TESTO Commento su Giovanni 18,33-37
Carla Sprinzeles Radio Nichelino Comunità
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XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) - Cristo Re (22/11/2015)
Vangelo: Gv 18,33-37
33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Oggi si festeggia Cristo Re, a noi, detto così ci pare fuori tempo e poco importante.
Non è così, pensate che è stato il motivo per cui hanno ucciso Gesù, c'era scritto sulla croce!
Allora vediamo di capirci qualcosa.
Nella fantasia di molti, un re è felice perché possiede potere e ricchezza, perché fa quello che vuole, è al centro dell'attenzione, non ha nessuno sopra di lui.
Per chi non è re, è un'immagine negativa perché è sottomesso, dipende da qualcuno che gli fa da padrone, potrebbe essere qualcuno in famiglia, un capo o un collega di lavoro, sguardi altrui o incombenze a cui dobbiamo assolvere.
Cosa vorrà dire che "Re dei Giudei" è stato il capo di accusa che ha portato il Signore alla condanna e alla crocifissione?
Gesù chiede a ognuno di noi: "Dici che sono re, perché sogni il potere? Perché se mi elimini dalla tua vita, speri di regnare più tranquillamente sul tuo piccolo feudo? Oppure senti la mia regalità come una tua liberazione?"
"Il mio regno non è di questo mondo", non perché è dell'al di là, ma perché non è un regno basato sul potere, ma sull'amore che serve l'altro, che gli lava i piedi, che gli fascia le ferite, che sostiene la sua libertà, che lo sostiene da ogni dipendenza.
I potenti sembrano liberi, ma in realtà, sono schiavi del potere, del possesso.
Non si tratta quindi di un regno di Dio, che si impone dall'alto, ma di un regno che fiorisce sulla terra.
DANIELE 7, 13-14
Daniele è un profeta che descrive quello che vuol comunicare con delle figure apocalittiche.
Rappresenta con quattro bestie feroci le potenze politiche che hanno perseguitato il popolo ebreo: il leone, l'impero babilonese, l'orso, l'impero persiano, la pantera, il regno dei Greci e un'altra ancora più forte e potente delle altre, il potente di turno Antioco.
Verrebbe da scoraggiarsi: dov'è il Dio d'Israele?
Ecco la caratteristica dell'azione di Dio, Dio viene attraverso un "figlio dell'uomo che viene sulle nubi del cielo".
Viene "dalle nubi del cielo", ossia da parte di Dio, ma è un uomo che viene.
D'altra parte domenica prossima cominceremo l'avvento: è proprio la venuta di Dio nella storia degli uomini.
Dio non è il Dio del futuro dell'uomo, è il Dio dell'avvento dell'uomo.
Quando Dio viene, fiorisce un'umanità diversa.
E' però responsabilità nostra non scoraggiarci di fronte alla nostra debolezza e rimanere aperti all'azione di Dio, perché se noi non la lasciamo passare in noi è bloccata, l'azione di Dio non viene.
Dio tesse le fila della storia, attraverso di noi, siamo noi oggi gli attori protagonisti.
GIOVANNI 18, 3-37 Liberi come dei re, cerchiamo di essere uniti nella verità del messaggio d'amore di Gesù.
Oggi leggiamo il brano del Vangelo secondo Giovanni sulla condanna di Gesù, sul processo davanti a Pilato, che gli chiede: "Dunque tu sei re?"
Cos'è il regno di Dio?
E' l'azione con cui Dio sostiene la creazione e in particolare alimenta la storia umana, deve diventare azione di uomini e donne per costruire la storia.
Un regno diverso dai regni sulla terra.
Pilato ha una concezione strettamente politica e terrena e, a proposito della presunta regalità di Gesù, si preoccupa dei possibili concreti pericoli per il dominio romano, non capisce in che cosa possa consistere questo regno.
Gesù espressamente distingue il suo regno dai regni di questo mondo, e porta come prova la sua rinuncia a difendersi dall'arresto con la forza delle armi.
Attribuisce alla propria regalità un significato completalente nuovo: quello di rendere testimonianza alla verità.
Nella libertà, nella verità è sintetizzata tutta la sostanza dell'identità di Gesù e della sua missione.
Proprio nella sua condizione di imputato destinato alla croce, Gesù esprime il suo mandato.
Parlando a Pilato, non tanto si difende da un'accusa, quanto offre una rivelazione e la possibilità di passare dalla parte della verità prestando ascolto alle sue parole: "Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.."
Ma la battuta di Pilato: "Che cos'è la verità?", detta in modo sbrigativo, senza attendere risposta.
"E detto questo uscì", mostra solo l'impazienza e l'imbarazzo di chi non ha voglia né tempo di affrontare le grandi questioni esistenziali.
Per un altro verso, mostra che Pilato, come i giudei non appartengono a coloro che ascoltano Gesù e sono dalla verità.
Il regno di Dio è lo spazio dove non solo Gesù, ma tutti sono re, perché liberi di amare, ossia di rendere felice l'altro.
Cristo è re perché è indipendente da tutto quello che impedirebbe di operare il bene e perciò è in grado di offrire a tutti questa regalità.
Nel momento della condanna a una morte orrenda, Cristo resta libero di amare, non si lascia sommergere dalle negatività, continua a trasformare il male dell'ingiustizia nel bene del perdono.
Attraverso Gesù è emersa una nuova qualità di vita: ha realizzato un rapporto con le persone, in particolare con i poveri, con gli ultimi, con i peccatori, e ha cercato di diffondere, di dare le ragioni di questi atteggiamenti, che hanno cambiato realmente la storia umana. Certo ancora in modo limitato.
Oggi tocca a noi impegnarci perché l'avventura iniziata con Gesù si sviluppi in condivisione, in accoglienza dello straniero, in nuove modalità di rapporto.
L'impegno è una fedeltà alle esigenze attuali del regno di Dio nel mondo.
Non sempre sappiamo quali sono, occorre perciò riunirci, pregare, riflettere, confrontarci con la storia per far risuonare in noi la Parola di Dio, per capire i gesti nuovi che ci sono richiesti.
Non si può fermarsi al passato, occorre rompere gli schemi, anche se questo implica sofferenza.
Quello che ci consola è che anche se il processo di crescita può comportare sofferenza, l'azione di Dio è così potente, quando l'accogliamo e ci abbandoniamo con fiducia a lui, che siamo in grado di portare situazioni di incertezza, di tenebra, di insufficienza nelle quali ci possiamo trovare.
Occorre avere di fronte agli occhi l'esperienza di Gesù, che ha vissuto quella condizione così ingiusta e violenta senza venir meno al compito di amare, di testimoniare la misericordia di Dio.
Oggi saremmo tentati di perdere la fiducia, ma ricordiamoci che Gesù, di fronte all'autorità di Roma, proclamava la sua regalità nella debolezza, nella consapevolezza di essere in balia degli uomini, ma riesce a vedere un futuro diverso.
L'impero romano è scomparso, ma la tappa avviata da Gesù è ancora in corso.
Affidandoci a lui pur nella nostra incapacità di realizzare il progetto di Dio, cerchiamo di tenerlo ben presente e emergeranno qualità nuove non ancora espresse.