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TESTO Re di un popolo libero

don Fulvio Bertellini

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (20/11/2004)

Vangelo: Lc 23,35-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

I capi

I capi religiosi del popolo scherniscono Gesù, e lo sfidano nella sua pretesa di essere il Cristo salvatore: "salvi se stesso, se è l'eletto di Dio". Il paradosso è che Gesù è l'eletto non per salvare se stesso, ma per salvare gli altri. Altrimenti dovrebbe punire, condannare. I capi del popolo - che esercitano insieme il potere religioso e quello politico - pensano che Gesù debba essere re alla loro stessa maniera: gelosia del comando, dimostrazioni di forza, punizioni per chi sbaglia, guardarsi dagli amici e dai nemici. E soprattutto, far pagare gli sbagli. Gesù però non è lì col taccuino delle multe in mano. Prende su di sé i nostri peccati. Insieme a quella croce che si carica sulle spalle. In cui si condensa il peccato passato di Israele, il peccato a lui contemporaneo (il rifiuto del suo popolo e la prevaricazione dei Romani), e il peccato futuro, quello di ogni tempo, anche il nostro.

I soldati

I soldati rappresentano il potere militare e politico di Roma. E anche da quel punto di vista, la pretesa di Gesù è incomprensibile. Assurdo pretendere di instaurare un regno senza usare la forza, senza un sostegno economico, senza avere la possibilità di distruggere i propri nemici. La loro sfida è diversa: "se sei il re dei Giudei, salva te stesso". Il paradosso è che veramente Gesù è re, ma in un modo diverso rispetto agli altri capi dei popoli: questi "dominano le nazioni, ed esercitano su di esse il potere", ma nel suo regno "il più grande si fa schiavo e servo di tutti". Nei regni umani, il re è l'unico veramente libero, gli altri sono tutti suoi schiavi. Certamente, il potere può essere usato in maniera più o meno responsabile, sarà compito del re o dell'imperatore o del presidente di turno convincere che questo potere torna a vantaggio di tutti, e assicura il prestigio e il predominio della nazione. I soldati, servi dell'Imperatore, sono ben fieri di esserlo, e di essere al servizio di un potere così grande rispetto agli altri popoli. Certe dittature, certi imperi assoluti, hanno avuto un sostegno popolare più vasto delle nostre democrazie. Gli uomini sono ben disposti a sottomettersi a un capo, se è capace di farli sentire più forti, più sicuri, padroni del mondo. Così si crearono gli imperi del passato: gli Assiri, i Babilonesi, i macedoni di Alessandro, i romani... tutti popoli che si riconoscevano nella forza e nel prestigio dei loro capi.

Un potere diverso

Il ladrone cosiddetto malvagio (che in realtà, spiace dirlo, incarna probabilmente proprio il nostro punto di vista) non sta dalla parte dei capi, né da quella dei dominatori romani. Probabilmente è stato ribelle alle leggi, ha cercato da sé la propria realizzazione e la propria libertà. La sua prospettiva è quella personale, egoistica: "Salva te stesso, e anche noi!" (che non è un giudicare il povero condannato a morte: quante volte, nelle nostre preghiere, anche noi chiediamo la stessa cosa?), e forse in tal caso sarebbe disposto a seguire Gesù. A mettersi a disposizione di un capo forte e potente, che le suoni ai Romani, ai capi religiosi, e alla massa di persone che si lasciano assoggettare da loro. Ma Gesù non cerca questo tipo di potere. Non vuol competere con i capi religiosi, né col dominio romano, né soddisfare le nostre personali esigenze egoistiche.

L'unico fuori dal coro

Nel concerto di scherni e irrisioni, che mirano tutti ad adeguare Gesù alla visione puramente umana del regno e del dominio, una sola persona si libera dallo schema: uno che comanda e gli altri ubbidiscono, il più forte si impone, gli altri si adeguano.

Il malfattore sa riconoscere che esiste un Dio al di sopra di tutti, che non può essere ricondotto ai nostri schemi ("neanche tu hai timore di Dio?"). Di fronte alla sua legge, egli riconosce di aver ricevuto il giusto per le sue azioni. Il malfattore è l'unico che giudica secondo la sua coscienza, lasciandosi guidare dal pensiero di Dio, anche se costa ammettere il proprio peccato. Il malfattore è l'unico che guarda a se stesso, scoprendo la propria povertà, proprio perché sa guardare al mistero di quel personaggio misterioso, che "non ha fatto nulla di male". Sulla croce il ladrone, di fronte alla sofferenza di Gesù, si scopre per la prima volta uomo libero. Libero dentro, anche se inchiodato a quel legno, e condannato a morte. Ma anche dalla morte si sente liberato: "Ricordati di me, quando entrerai nel tuo Regno".

