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TESTO Commento su Marco 10,35-45

don Michele Cerutti

VIII domenica dopo Pentecoste (Anno B) (19/07/2015)

Vangelo: Mc 10,35-45 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Il popolo si mostra infedele. E' stato liberato dalla schiavitù in Egitto e ha toccato con mano la grandezza di Dio nel deserto. Ha raggiunto la terra promessa e a Sichem ha rinnovato la sua alleanza promettendo di non mischiarsi con le divinità Baal. Muore Giosuè e iniziano le infedeltà. I figli abbandonano la fede dei Padri.

La Parola di Dio nella prima lettura ci richiama quel senso di responsabilità di ogni cristiano di far sì che la fede non abbia una interruzione generazionale, ma sia invece diffusa. C'è la responsabilità di chi avendo toccato con mano la grandezza di Dio nella propria vita non può trattenersi questa gioia, ma deve diffonderla.

Il brano prosegue con l'ira di Dio nei confronti del popolo. Egli svolge la funzione di pedagogo, punisce per correggere. Infatti mette dei Giudici a governare il popolo. Da quando il Padre ci ha donato Cristo siamo noi che in un certo senso ci puniamo. La strada che abbiamo perso è difficile ritrovarla. Non dobbiamo perderci d'animo abbiamo un avvocato presso il Padre e da Lui dobbiamo cercare di non staccarci per percorrere una strada dal sentiero sicuro senza sbandare.

La modalità dell'annuncio ci viene insegnato da Paolo. La lettera che è proclamata questa domenica è il primo scritto del Nuovo Testamento. Paolo ci dice come deve essere il discepolo. Annuncia il Vangelo con la propria vita. Bisogna lavorare perché Fede e Vita non siano mai in dissonanza tra di loro. Paolo lavora in quella comunità cercando di non essere di peso a nessuno e vorrebbe dare la propria vita per la comunità.

La fede non è trampolino di lancio per scelte di potere. E' la lezione che questa domenica Gesù da' agli apostoli.

I fratelli, figli di Zebedeo, nella loro semplicità assumono anche una certa simpatia. Quando entrano in Samaria davanti a quel modo di procedere dei samaritani che non accolgono il Maestro invitano Gesù stesso a far scendere il fuoco. Oggi escono allo scoperto e chiedono, quello che altri covavano come richiesta, ma si vergognavano di esporre, un posto di prestigio quello di sedere a destra e sinistra nel regno di Dio. Non hanno fatto la figura dei primi della classe, ma per Gesù è stato utile per insegnare a tutti quelli che si indignavano a non cadere anche loro nello stesso errore.

La sequela di Gesù non va letto nella logica di potere, ma nella logica del servizio. Fuori dalla logica umana di acquistare il potere a tutti i costi. Un potere che deve diventare già su questa terra in questa logica.

Esempi meravigliosi li abbiamo. Penso a Re Baldovino di Belgio.

A rendere l'ultimo omaggio al "re buono", il giorno del suo funerale, è venuta anche una giovane prostituta filippina, Luz, una delle vittime della tratta delle "schiave del sesso", salvata dalla strada e dalla prigione grazie all'intervento di Baldovino. Poche frasi in inglese, lette dal pulpito: "Vengo da Manila. racconta Luz. Mi era stato promesso un buon lavoro in Europa. Ma qui alcuni uomini belgi ci hanno chiuso in un club e costrette a prostituirci. Abbiamo pianto, ma nessuno ci ha aiutato. Ci trattavano come schiave. Sono fuggita, ma la polizia mi ha arrestata". "L'anno scorso. aggiunge Luz. il re è venuto a trovarci ad Anversa. Eravamo in cinque. Il re mi ha preso la mano e mi ha ascoltato. Ed è stato il solo". I belgi hanno osservato stupiti la ragazza che piangeva mentre Chris de Stoop, autore di un'inchiesta sullo sfruttamento, leggeva la testimonianza: "Ci sono troppe vittime in questo Paese. Il re si batteva contro questo commercio del sesso. Ora, noi abbiamo perso un amico".

In un articolo tratto da Tempi riporto un articolo che mi colpisce sempre:

Il 4 aprile del 1990. In Italia c'era fermento per i Mondiali quando le Camere del Belgio approvarono un disegno di legge che depenalizzava l'aborto entro le prime dodici settimane di gravidanza. Il popolo belga aveva detto sì attraverso i suoi rappresentanti, ma c'era un problema: il re.

La legge, per concludere il suo iter, aveva bisogno della sua firma di ratifica, ma la sua mano proprio non ce la faceva a firmare. Qualcosa, in lui, diceva di no a quella prassi che aveva tutti i crismi della correttezza istituzionale: democratica, moderna, evoluta. Si rischiò la crisi istituzionale. Alla fine dovette cedere, ma con uno di quegli stratagemmi che ti fanno amare gli stratagemmi. Cedette l'uomo di stato, non l'uomo. Re Baldovino abdicò per due giorni, smise di essere re per permettere l'iter legislativo in sua "assenza". Non fermò la legge sull'aborto, ma neppure la firmò.

Ci insegnò una cosa grande, di fronte ai nuovi miti della modernità, del "ce lo chiede l'Europa", del "non si può fermare la storia". Ci insegnò che esiste una coscienza, nell'ultimo suddito come nel suo re. «So che agendo così - scrisse al Capo del Governo Wilfried Martens - non scelgo una strada facile e che rischio di non essere capito da un buon numero di concittadini. Ma è la sola via che in coscienza posso percorrere».

C'era una volta un re di nome Baldovino. Lui e sua moglie, la spagnola Fabiola, avevano una grande fede cattolica. Avevano anche un dispiacere: non avevano potuto avere figli.

Ecco i re da cui trarre esempi anche nella nostra vita semplice.

 

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