TESTO Con la prova, la forza per superarla
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (09/08/2015)
Vangelo: Gv 6,41-51
41Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Gesù è quindi il pane vivo disceso dal Cielo e credere in Lui è condizione indispensabile di vita eterna. Lo si deve assumere sia nel senso metaforico di configurarsi interamente a Cristo, nel vivere costantemente di lui e nell'aderire a lui nella globalità della nostra vita, sia nel senso materiale e specifico del pasto eucaristico. Oggi si prosegue nella medesima riflessione con una variante concreta, che costituisce uno degli effetti dell'assunzione del pane di vita: il coraggio e la fiducia. In primo piano emerge il profeta Elia, che al capitolo 17 della 1Re compariva quasi improvvisamente mentre i corvi gli portavano da mangiare e successivamente quando veniva accolto e rifocillato da una vedova di Zarepta. Nelle pagine odierne invece il profeta è visibilmente sfiduciato e abbattuto, dopo essere riuscito ad evitare la vendetta della regina Gezabele che gli faceva dare la caccia per aver lui ucciso 450 profeti di Baal. Si ritiene infatti non all'altezza della propria missione, non "migliore dei suoi padri", inadatto e forse anche indegno, per cui, mentre sosta sotto un albero di ginepro, chiede a Dio di "prendere la sua vita". Cioè di farlo morire. Sensazioni simili che interessano non di rado tutti i ministri di Dio, come allora anche ai nostri giorni. Ben pochi sono coscienti ad esempio di quante difficoltà comporti il ministero sacerdotale o il ruolo di chiunque, anche come laico, si prodiga per la Parola di Dio o per il servizio della comunità ecclesiale e come le incomprensioni altrui tante volte determinino scoraggiamenti e depressioni. Soprattutto di fronte alle immancabili critiche e alle gratuite insinuazioni della gente, ai pregiudizi e alle illazioni infondate, ci si ritrova tante volte soli e indifesi e non di rado subentra perfino la tentazione di dover abbandonare il campo, poiché il senso di sfiducia e di inadeguatezza ci pervade. Ben pochi sanno che un sacerdote (soprattutto un parroco secolare) si trova a dover lottare da solo contro tutti affrontando miriadi di questioni pastorali dovendo difendere il magistero della chiesa. E soprattutto ben pochi sanno che in circostanze come queste, appunto perché si è soli, non si usufruisce del conforto di una buona parola di un parente o del sostegno di chi sa comprenderti. Ad una ragazza che lamentava di essere oggetto di pettegolezzi e di ingiurie da parte di terzi, obiettavo tempo fa che anch'io ho imparato (spero) a convivere con i pregiudizi e le dicerie della gente. Lei mi ha risposto "Padre, ma lei lo ha accettato per missione... E' tenuto a sopportare questo. Io invece ne vorrei essere dispensata..." Eh già, noi siamo tenuti a sopportare e a immolarci. Siamo tenuti all'eroismo e all'immolazione. Che però anche noi siamo esseri umani alla pari degli altri e non superuomini, questo poco lo si considera.
Nella vita pastorale come pure in tutta la dimensione cristiana, siamo sempre oggetto di cattiverie e altrui e vittime di scoraggiamenti e a volte si cade nella tentazione all'arrendevolezza. Come dice il libro dei Proverbi, del resto "Figlio, se servi il Signore, preparati alla tentazione", ma quale insidia maggiore può tenderci il maligno se non quella della disperazione e dello sconforto? L'avventura umana e soprattutto quella cristiana incontrano non poche occasioni di scoraggiamento e di afflizione e occorre considerare che qualunque itinerario abbiamo intrapreso e qualsiasi obiettivo ci siamo prefissi, le difficoltà e gli smarrimenti saranno sempre assicurati; lo stesso successo non è altro che il computo di una lunga serie di sentieri a volte gioiosi e proficui, a volte deludenti e sconcertanti e non è raro il caso in cui si incontrano sul nostro percorso anche dei fallimenti temporanei che ci abbandonano all'idea di dover gettare la spugna.
Occorrerebbe credere in Dio, ma anche avere fiducia in se stessi e soprattutto non riportare indietro le parole che ci feriscono o le sferzate demoralizzanti che ci vengono inflitte. Quanto poi ai giudizi in negativo da parte di altri che ci reputano "non all'altezza", è molto meglio non considerarli, perché, quando presi sul serio, possono costituire per noi una vera e propria tentazione demoniaca: per mezzo delle prole umilianti di chi ci dice di non avere le capacità, sfruttando la nostra sensibilità alle critiche e ai pregiudizi, l'Avversario tante volte ottiene l'obiettivo di farci arrendere o non perseverare negli ideali o negli obiettivi. Esperienze personali.
Fortunatamente non mancano gli strumenti di grazia e io stesso ho sperimentato che se il Signore concede delle prove, con esse ci da' anche la forza per poterle superare. Che non ci tenta oltre le nostre forze, ma con la tentazione dà anche la via d'uscirne, perché la possiamo sopportare (1Cor 10, 13)
sono la nostra sfida.
Nella vicenda che riguarda Elia, il Signore offre del pane al malcapitato suo uomo e gli incute coraggio, conforto e forza come del resto avviene a tutti coloro che vengono debitamente attrezzati per una missione: Dio li invia e da anche ordini, ma non manca di offrire il suo sostegno e di dare motivazioni di fiducia e di perseveranza costante. Dio ci solleva e ci conforta laddove gli uomini tendono ad abbatterci. Dio dona ad Elia il pane, senza neppure prendere in considerazione le richieste quasi istintive del profeta, che supera l'angoscia e lo scoramento per rimettersi in cammino e proseguire il suo itinerario per ben 40 giorni e 40 notti.
Come ben sappiamo, nella Bibbia il numero 40 indica un imprecisato tempo di lotta e di mortificazione. Elia supera anche questa ulteriore sfida necessaria con la forza del pane procuratogli da Dio e le sue battaglie avranno sempre esito felice, non ultima la sua assunzione al cielo. I meriti di Elia sono infatti esaltanti, poiché egli non viene ucciso, ma scomparirà su un carro di fuoco elevato verso la volta celeste e addirittura il suo ritorno verrà riscontrato nella persona di Giovanni Battista. Tutte ricompense e con decorazioni proporzionate alle sofferenze patite e alla fedeltà costantemente vissuta.
Ma se Elia, alla pari di altri personaggi dell'Antico Testamento e dell'intero popolo di Dio, ha tratto forza dal pane garantitogli da Dio, ebbene Cristo Verbo incarnato, pane vivo disceso dal cielo propone se stesso a noi come alimento Farmaco di immortalità: nella presenza eucaristica egli stesso si fa nostro cibo per sostenerci nelle vicende di tutti i giorni e per infonderci sempre costanza nella prova e fiducia nella lotta.
E' questa la ragione per cui Cristo ci si rende pane materiale e spirituale allo stesso tempo, favorendo la ripresa delle nostre forze e lo slancio nelle nostre attività in vista degli obiettivi finali animando la nostra prosecuzione nell'itinerario verso di lui e nella vita con lui. Il Sacramento domenicale è alimento di fiducia e di costanza e perseveranza nella prova e chi lo assume configurandosi allo stesso Cristo e conformandosi a lui in ogni circostanza, anche se non immediata, avrà la sua vittoria certa.