte le forze chi il Signore mi consegnava da amare, non badando alle difficoltà.

Tanto che un giorno, dopo il terremoto, ai fedeli che si chiedevano la ragione di quanto facevo, durante una Messa festiva, sentii il bisogno di esplicitarla: ‘Tutto quello che faccio ha una sola ragione, quella di amarvi con tutte le forze, perché so che per noi sacerdoti, e potrei dire per tutti, per ciascuno di voi, il sale della gioia è l'amore'. Era come se avessi dato sfogo al cuore e mi venne da piangere, tanto che, non riuscendo a frenarmi, mi riaccompagnarono nella mia baracca. Lo stesso mi fu chiesto da vescovo. Vedendomi impegnato con tutte le forze su tutti i fronti, compresa la guerra alla malavita, tanti si chiedevano la ragione: ‘E' solo perché so che il cuore della gente si lascia condurre dall'amore e per noi pastori amare con tutte le forze, in nome e con la grazia di Dio, come fece Gesù, è la sola strada'.

E non c'è opera più grande nelle famiglie, nelle parrocchie, nella società, che l'amore dato.

Ma è necessario che, come è scritto oggi nella I lettura, noi pastori, come sta facendo Papa Francesco, confermiamo i discepoli e li esortiamo a restare saldi nella fede ‘perché - dicevano Paolo e Barnaba - dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni'.(At 14, 21-27).

Non possiamo mai dissociare l'amore dal dolore, la resurrezione dalla Croce!

Ogni Pastore, che ama il popolo che gli è affidato, non può che richiamarlo continuamente agli insegnamenti dell'unico Maestro, Gesù. Per questo il beato Paolo VI, così proclamava l'urgenza del vivere come fratelli in comunità: "Il progresso civile viene scoprendo come esigenza, come conquista, ciò che Cristo, fattosi uomo come noi e nostro Maestro, già ci aveva insegnato dalle pagine, ma non pienamente comprese, non ancora universalmente applicate, del Suo Vangelo: ‘Voi siete tutti fratelli', cioè uguali, solidali, cioè obbligati a riconoscere che in ciascuno di voi è riflessa l'immagine dello stesso Padre celeste...Oggi la fratellanza si impone, l'amicizia è il principio di ogni moderna convivenza umana.

Invece di vedere nel nostro simile l'estraneo, il rivale, l'antipatico, l'avversario, il nemico, dobbiamo abituarci a vedere l'uomo, che vuol dire un essere pari al nostro, degno di rispetto, stima, assistenza, amore, come a noi stessi... Bisogna che cadano le barriere dell'egoismo e che l'affermazione di legittimi interessi personali non sia mai offesa per gli altri". La persona sempre innanzi tutto!!!

Del resto il Concilio stesso ha richiesto con forza, in ogni ambito, di passare al dialogo e alla collaborazione: un atteggiamento positivo che prelude ad un rovesciamento di mentalità, oggi più che mai necessaria. Inoltre il Concilio mette in relazione la paternità divina e la fratellanza umana, richiamando all'unità del genere umano e affermando con forza l'uguaglianza di tutti gli uomini.

È lo spirito conciliare e profetico che continua ad animare Papa Francesco, non sempre compreso.

Come ha detto nell'udienza generale del 13 aprile, parlando della contestazione rivolta direttamente a Gesù e ai suoi discepoli, ‘per il fatto che questi condividono la mensa con i pubblicani e i peccatori.', Papa Francesco ha precisato: ‘Chiamando Matteo, Gesù mostra ai peccatori che non guarda al loro passato, alla condizione sociale, alle convenzioni esteriori, ma piuttosto apre loro un futuro nuovo. "Non c'è santo senza passato e non c'è peccatore senza futuro". Questo è quello che fa Gesù... La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore perché si riconoscono peccatori e bisognosi del suo perdono. La vita cristiana quindi è scuola di umiltà che ci apre alla grazia.".

La Grazia di imparare, camminando, ad amarci come Gesù ci ha amati, per essere riconosciuti come suoi discepoli: preghiamo per ricevere questo incomparabile dono dello Spirito.

 

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