TESTO L'occasione della testimonianza
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/11/2004)
Vangelo: Lc 21,5-19
In quel tempo, 5mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: 6«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
7Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! 9Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
10Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
12Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
Il futuro sotto gli occhi
Quando tutto va bene non ci si pensa. Noi vorremmo vivere sempre adagiati in un dorato presente, senza curarci del domani. I messsaggi seducenti della televisione non fanno altro che alludere a qualcosa da prendere adesso, da godere subito, da assaporare senza indugio. Quando va male, il futuro incombe, minaccioso. In questo autunno strano, prima insolitamente mite, ora infine piovoso e grigio, decine di persone bussano alla porta della Caritas, alle porte delle parrocchie, dovunque ci sia la possibilità di trovare un posto caldo per l'inverno. E' dura la vita senza un futuro, senza un lavoro, senza nessuna prospettiva di tirarsi su. Diventa dura la vita quando una preoccupazione, una notizia, un imprevisto incrinano la nostra certezza sul tranquillo ripetersi del presente. La mancanza di un futuro ci fa stare male. I giovani in particolare: fingono di voler vivere solo il presente. In realtà sono malati di futuro, il futuro che non hanno, che non vogliono avere, che non accettano di costruire con fatica.
Il futuro a lungo raggio
Oltre all'orizzonte psicologico del futuro, il nostro futuro immediato, il nostro futuro a lungo termine, e comunque un futuro che cade sotto il nostro controllo, possiamo individuare un altra orizzonte: quello dei grandi significati, del destino del mondo e del nostro destino oltre la morte. La morte è l'unica paradossale certezza che abbiamo. Se fosse sempre presente al nostro spirito, ci schiaccerebbe. Se però ha trovato un senso, tutta la nostra vita cambia qualitativamente. La nostra meta finale non è il nulla, ma un incontro: è questa la lieta notizia di questa penultima domenica dell'anno liturgico, che precede la festa di Cristo Re. Siamo invitati a portare il nostro pensiero sulla fine: la fine di ogni uomo, il destino finale del mondo. Un pensiero che può far paura. Gesù non nasconde nulla dei suoi aspetti inquietanti e dolorosi: "Non resterà pietra su pietra che non venga distrutta". Ma ci fa intravvedere segnali di speranza.
Il messaggio di fondo
Preso nel suo complesso, il messaggio del Vangelo è un invito alla fiducia, a non perdersi d'animo, a perseverare nella fede. Il contesto è simile a quello di cui parlavamo sopra: la perdita di fiducia nel futuro. Con la differenza che noi ci ritroviamo smarriti di fronte ai nostri problemi personali, o tutt'al più di fronte a rilevanti catastrofi mondiali: pensiamo allo sconcerto dell'11 settembre - e pensiamo anche a come tutto sommato a tutt'oggi sia stato assorbito: come anche i morti di Nassiriya, i bambini trucidati a Beslan, gli ostaggi decapitati... il nostro sdegno è forse troppo a breve termine per essere autentico. Nel Vangelo invece il motivo della paura e dello sconforto di fronte al futuro è la fine del Tempio, del simbolo religioso del popolo. La prospettiva che si presenta ai discepoli è quella della distruzione della Città Santa, che evoca immediatamente la fine dei tempi, l'intervento finale di Dio nella storia. La nostra paura è più intimistica e ristretta, quella dei discepoli è più decisamente orientata a capire l'agire di Dio. La risposta di Gesù è la stessa: non lasciarsi prendere dal panico, non perdere la fiducia, non smettere di sperare.
Le ragioni della fiducia
Sembra strano che, per dare incoraggiamento, si elenchi una serie di catastrofi mondiali, e in più la persecuzione per la nostra fede. L'esortazione evangelica non è un'operazione di marketing, ma mostra la realtà delle cose. Il pericolo che ci attende non è oscurità e ignoto, ma è conosciuto a Gesù, non sfugge alla sua attenzione, diventa riconoscibile da noi stessi. "Devono avvenire prima queste cose, ma non sarà subito la fine". E tuttavia non è sufficiente individuare nelle parole di Gesù i segnali dell'incoraggiamento e della coraggiosa presa di coscienza dei problemi. Dietro a tutto questo c'è qualcosa di più profondo. Realizzare progetti, guardare in faccia ai problemi, essere capaci di "non mollare", spendere tutte le nostre risorse testimoniare la fede nel lavoro, nella famiglia, in ogni occasione della nostra vita è solo l'aspetto visibile di qualcosa di più importante: Gesù non ci dice soltanto di non scoraggiarci, ma ci assicura che è con noi, che è lui che ci dà "lingua e sapienza" per affrontare gli ostacoli. La nostra perseveranza è il risvolto della presenza di Gesù.
