TESTO In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso
mons. Vincenzo Paglia Diocesi di Terni
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XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (21/11/2004)
Vangelo: Lc 23,35-43
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Con questa trentaquattresima domenica si chiude l'anno liturgico. E' vero che solo chi va in Chiesa se ne accorge. Si tratta, infatti, di una data che non corrisponde a nessun avvenimento amministrativo, scolastico, o di altro genere, che in qualche modo apre o chiude un periodo particolare. In verità l'intero anno liturgico risponde ad una misurazione del tempo ch'è al di fuori delle normali consuetudini degli uomini. Ed è giusto che sia così. Il tempo liturgico, infatti, non nasce dal basso; non è originato dalle misurazioni degli uomini e dalle loro scadenze. E' un tempo che viene dall'alto, da Dio; è il "Tempo" di Dio che entra nel "tempo" degli uomini; è la "Storia" che irrompe nella "storia" degli uomini. Si potrebbe dire che l'anno liturgico è Cristo stesso, contemplato di volta in volta, di domenica in domenica.
In quest'ultima domenica, che chiude il tempo liturgico, lo vediamo, appunto, alla fine dei tempi come "re dell'universo". La Parola di Dio anche in questa domenica, come ha fatto sempre, ci prende per mano e ci introduce nella contemplazione della regalità di Gesù. Non si tratta di una visione da esterni a questo mistero: ci siamo dentro. L'apostolo Paolo esorta ognuno di noi a ringraziare Dio "che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto" (Col 1, 13). Siamo davvero dei "trasferiti", o se volete degli "emigrati", da questo mondo, dove regnano le tenebre, ad un altro mondo, ove regna il Signore Gesù. E che questo mondo di Gesù sia "altro" dal nostro appare evidente dalla scena evangelica che oggi ci viene proposta come immagine della regalità di Gesù: Egli inchiodato sulla croce con accanto due ladri.
Qualcuno, scusandosi per la vena dissacrante nel paragone, ha detto che questa è la foto ufficiale del nostro re (è vero che l'abbiamo messa in tanti luoghi, ma l'abitudine con cui la guardiamo gli ha fatto perdere il suo valore di scandalo, di pietra d'inciampo, per divenire spesso unicamente un oggetto di ornamento). Non c'è dubbio che si tratta di uno strano trono (la croce), e di una corte ancor più strana (due ladri). Eppure Gesù afferma senza mezzi termini che lui è re, e che lo è proprio in questo modo.
L'apostolo Paolo raccolse questa convinzione e la trasmise alle Chiese, ben sapendo dello scandalo che avrebbe provocato. Ai cristiani di Corinto scriveva: "Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani" (1Cor 1, 23). Gesù è re da crocifisso; in questo modo egli esercita il suo potere regale. Gesù, del resto, l'aveva detto più volte ai discepoli nei tre anni che era stato con loro. Poco prima di morire disse loro: "I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così" (Lc 22,24-26). E Gesù lo mostra per primo con la sua stessa vita e la sua stessa morte.
Mentre sta inchiodato sulla croce gli arriva un identico suggerimento da più parti: "Se sei il re dei Giudei, salva te stesso!" (Lc 23,35-43). Glielo dicono i capi dei sacerdoti, glielo gridano i soldati, e glielo urla anche uno dei ladri appeso accanto a lui. Le persone sono diverse, ma il ritornello è sempre lo stesso: "Salva te stesso!". In queste tre semplici parole è racchiuso uno dei dogmi che fondano più radicalmente la vita di ognuno di noi. E questa dottrina l'abbiamo appresa fin dall'infanzia. In essa è racchiusa la regola di vita, è sintetizzato il metro per giudicare ogni cosa, è simboleggiata la discriminante che ci fa accettare questo e rifiutare quello.
Ebbene, su quella croce è sconfitto questo dogma. L'amore ha annientato la convinzione più profonda che presiede alla vita degli uomini. Tutti salvano se stessi in questo mondo. L'unico che non ha salvato se stesso è stato Gesù. In tal senso il potere regale trova proprio sulla croce il suo punto più alto. E ne vediamo immediatamente l'effetto. Gesù-re, non cedendo all'ultima tentazione, appunto quella di salvare se stesso, salva uno dei due ladri che gli stava accanto solo perché questi ha intravisto fin dove l'amore lo aveva condotto.
La festa di Cristo re dell'universo, è la festa di questo amore, un amore che ha dato tutto se stesso per gli uomini. Su di esso è fondata tutta la nostra speranza, il nostro oggi e il nostro domani.