TESTO Ecco l'Agnello di Dio
don Roberto Rossi Parrocchia Regina Pacis
II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/01/2005)
Vangelo: Gv 1,29-34
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In quel tempo, Giovanni, 29vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Giovanni il Battista, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: "Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!"
In parecchi libri del NT (Giovanni, Atti, 1 Pietro, e soprattutto Apocalisse) Cristo è identificato con il termine "agnello"; questo tema proviene dall'AT secondo due prospettive distinte.
L'agnello pasquale. Quando Dio decise di liberare il suo popolo schiavo degli Egiziani, ordinò agli Ebrei di immolare per ogni famiglia un agnello «senza difetti, maschio, di un anno» (Es 12, 5), di mangiarlo alla sera e segnare col suo sangue gli stipiti della porta. Grazie a questo «segno» essi sarebbero stati risparmiati dall'angelo sterminatore che veniva a colpire tutti i primogeniti degli Egiziani. Arricchendo il tema primitivo, in seguito la tradizione giudaica diede un valore redentore al sangue dell'agnello: «In virtù del sangue dell'alleanza della circoncisione e in virtù del sangue della Pasqua, io vi ho liberati dall'Egitto». Grazie al sangue dell'agnello pasquale gli Ebrei sono stati riscattati dalla schiavitù d'Egitto e quindi sono potuti diventare «nazione consacrata», «regno di sacerdoti» (Es 19, 6), legati a Dio da un'alleanza e governati dalla legge di Mosè.
Il servo di Jahvè. Il profeta Geremia preannuncia il servo di Jahvè, che, morendo per espiare i peccati del suo popolo, appare «come un agnello condotto al macello, come pecora muta e che non apre bocca di fronte ai suoi tosatori» (Is 53,7).
«Egli sarà trafitto a causa dei nostri peccati, schiacciato per i nostri crimini, ma grazie alle sue
piaghe noi saremo guariti» (Is. 53, 5). E' l'agnello che libera tutti i popoli dalla perdizione,
prendendo su di sé tutti i loro peccati.
Questo testo, sottolineando l'umiltà e l'offerta della vita del servo, annunziava nel modo più vero il destino di Cristo. Ad esso rimandano gli evangelisti quando sottolineano che Cristo «taceva» dinanzi ai sinedriti e non rispondeva nulla a Pilato.
La tradizione cristiana ha visto in Cristo «il vero agnello» pasquale e la sua missione redentrice è ampiamente descritta neIla catechesi battesimale che sta alla base della prima lettera di Pietro, ed alla quale fanno eco gli scritti di Giovanni e la lettera agli Ebrei. Gesù è l'agnello (1 Piet 1,19; Gv 1,29; Apoc 5,6) senza difetto, cioè senza peccato, che riscatta gli uomini a prezzo del suo sangue. In tal modo egli li ha liberati cosicché ormai essi possono evitare il peccato e formare il nuovo «regno di sacerdoti», la vera «nazione consacrata».
Questa tradizione, che vede in Cristo il vero agnello pasquale, risale alle origini stesse del cristianesimo. Paolo esorta i fedeli di Corinto a vivere come azzimi, «nella purezza e nella verità», poiché «la nostra pasqua, Cristo, è stato immolato» (1 Cor 5, 7).
Gesù fu messo a morte la vigilia della festa degli azzimi, quindi il giorno della Pasqua, nel pomeriggio, nell'ora stessa in cui, secondo le prescrizioni della legge, si immolavano nel tempio gli agnelli. Dopo la morte non gli furono spezzate le gambe come agli altri condannati, ed in questo fatto l'evangelista vede la realizzazione del titolo dell'Esodo e della profezia di Geremia.
Quando le persone che gli erano accanto, udirono Giovanni Battista esclamare: «Ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo», compresero questo: che finalmente era apparso nel mondo colui che Dio aveva insegnato ad attendere come il liberatore, il redentore di tutti gli uomini, colui che sta davanti a Dio in rappresentanza di tutti e che paga per tutti. Raccogliendo quel grido all'inizio del suo Vangelo, Giovanni anticipa e preannuncia il destino finale di Gesù; mette già tutti sotto la Croce. Quell'agnello, secondo la profezia, dovrà essere trafitto per i nostri peccati. Per questo, sul Calvario, Giovanni si preoccuperà di ricordarci ancora una volta che egli è l'Agnello di Dio. Lo farà applicando a lui la prescrizione dell' Esodo «Non gli sarà spezzato alcun osso» che riguardava appunto l'agnello pasquale ed evocando implicitamente l'agnello mistico di Isaia, «trafitto per i nostri peccati».
Gesù non ha smesso il suo titolo e le sue sembianze di Agnello neppure con la sua morte. Egli era stato atteso, nell'Antico Testamento, come l'agnello immacolato che doveva venire; ora, dopo la sua risurrezione, egli attende l'umanità come «l'Agnello seduto sul trono». L'attende e l'accompagna dall'alto fino a che non siano riuniti intorno al suo trono tutti i redenti dal suo sangue. Così lo stesso Giovanni ci rappresenta il Signore nell'Apocalisse come l'Agnello «trafitto e in piedi», cioè morto e risorto, che attende la sposa per le nozze eterne: «Beati coloro che sono invitati alle nozze dell'Agnello», coloro, cioè, che andranno a ricongiungersi con il Signore nei cieli nuovi; beati, perché là sarà asciugata ogni lacrima, non ci sarà più morte, né dolore, né pianto (Apocalisse).
La parola di Dio ci offre, oggi, una sintesi della nostra fede. Le promesse e le profezie antiche fedelmente realizzate in Gesù, vero Agnello di Dio, divengono garanzia che anche la parte non ancora compiuta delle sue promesse si compirà infallibilmente.
Ma è anche una dimostrazione di vita, qualcosa cioè che sollecita la nostra volontà e la nostra mentalità. Gesù è l'Agnello di Dio che toglie i peccati. Egli salva cioè i peccatori. Per essere salvati da lui bisogna, dunque, riconoscersi e sentirsi peccatori, come diciamo all'inizio della messa.
L'Eucaristia che ora celebriamo raccoglie in unità tutto quanto abbiamo meditato. Essa rende presente tra noi l'agnello liberatore dell'Esodo, l'agnello redentore di Isaia «trafitto per i nostri peccati», l'Agnello che un giorno Giovanni Battista additò alle folle, l'Agnello della Croce e l'Agnello sul trono che ci attende. Rende presente e vivo tutto ciò per noi. Ecco perché, al momento di ricevere l'Eucaristia, anche oggi diremo con fede e con adesione fiduciosa: «Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo», "Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi, dona a noi la pace"