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TESTO Commento su Marco 9,30-37

don Michele Cerutti

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XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (20/09/2015)

Vangelo: Mc 9,30-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 9,30-37

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Gesù ha appena esposto il disegno del Padre che passa per la dimensione della sofferenza e Pietro non vuol sentire dire ciò, ma Gesù lo respinge.
La sequela a Cristo passa attraverso la croce.
Don Bosco fu chiaro sempre con i suoi salesiani: In paradiso non si va in carrozza.
Il discepolo è avvertito. Marco vuole indicare ai suoi uditori le caratteristiche del discepolo.
I discepoli non vogliono capire e subito si preoccupano di spartirsi il potere.
Sulla strada discutono su chi sarà grande nel regno dei cieli.
Gesù smonta con semplicità la loro visione. Viene preso un bambino ovvero un soggetto che nelle statistiche del tempo non veniva neppure conteggiato. Questo bambino viene indicato come modello.
Sì il cuore semplice di un bambino viene richiesto nel rapporto con Gesù.
Leggendo e rileggendo questo passo del Vangelo e confrontandolo con i paralleli degli altri vangeli sinottici (Luca e Matteo) passo in rassegna con la mente i nostri ambienti: parrocchie, comunità religiose, seminari e movimenti.
Presi nella logica dell'individualismo cerchiamo in ogni modo di gareggiare a prendere i primi posti.
Non comprendiamo e non riusciamo entrare nella logica che ogni ruolo richiama la logica di servizio.
Gesù il maestro ha vissuto prima Lui la frase: "Se uno vuole essere il primo sia servitore di tutti".
Nell'ultima cena il Maestro ha lavato i piedi ai discepoli proprio per plasticare con una icona la logica del servizio.
Gesù non ha voluto offrire una lezioncina è stato quella della lavanda dei piedi la premessa per compiere il gesto d'amore quello vissuto sulla croce.
Egli è il Maestro che vive ciò che insegna e in tal modo ci offre il modello a cui ci è chiesto di appropriarci.
Molto spesso nelle nostre parrocchie prendiamo un servizio come nostro non lo condividiamo perché ci smonta tutte le nostre certezze.
Nelle comunità religiose difficilmente cediamo un ruolo, un ufficio lo si ritiene di proprietà esclusiva.
Dobbiamo veramente crescere nella logica del servizio come dono al fratello.
A tutti rimane nel cuore e nella mente il gesto rivoluzionario di Papa Benedetto XVI l'11 febbraio 2013 quando sorprendendo il mondo annunciava la sua rinuncia al ruolo di Sommo Pontefice.
Quante congiutture proprio tipiche di chi vive nella logica del potere e non del servizio. Congiure di palazzo è la motivazione che ha tenuto banco per settimane.
Papa Benedetto ha avuto, invece, la lungimiranza di capire che la sua anzianità era un ostacolo e poteva compromettere il procedere della Chiesa.
Lui ha compreso di essere un semplice strumento dello Spirito Santo, ma come tutti gli strumenti umani occorre comprendere il momento di mettersi da parte e favorire un ricambio.
Questo gesto umile apprezzato da tutti è vissuto nei nostri ambienti parrocchiali e religiosi?
Questi ambienti non sono immuni da quelle gelosie e contese di cui parla Giacomo nella sua lettera.
Sono queste invidie a essere di scandalo e a creare le condizioni di impedire una visione bella delle nostre comunità.
Ci si divide su dettagli molto piccoli e più creiamo divisioni su questioni piccole più i danni sono irreparabili.
A questo si unisce la nostra incapacità di dialogo che porta queste ferite a non rimarginarsi.
Antidoto a tutte le nostre divisioni è il dialogo è la correzione fraterna.
Papa Benedetto ha detto di questo metodo evangelico di aiuto ai fratelli:
«L'amore fraterno comporta anche un senso di responsabilità reciproca, per cui, se il mio fratello commette una colpa contro di me, io devo usare carità verso di lui e, prima di tutto, parlargli personalmente, facendogli presente che ciò che ha detto o fatto non è buono. Questo modo di agire si chiama correzione fraterna: essa non è una reazione all'offesa subita, ma è mossa dall'amore per il proprio fratello».
Papa Francesco ha indicato la ricchezza della correzione fraterna:
"La correzione fraterna è un atto per guarire il corpo della Chiesa. C'è un buco, lì, nel tessuto della Chiesa che bisogna ricucire. E come le mamme e le nonne, quando ricuciono, lo fanno con tanta delicatezza, così si deve fare la correzione fraterna. Se tu non sei capace di farla con amore, con carità, nella verità e con umiltà, tu farai un'offesa, una distruzione al cuore di quella persona, tu farai una chiacchiera in più, che ferisce, e tu diventerai un cieco ipocrita, come dice Gesù. ‘Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio....'. Ipocrita! Riconosci che tu sei più peccatore dell'altro, ma che tu come fratello devi aiutare a correggere l'altro".
Di fatto, non bisogna lasciare nulla di intentato per raggiungere lo scopo e convincere il fratello a tornare sui suoi passi. Tutto questo esige un grande amore, perché il nostro fratello non sia umiliato. Ma in realtà, dobbiamo constatare quanto sia diventata difficile oggi la correzione fraterna. È diffusa la convinzione che anche la religione cristiana sia un affare privato. Anzi, l'esperienza spirituale è un fatto così intimo che non può tollerare nessuna intrusione.
Dobbiamo esercitarci alla franchezza fatta con umiltà a quella franchezza dei rapporti che rende bello il nostro appartenerci a una comunità che ha trovato in Cristo la gioia dello stare insieme.
"Vedi come si amano fra loro e sono pronti a morire l'uno per l'altro" è l'espressione di stupore che Tertulliano afferma sorgeva nei pagani che per la prima volta venivano in contatto con i cristiani.
Come sarebbe bello respirare quest'aria ancora oggi nella Chiesa del terzo millenio pronta alle sfide del mondo attuale.

 

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