TESTO Commento su Marco 8,27-35
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XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (13/09/2015)
Vangelo: Mc 8,27-35
27Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
A me piace molto conoscere gli usi e i costumi delle persone che sono vissute tanti e tanti anni fa, mi piacciono in particolare i castelli, mi piace immedesimarmi nel modo di vivere e di pensare di tutti coloro che ci hanno preceduto nei tempi più remoti.
Per questo motivo mi sono costruita, nella mia immaginazione, una specie di "macchina del tempo", e così qualche volta mi faccio "trasportare"...
Oggi, riflettendo su questo brano dell'evangelista Marco, ho messo in funzione questa mia macchina ed ora mi ritrovo in quel luogo, assieme a Gesù ed ai discepoli.
E' un posto bellissimo: camminiamo costeggiando la sponda del fiume Giordano.
Siamo partiti dal lago di Tiberiade che è circa 200 metri sotto il livello del mar Mediterraneo e ci stiamo dirigendo verso Cesarea di Filippo, città fatta costruire, appunto, da Filippo, figlio di Erode il Grande. Questa città-capitale che si trova all'estremo nord della terra di Israele, è situata sotto il monte Hermon e si trova ad una altezza di circa 300-400 metri sopra il livello del mare.
Per arrivare là dunque, il nostro viaggio, rigorosamente a piedi, è in salita: sono circa 50 Km, nemmeno tanti visto che a quel tempo le gambe di tutti erano super allenate!
Che posti meravigliosi!
Una vegetazione rigogliosissima con una grande varietà di cascate: il fiume Giordano, infatti, nascendo dal monte Hermon, si getta nel lago di Tiberiade scendendo ad un livello più basso di circa 500 metri.
Ecco dunque che io, camminando, da persona invisibile, assieme a Gesù e ai discepoli, mi ritrovo nel bel mezzo della conversazione.
Gesù si sta dirigendo a Cesarea perché terra di pagani, e questo perché lui vuole portare il suo messaggio di salvezza a tutti i popoli, anche al nord, ai confini cioè più lontani.
I discepoli parlano di tante cose in questo viaggio. Loro seguono sempre Gesù, vivono con lui per cui lo conoscono bene e sono fieri di essere amici di un personaggio così grande! Nello stesso tempo hanno rapporti anche con tutte le persone che vengono a contatto con Gesù, sentono i loro pareri, le opinioni su quest'uomo così particolare che riesce a coinvolgere, a radunare e trascinare le folle. Non si sa bene ancora chi sia questo Maestro, sicuramente è una persona straordinaria che pone interrogativi, che non lascia indifferenti.
Gesù, che sa bene tutto questo, chiede ad un certo punto ai suoi discepoli:"La gente, chi dice che io sia?".
I discepoli riferiscono le varie opinioni: qualcuno dice Giovanni il Battista, altri Elia, altri un profeta... tutti personaggi importanti.
Io, che sono lì che ascolto, mi chiedo: se Gesù facesse questa domanda a me che sono nel XXI secolo, cosa direi?
Anch'io, come i discepoli, pensando al mondo in cui vivo, sento molte disparità di opinioni: tanti lo riconoscono come il Figlio di Dio, altri come un uomo mite e di pace, altri lo riconoscono come uno fra i molti, forse il più buono di tutti, altri ancora non lo conoscono affatto, o peggio, non lo vogliono conoscere perché si credono autosufficienti...
E in questo mio mondo, le tante persone che credono in Lui vivono di conseguenza e le altre che non credono in Lui, anche loro, purtroppo, vivono di conseguenza...
Ma a questo punto a Gesù non importa tanto di quello che dice la gente, non gli interessano i sondaggi e fa una domanda che entra nel profondo del cuore: "Ma voi, chi dite che io sia?".
Pietro gli risponde: "Tu sei il Cristo", il Messia, cioè Dio stesso.
Risposta grande, questa di Pietro, sicuramente ispirata dallo Spirito Santo.
Il messia che il popolo d'Israele aspettava, infatti, non corrispondeva certo alla persona di Gesù, così umile, così mite, così misericordioso... secondo gli Israeliti avrebbe dovuto essere un re potente, capace di instaurare un regno umano e politico, capace di respingere il nemico oppressore: i Romani.
Appena Pietro finisce di parlare, sento che Gesù rivolge anche a me questa domanda: "Ma tu, Maria Teresa, chi dici che io sia?".
Ed io pronta: "Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo!".
Ma subito mi rendo conto che questa mia risposta ha origini diverse da quella data da Pietro, perché io vivo nel 2015, perché me lo dice la mia fede che mi è stata tramandata dalla mia famiglia, dai tanti testimoni del vangelo che si sono susseguiti in tutti questi secoli, dall'amore degli altri che mi trasmettono l'amore di Dio, dalla grazia che ricevo con i Sacramenti...
Ed allora sento che questo mio dire: "Tu sei il Cristo", per me, in questo momento della storia, non è sufficiente. Gesù vuole molto di più da me, non vuole che lo riconosca semplicemente...
Lui non è una persona del passato, è "il Risorto", cioè una persona viva, presente oggi, che mi chiama non solo a riconoscerlo ma a vivere come Lui.
Allora, questa domanda, la interpreto così: "Che cosa sei disposta a dare per venirmi dietro?
Quanto della tua vita sei disposta a mettere in gioco per me?".
Cosa significa mettersi in gioco? Esprime una delle qualità più importanti di ogni essere umano: la disponibilità.
E' come quando la mamma ti chiama e ti dice:"Dai! Vieni ad aiutarmi!". E tu che volevi stare un po' tranquillo ad ascoltare musica, a leggere, a riposarti...
E invece no!
Mettersi in gioco è dire: "Eccomi, ci sto", è lasciare tutto ed andare verso gli altri, è andare incontro alle loro esigenze e ai loro bisogni anche se sarebbe più comodo restare.
Mettersi in gioco significa dare tutta la nostra disponibilità a quel Gesù che sempre ci chiama, ci cerca e ci aspetta...
E Lui ci chiama, ci cerca e ci aspetta in tutte le persone: grandi o piccole, povere o ricche, belle o brutte, simpatiche o antipatiche, amici o nemici...
Credere, infatti, non vuol dire essere convinti che Gesù esiste, che è esistito, che ci ha proposto un nuovo stile di vita, credere vuol dire vivere ascoltando e mettendo in pratica la sua Parola.
Allora Gesù mi dice: "Concretamente, Maria Teresa, vuoi impegnarti affinché la tua vita diventi simile alla mia?" .
Io gli rispondo Sì, ed è un Sì che ogni giorno devo rinnovare.
Pur con tutte le mie fragilità, debolezze e limiti sono sicura che Lui mi aiuterà in questo cammino in salita.
Non sempre è facile, anzi, ma è proprio quando è più difficile, quando ce la mettiamo tutta che il Signore è contento di noi!
Lui infatti guarda le nostre intenzioni, legge nel nostro cuore e ci dona sempre la sua misericordia perché sa che siamo fragili ma nello stesso "forti della sua forza".
Quante volte, infatti, proprio quando ci sembra di non farcela più, ecco che riusciamo a fare cose impensabili...
Questa domanda la fa anche a voi, bambini: "Voi, chi dite che io sia?"
Cosa rispondete a Gesù?
Siete disposti a mettervi in gioco per Lui?
Commento a cura di Maria Teresa Visonà