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TESTO Commento su Eb 1,1-6

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Natale del Signore - Messa del Giorno (25/12/2015)

Brano biblico: Eb 1,1-6 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,1-18

1In principio era il Verbo,

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

2Egli era, in principio, presso Dio:

3tutto è stato fatto per mezzo di lui

e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

4In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini;

5la luce splende nelle tenebre

e le tenebre non l’hanno vinta.

6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

9Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

10Era nel mondo

e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;

eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

11Venne fra i suoi,

e i suoi non lo hanno accolto.

12A quanti però lo hanno accolto

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome,

13i quali, non da sangue

né da volere di carne

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

14E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi abbiamo contemplato la sua gloria,

gloria come del Figlio unigenito

che viene dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

15Giovanni gli dà testimonianza e proclama:

«Era di lui che io dissi:

Colui che viene dopo di me

è avanti a me,

perché era prima di me».

16Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto:

grazia su grazia.

17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

18Dio, nessuno lo ha mai visto:

il Figlio unigenito, che è Dio

ed è nel seno del Padre,

è lui che lo ha rivelato.

Collocazione del brano
La messa del giorno di Natale ci presenta alcune riflessioni sulla persona di Gesù Cristo. Chi era? Qual era la sua missione? Ecco che la lettera agli Ebrei, proprio nel suo prologo ci ricorda che Gesù si colloca in una lunga storia in cui Dio non ha mai mancato di parlare al suo popolo attraverso i profeti. Ora però vi è stata una svolta: Dio ha parlato a noi direttamente attraverso suo Figlio. Ecco che in poche pennellate l'autore della lettera agli Ebrei ci parla di questo figlio.
Questa lettera, nonostante il titolo che le è stato dato già da prima del II secolo, non è una vera e propria lettera e non sembra essere stata inviata a una comunità di Ebrei. Dall'analisi approfondita del testo gli studiosi ipotizzano sia stata scritta da un discepolo di Paolo che si trovava in Asia Minore (l'attuale Turchia) e che aveva mandato un discorso scritto a una comunità già consolidata che viveva le crisi dell'età adulta (perdita di entusiasmo, stanchezza...) e alcune persecuzioni esterne. Il testo vuole dunque dare nuovo slancio a questa comunità e le ricorda i fondamenti della fede cristiana, soprattutto la centralità di Cristo.

Lectio
1Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti,
Prima di tutto stupisce che questa lettera non inizi con le consuete indicazioni di destinatario, mittente e parole di saluto. Come è stato detto, anche se viene chiamata lettera si tratta piuttosto di un'omelia, un discorso scritto, da leggere nel corso delle assemblee liturgiche. Il testo greco è molto curato dal punto di vista stilistico. Potrebbe essere stato intento dell'autore attirare l'attenzione con un testo ad effetto, oppure si tratta semplicemente di una formula liturgica già in uso nella comunità.
In questo primo versetto il protagonista è Dio, che durante i secoli ha parlato di sé agli uomini. Si tratta di una lunga storia, fatta di diverse tappe, diversi incontri tra Dio e i nostri padri. Questo termine va reso in senso ampio, i nostri antenati. Ha parlato attraverso degli intermediari, cioè i profeti, anche qui inteso in senso ampio, tutti gli uomini che a vario titolo hanno parlato di Dio. Questo parlare si è rivelato frammentario, incompleto. Si è dovuto ripetere molte volte e non sempre ha prodotto i risultati previsti.

2ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Il parlare di Dio attraverso i profeti ormai è finito. Ultimamente, cioè alla fine dei tempi Egli ha parlato attraverso il Figlio. Si tratta di una parola compiuta e definitiva. Ha parlato attraverso il Figlio, cioè non un soggetto qualunque, ma il proprio erede. Nella tradizione biblica l'eredità era molto importante. Già a partire da Abramo il popolo di Israele vive in situazioni precarie in cui avere un erede non era sempre facile. Proiettata nel futuro l'eredità riassume le speranze messianiche del Salmo 2,8. Il Figlio di cui si parla nella lettera agli Ebrei è l'erede universale, il legittimo Signore dell'universo ma anche colui nel quale si compiono le promesse messianiche di pace e libertà. Inoltre il Figlio sta all'origine dell'universo creato e della storia, poiché è associato in modo intimo e unico al primo gesto salvifico di Dio: la creazione del mondo.

3Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell'alto dei cieli,
Vengono qui date le indicazioni fondamentali per comprendere il rapporto tra il Padre e il Figlio. Il Figlio è irradiazione della gloria di Dio: questa espressione è presa da Sap. 7,26 e sottolinea il rapporto inseparabile che esiste tra Dio e il Figlio, come quello del raggio rispetto alla fonte luminosa. La seconda è simile e riprende il rapporto tra il sigillo e l'impronta che esso produce. Questa metafora dà un'idea della corrispondenza perfetta e autentica nella distinzione e diversità dei ruoli.
In rapporto al mondo il Figlio realizza il suo ruolo di creatore sostenendo tutto con la sua parola potente.
Si colgono qui le espressioni di Sap 8,1: "si estende da un confine all'altro, governa con bontà eccellente ogni cosa.
Il culmine della descrizione del Figlio si raggiunge nella seconda parte del versetto 3. Ciò che si afferma lo si comprenderà meglio nel corso della lettera agli Ebrei che dà molto spazio all'idea di Gesù come del sacerdote perfetto che compie il sacrificio di espiazione per i peccati (Es 30,30) una volta per tutte.
Questo atto di espiazione ha tolto di mezzo i peccati, cioè tutto quello che ostacolava il rapporto tra Dio e gli uomini. Perciò egli è degno di sedere sul trono accanto al Padre. Anche questa espressione rieccheggia testi biblici che dovevano essere familiari agli ascoltatori della lettera agli Ebrei (Sal 110,1).

4divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Il Figlio è superiore alle creature celesti che abitualmente circondano il trono divino. Egli è superiore a loro perché ben più importante è il nome che egli ha ricevuto. Cosa significa? L'autore lo spiega nel versetto seguente. E' suo artificio retorico annunciare un concetto al termine di una frase e spiegarlo poi nella frase seguente.

5 Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? E ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»?
Il Figlio è superiore agli angeli proprio perché è figlio, è stato generato da Dio. Qui si cita Sal 2,7, utilizzato nel giorno dell'intronizzazione del re. Il re veniva legittimato dichiarandolo figlio di Dio. Si tratta di una generazione che continua in una paternità e si concretizza nella qualità di erede, di cui si parlava nel v. 1.
Gli angeli invece fanno parte di tutte le realtà del mondo, create da Dio. Si può leggere in questi versetti una certa polemica verso l'angelologia giudaica che assegnava agli esseri celesti un ruolo mediatore nel governo del mondo o nella creazione, nel dono della legge, nell'intercessione a favore degli uomini.
Tutte queste attribuzioni sono legittime, ma non rendono gli angeli superiori al Figlio, il mediatore per eccellenza. Anche nel mondo pagano gli angeli avevano molta importanza, venivano assimilati a degli dei che governavano i corpi celesti e il movimento del mondo.

6Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».
Con questo ultimo versetto l'autore ribadisce la superiorità del Figlio rispetto agli angeli. Troviamo qui un aggancio con le feste natalizie che stiamo vivendo: quando introduce il primogenito nel mondo, è un riferimento all'incarnazione del Figlio. Gli angeli davvero lo hanno adorato nella notte di Natale, quando hanno portato l'annuncio ai pastori della nascita di Gesù.

Meditiamo
- In quali tempi e in quali modi Dio ha parlato ai nostri padri? Cosa diceva loro?
- In quale tempo Dio ha parlato a me attraverso il Figlio?
- Cosa penso degli angeli? In quale senso per me il Figlio è superiore agli angeli?

 

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