Liberi oggi

Gesù gli dice: "Oggi sarai con me in paradiso". Mostrando così che il Regno di Dio non è una prospettiva lontana, ma è un'offerta di libertà per il presente. Oggi è possibile vivere secondo uno stile nuovo, lo stile di amore e di servizio di Gesù. Oggi, per chi vive così, si apre una via, splendida e impegnativa, di libertà. Da subito, a noi come al buon ladrone, è aperta la via del perdono, della libertà dal nostro peccato, dalla violenza con cui a volte cerchiamo di costringere i fratelli, dalla violenza di cui noi stessi siamo fatti oggetto. Questa libertà è contagiosa. Dall'unico convertito sulla croce, si passa ai milioni di uomini e donne che, pur essendo fragili e deboli come noi, hanno aderito a Gesù. Sapremo anche noi affrontare la nostra croce fino in fondo, per essere testimoni del suo regno?

Flash sulla I lettura

"Vennero tutte le tribù d'Israele da Davide in Ebron": si tratta delle tribù del Nord, distinte dalla tribù di Giuda, che aveva sede nel sud del territorio di Israele, e su cui già Davide regnava. La tradizionale rivalità tra i vari clan viene superata facendo riferimento al re scelto da Dio.

"Noi ci consideriamo tue ossa e tua carne": con questa frase si esprime generalmente una parentela. L'alleanza personale tra il re e le tribù costituisce come una nuova, grande famiglia, legata da vincoli stretti come quelli di sangue.

"Tu conducevi e riconducevi israele...": nel passato Davide si era rivelato un valido condottiero, dando prova di forza, coraggio, saggezza. Alle doti umane si aggiunge il riconoscimento dell'investitura divina: "Il Signore ti ha detto: Tu pascerai Israele mio popolo". Il regno di Davide non si fonda su un dato istituzionale, territoriale e dinastico, ma su una relazione personale del re con il popolo e con Dio.

"Unsero Davide re sopra Israele": il segno della consacrazione regale è l'unzione con olio, che rimane come uno dei nostri attuali simboli liturgici. Il battesimo e la cresima conferiscono anche una dignità regale ad ogni credente, fondata sulla relazione personale con Cristo, vero e unico re del nuovo popolo di Dio.

Nelle caratteristiche del Regno di Davide possiamo vedere le esigenze fondamentali che saranno portate a compimento dal Regno di Dio annunciato da Gesù: esso è regno di pace, che fa cessare la rivalità tra gli uomini; è fondato su un'unione personale, che crea una familiarità nuova; ha al centro il capo scelto da Dio, Gesù stesso, che nella croce mostra la sua reale capacità di prendersi cura del suo popolo, abbattendo i suoi nemici più radicali: il peccato, e la morte.

Flash sulla II lettura

"Ringraziamo con gioia il Padre...": la preghiera è rivolta al Padre, che resta il termine finale, anche della regalità del Figlio. Cristo è "re" appunto per condurre tutti gli uomini al Padre.

"Ci ha liberati dal potere delle tenebre": il simbolo delle tenebre è qui usato in senso ampio. Certamente allude al peccato, ma più estesamente, indica tutto il complesso di opposizioni e fattori negativi che ci allontanano da Dio e incatenano la nostra libertà. Da tutto questo siamo stati liberati, per essere inseriti in una situazione totalmente nuova: il regno del Figlio diletto, il figlio amato, colui che trasmette l'amore del Padre.

"Immagine del Dio invisibile": si ripercorre qui il ruolo di Cristo in tutte le fasi della storia della salvezza, a partire dalla creazione. Tutto il brano si presenta come un'unica, insistita, coraggiosa meditazione del Vangelo di Gesù. In questo modo si approfondisce il mistero della salvezza, con implicazioni inedite, che negli scritti giunti fino a noi restavano solo accennte. All'inizio si insiste molto sul ruolo di Gesù nella creazione: egli è "prima di tutte le cose", e "tutte sussistono in". Solo dopo si fa un riferimento più esplicito alla sua opera di salvezza: "capo della Chiesa", "primogenito di coloro che risuscitano dai morti": il credente è invitato così a far sempre più riferimento a lui

 

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