TESTO Un Rabbì, molti fratelli
Paolo Curtaz Ti racconto la Parola
XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/11/2002)
Vangelo: Mt 23,1-12
In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Strana epoca la nostra. Siamo tutti allergici all'autorità, all'obbligo, indispettiti quando qualcuno fa pesare il suo ruolo, tutti - giustamente - vogliosi di autonomia e di libertà, non sappiamo fare a meno di affidarci al "guru" di turno, al mistico che - più o meno ragionevolmente - ci dia un consiglio, una dritta sul come risolvere i nostri problemi, sul come affrontare le nostre fragilità. Il nostro è un tempo pieno di maestri, di tuttologi, di opinionisti, più aumenta il senso di insicurezza e la relatività del pensiero e più aumentano coloro che hanno qualcosa da dire.
In questo clima si inserisce, oggi, il pensiero sconcertante di Gesù, Maestro diverso, guru che non coltiva l'immagine della sua persona, leader che si occupa più dei suoi discepoli che del suo successo, Gesù è e resta un Maestro unico nella storia, che non si è lasciato travolgere dal potere ma che, al contrario, ha scoraggiato da subito fanatismi e atteggiamenti immaturi da parte dei suoi discepoli.
Gesù vive in un contesto in cui l'autorità religiosa era dato acquisito: la storia di Israele era zeppa di rabbini, persone sante e motivate, che avevano fondato scuole di pensiero. Gesù, però, ridicolizza gli atteggiamenti dei meno grandi rabbini suoi contemporanei, che pensano più all'apparenza che alla sostanza, che giocano con la loro autorità. La conclusione di Gesù è indiscutibile: l'unico vostro Maestro sono io, voi siete tutti fratelli.
Abbiamo bisogno, ancora oggi, di persone significative che ci diano una mano nel difficile mestiere del vivere, parole che non siano abitudine o sicumera ma profezia e speranza. Tutti abbiamo un maestro (o più di uno): l'opinione della gente, i miei appetiti, il vincente di turno... l'importante è scegliersi il Maestro giusto. Ai discepoli del Nazareno è chiesto di avere solo lui al centro della vita, le sue parole e i suoi gesti, e di seguirlo con riflessione adulta, con passione ferma e critica, con verità del cuore, senza deleghe, alla scoperta di un Dio adulto che ci tratta da adulti.
Questa parola ha delle forti conseguenza anche nella comunità cristiana: nella Chiesa, l'autorità è servizio, ministero. Siamo tutti fratelli, tutti salvati, tutti perdonati. E in questo popolo di salvati ognuno ha un ruolo, un compito, un ministero appunto: i presbiteri quello dell'annuncio della Parola, della celebrazione dell'Eucarestia e dell'amministrazione del perdono. I laici quello della santificazione personale e dell'annuncio del Vangelo nel loro contesto di vita. Siamo tutti fratelli, ci ammonisce Gesù.
Due, allora, le conseguenze di quest' affermazione: per i presbiteri, i vescovi, l'ammonizione di Gesù a ricordare che il nostro ministero è sempre e solo servizio al Regno, mai opinione, mai esteriorità, mai prevaricazione, anche se venduta come utile alla costruzione del Regno. E' chiesta a noi Pastori la fatica evangelica del dialogo, l'umiltà (vera!) nata dalla coscienza dei propri limiti, la capacità di chiedere scusa dopo uno sbaglio, la passione e l'amore verso i fratelli che ci sono affidati.
E ai laici questa pagina ricorda che la comunità è loro, ne fanno parte, la animano. Ancora troppe sono le comunità che delegano al parroco "factotum" la gestione dell'annuncio, troppo i fratelli che seguono da una parte all'altra della città il predicatore affascinante. No! Siamo fratelli significa che tutti ci prendiamo cura del buon andamento della comunità, passiamo dalla visione dell'appartenenza alla Chiesa come evento asfittico e ininfluente alla scoperta di essere famigliari di Dio.
Una seconda riflessione è indirizzata alle persone che, per grazia, hanno vissuto un'esperienza più approfondita del Vangelo. Così i catechisti, gli appartenenti a movimenti e associazioni... Il rischio è quello descritto da Gesù, diventare dei professionisti del sacro, dei primi della classe e, in tutta umiltà, considerarsi così.
Anche qui sono due i rischi da evitare: pensare che il proprio modo di vivere l'esperienza cristiana sia "il" modo. Il Vangelo è uno, le sensibilità molte e lo Spirito continuamente suscita esperienze che appartengono alla Chiesa ma non sono "la" Chiesa. E il secondo rischio è quello della fedeltà alla quotidianità della Chiesa. Che ci piaccia o no la comunità cristiana ha scelto di annunciare il Vangelo stando in mezzo alla gente, nella Parrocchia. Che questa fontana del villaggio, come la definiva Giovanni XXIII, ritorni ad essere comunità viva, vivace, coinvolgente, centro del nostro annuncio evangelico...