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TESTO Nelle tue mani, Signore, è tutta la mia vita

don Walter Magni   Chiesa di Milano

IV domenica T. Pasqua (Anno C) (17/04/2016)

Vangelo: Gv 15,9-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

Anche in questa domenica continuiamo a farci una domanda: cosa vuol dire stare dalla parte di Gesù Risorto? Scegliere di testimoniarlo non a parole, ma nei fatti? Direbbe il Vangelo di oggi: amando come Lui ci ha amati! Che poi vuol dire che andare oltre il mio io solito, marciare verso l'inedito, verso quelle possibilità che, in me, non hanno ancora trovato espressione e che nell'incontro con gli altri possono finalmente disvelarsi.

Fatti per una gioia piena
C'è tuttavia una premessa da fare: le parole del vangelo che abbiamo ascoltate sono parole dette per la nostra gioia. Richiedono tanta delicatezza e attenzione nel riportarle, nel commentarle. Se fossimo superficiali nell'ascoltarle ne andrebbe della nostra gioia: "Vi ho detto queste cose affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". È consolante accorgersi, pensare che la nostra gioia, dell'uomo e della donna, la mia gioia, la tua gioia, sta in cima ai pensieri di Dio. È tra le sue preoccupazioni più importanti. Come se la nostra gioia fosse la Sua più grande passione. Il nostro Dio non vuole la sofferenza dei Suoi figli. Se noi soffriamo, anche Lui soffre; se noi siamo felici, Lui gode nel vedere che il sorriso ci inonda ancora il volto. Ma il segreto profondo della gioia Gesù lo riversa tutto nell'amore. Come un fiume d'amore che Gesù riversa nel cuore dei Suoi amici. Come dice anche Paolo: "l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo". (Rm 5,5).
Amore, termine spesso inflazionato. Talvolta usato in modo piatto, sino a rasentare l'equivoco. Mentre il greco antico usava tre termini molto diversi dire l'amore. Eros per alludere alla sua dimensione sessuale; philia, per significare l'amore amicale e della condivisione; infine: agape, per esprimere un amore disinteressato e gratuito. Mentre il termine eros è pressoché assente nel Nuovo Testamento, l'amore del quale ci ha parlato Gesù è più facilmente tradotto con agape. Per esprimere la novità rivoluzionaria del Vangelo c'è che un detto, attribuito proprio a Gesù, che la descrive molto bene coniugandola con la gioia: "C'è più gioia nel dare che nel ricevere (At 20,35).

Rimanere nell'amore
Dunque, il segreto della gioia, quella gioia piena che tutti andiamo inseguendo, è profondamente intrecciato all'amore. "vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena (....): rimanete nel mio amore". Colpisce il verbo rimanere. Qui c'è qualcosa che va ben compreso. L'amore, infatti, non è qualcosa da conquistare, da raggiungere chissà dove, chissà quando, chissà come. No, l'invito è anzitutto a rimanere nel senso che alla base sta l'amore, c'è l'amore Suo e la questione è anzitutto quella di accorgersi che c'è. Come se Gesù dicesse: non scappare via, non andare lontano; rimani qui, rimani accanto a me, rimani in me! Spesso ci lasciamo affascinare dalla prospettiva di metterci noi a cercare Dio. Gesù, piuttosto, ci sta invitando a provare lo stupore che ti prende quando, rovesciata la prospettiva, ti accorgi che Lui, per primo è venuto a cercare te. I Suoi passi prima dei nostri passi. La Sua voce prima della nostra. Il Suo cuore prima del nostro. Così che ciò che importa è imparare ad ascoltare i Suoi passi, intuire il Suo trapelare nelle cose, scorgerLo nel sorriso di un bambino. Anche Giovanni ce lo ha ripetuto spesso: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma lui ha amato noi e ha mandato suo Figlio" (1Gv 4,10).
Mettersi in ascolto dei Suoi passi. Una verità che spesso scordiamo, anche a livello ecclesiale. Di qui tutta l'enfasi del nostro andare a portare Dio, a portare agli altri l'amore. Salvo accorgerci - se mai ci rimangono occhi per vedere e orecchi e cuore per ascoltare che già il Suo Spirito ci ha preceduti.

Fare il primo passo
Così siamo al comandamento: "Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati". Come? "Come io....". Il fatto è che a volte sbagliamo il modello. Amarti come? Come tu mi ami. E se allora tu mi ami di meno? Sarò in diritto di amarti di meno. Così però si finisce in un gioco pericoloso. "Come io vi ho amati": diceva e dice oggi Gesù. Fa' memoria di Lui. Gli altri modelli non reggono. Imparare a fare memoria di come Lui, per primo ci ha amati. Ecco il punto: fare il primo passo. Cioè: a chi tocca per primo? Dio, in Gesù, ha deciso che il primo passo tocca anzitutto a Lui. Perché così ad esempio si comporta un amico vero. Amico è una parola che Gesù rimette in gioco alla Sua maniera: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici (...).Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi...". Cioè: amare come Gesù ci ha insegnato significa non chiamare più servo qualcuno, costringendolo dentro un rapporto di dipendenza, un esecutore di ordini, ma scioglierlo, aprirlo alla possibilità, alla libertà dell'amore.
Un termine quello di amico e dell'amore specifico che andrebbe resuscitato, recuperato con maggior decisione anche nelle nostre chiese, nelle nostre comunità parrocchiali. Dove spesso predomina ancora talvolta la figura del superiore, l'immagine del capo ultimo e supremo dal quale un po' tutto dipende, sia dal punto di vista delle cose che delle persone. Potrà sembra irriverente talvolta cominciare ad usare il linguaggio dell'amicizia più che del servo. Ma proprio questo ci insegna ancora oggi Gesù. Perché come ha fatto Lui, così dobbiamo fare anche noi.

 

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