Rendere testimonianza
Gesù è presente nella storia del mondo, nella storia che sembra storia di guerre e devastazioni, e che dobbiamo invece credere che è nelle mani del suo amore. Ma i segni del suo amore non dobbiamo andarli a cercare lontano da noi, nella soluzione improbabile di crisi mondiali, nella conversione di grandi peccatori lontani e irraggiungibili. Purtroppo, gli uomini continueranno a fare guerre, a sollevarsi popolo contro popolo, senza possibilità di soluzioni. I discepoli però non devono tanto preoccuparsi di questo, ma di rendere testimonianza. Una testimonianza che non è lontana e irraggiungibile, ma ci viene a cercare: "sarete consegnati davanti a re e governatori". Nel nostro lavoro ci viene chiesta ragione della nostra fede: come lavoriamo? Quale rispetto abbiamo degli altri? Che relazioni creiamo? Siamo capaci di opporci alla disonestà e all'ingiustizia? Anche nella famiglia, la nostra fede è continuamente provocata: siamo capaci di ascoltare? Siamo capaci di dialogare? Siamo trasparenti all'amore di Cristo, in maniera da saperlo riversare sugli altri? Siamo capaci di lasciarci amare, di riconoscere e ringraziare per ciò che riceviamo? La nostra cultura ci presenta continuamente le più varie proposte di cultura, valori, disvalori, progetti di vita... ci adeguiamo, o sappiamo reagire?
Non preparare la difesa
Sembra strano l'invito a non preparare la difesa. Proprio mentre le nostre comunità cristiane avvertono il problema di formare persone competenti e preparate per i nuovi impegni pastorali che ci attendono, alle soglie del nuovo millennio. Ma un conto è essere formati. Un conto è improvvisare la propria difesa. Nella prova il discepolo è chiamato a dimostrare ciò che è, ciò che è diventato autenticamente: non sono possibili mascheramenti, improvvisazioni posticce. L'invito a non preparare la difesa è un invito a coltivare la relazione con Gesù, a darle solidità e stabilità. E quindi: coltivare la preghiera, l'ascolto della Parola di Dio, il dialogo con i fratelli di fede, l'approfondimento catechistico, la vita liturgica. Questa è appunto la "formazione" di cui abbiamo bisogno, arricchita anche da proposte forti, che escono dall'ordinario. Solo da un impegno costante, quotidiano, ad arricchire la propria fede possono nascere cristiani coraggiosi, capaci di rendere testimonianza.
Prima lettura
Il profeta Malachia manda un messaggio di speranza. In un'epoca di crisi, egli annuncia il "giorno di Dio", che diventerà terribile soltanto per gli empi e gli ingiusti.
Tuttavia questo giorno non è conoscibile direttamente: deve essere presentato attraverso una serie di immagini: è "come un forno rovente", brucerà gli ingiusti "come paglia"... sorgerà il "sole di giustizia"... può essere sconcertante per noi questa immagine terribile di Dio. In realtà, a ben vedere, il "forno rovente" e il "sole di giustizia" non sono immagini totalmente inconciliabili. Il fuoco che distrugge è anche fuoco purificatore, che trasforma, riscalda e rinnova, il sole che dà vita è anche sole che secca e fa inaridire. L'amore di Dio è forte come il fuoco e come il sole. Ma distrugge ciò che è inconsistente e vuoto. Non a caso gli empi sono paragonati alla paglia: le loro opere sono solo apparenza, massa inconsistente, che brucia senza lasciare traccia. E poi a germogli senza radice, immediatamente seccati dal sole. Proprio per la loro inconsistenza, essi non possono resistere nel giorno della manifestazione piena di Dio.
E noi da che parte stiamo: dalla parte dei superbi, o dei cultori del suo nome? Che consistenza hanno le nostre opere di fronte a Dio? E noi, come ci presentiamo di fronte a lui?
Flash sulla II lettura
Nella comunità di Tessalonica alcuni, predicando che la fine del mondo era imminente, avevano provocato scompiglio e agitazione. Molti prendevano a pretesto l'annuncio della venuta prossima di Gesù per non lavorare e non impegnarsi più.
L'apostolo fa valere il suo esempio: anche quando era a Tessalonica a predicare il Vangelo, non ha mai smesso di lavorare e di mantenersi con il suo lavoro, anche se, come apostolo, pur avendo tutti i diritti di essere mantenuto dalla comunità.
Il brano contiene una dura condanna dell'ozio visto come un comportamento degenerante per l'uomo e un richiamo ad affrontare la fatica di vivere. La fede in Gesù non può mai essere il pretesto per una fuga dai problemi e dalle nostre responsabilità di uomini.