TESTO Questi è il Figlio mio, l'amato
II Domenica di Quaresima (Anno B) (01/03/2015)
Vangelo: Mc 9,2-10
2Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Questo passaggio della lettera di san Paolo apostolo ai Romani, questo breve estratto che ci offre la liturgia di oggi, è uno dei passaggi più struggenti di tutto il Nuovo Testamento. E' uno di questi slanci lirici nei quali Paolo è come sopraffatto dal pensiero dell'amore di Cristo, dell'amore del Padre attraverso Cristo, e alla luce di questa consapevolezza rinnova la propria fiducia in questo Padre, pur essendo al tempo stesso sempre più consapevole della propria miseria, della propria povertà.
Il pensiero del Padre, il pensiero di Cristo, il pensiero dell'amore del Padre, il pensiero dell'amore di Cristo: questo dovrebbe essere il centro della nostra vita cristiana. Questo è il motivo per il quale nella nostra vita cristiana dobbiamo costantemente ritornare a queste testimonianze fondamentali che ci fanno ricordare, che ci fanno sperimentare di nuovo quanto Dio sia per noi. Dio è per noi! E se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
Le tre letture di questa seconda domenica di quaresima ci mostrano questo Dio per noi in azione; questo Dio che si riversa su di noi, che si spende per noi.
La prima lettura, tratta dal Libro della Genesi, è chiamata spesso la prova, la tentazione o il sacrificio di Abramo. In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, e offrilo in sacrificio». Conosciamo l'esito di questa storia: Abramo obbedisce, prende il figlio, prende il legno, prende il coltello. In una passeggiata lunga e dolorosa, in una lenta e angosciante ascesa, conduce il figlio sul monte Mòria e lì, un secondo prima di immolarlo, il Signore interviene e blocca questo atto sacrificale che però lui stesso aveva chiesto.
Una prima lettura di questo passaggio, una lettura superficiale, ci vedrebbe probabilmente un Dio crudele che sì, impedisce all'ultimo momento questo sacrificio, ma che comunque sottopone Abramo ad un dolore, ad una sofferenza, ad una prova laceranti. Sarebbe stata una dimostrazione dell'obbedienza e della fede di Abramo -questa, almeno ad un livello superficiale, sembra l'interpretazione più attendibile di questo evento. Ma non ci
sono altri modi meno crudeli, meno laceranti per giungere allo stesso risultato? Sì, fratelli e sorelle, se prendiamo questo passaggio in modo isolato, l'immagine di Dio che se ne ricava potrebbe essere quella di un Dio crudele. E' solo quando si paragona il passaggio della lettera di san Paolo apostolo ai Romani che abbiamo letto all'inizio, con quanto è detto qui e poi con quello che è detto nel vangelo di oggi, il vangelo della trasfigurazione, che capiamo che c'è un altro livello, c'è un'altra dimensione in questo passaggio, che è importante cogliere per capire veramente chi è questo Dio che chiede ad Abramo un tale sacrificio.
E' detto nel passaggio del Libro della Genesi che abbiamo appena letto: Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco. E vediamo nel Vangelo un'altra parola del Padre che dice ai discepoli: Questi è il figlio mio, l'amato, colui che io amo. Emerge immediatamente un parallelo tra Abramo e il Padre. L'uno e l'altro hanno un figlio che amano. Però emerge anche immediatamente una differenza tra Abramo e il Padre: Abramo non ha dovuto spingere questo sacrificio fino ad uccidere il figlio, invece Dio questo figlio che ama ha dovuto offrirlo, ha dovuto lasciarlo uccidere - non da lui, ma da noi - nel momento supremo della croce. Egli - dice Paolo - che non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà ogni cosa insieme con lui?
Il risultato di questo sacrificio di Abramo è che il Signore decide che sarà attraverso di lui, attraverso Abramo, che ogni suo dono sarà diffuso a tutta l'umanità. Attraverso di te - gli dice - attraverso la tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni della terra. E la benedizione di Dio è il dono di Dio, è Dio che dice bene di noi. E quando Dio dice bene, opera il bene. Abramo è colui attraverso il quale tutto il bene che Dio compie in tutta la storia della salvezza, è trasmesso. Ed è effettivamente dalla discendenza da Abramo che è uscito Gesù, che è il dono per eccellenza. Ed è grazie alla fede di Abramo che noi riceviamo tutte le benedizioni e tutti i doni.
La richiesta fatta ad Abramo di vivere un sacrificio, di vivere un atto di offerta di sé, di offerta di tutto quello che aveva e di tutti i doni che aveva ricevuto dal Signore, così drammatico, così estremo - questa richiesta non è venuta da un Dio lontano, da un Dio assente, da un Dio crudele, ma è stata la richiesta di un padre ad un altro padre. Il padre Dio chiede al padre Abramo di compiere un atto che permetterà a quest'ultimo di capire tutta la profondità dell'amore paterno del padre Dio.
Solo dopo questo sacrificio Abramo, pur non avendo conosciuto letteralmente le parole di Paolo citate più un alto, perché sono state pronunciate migliaia di anni dopo la sua morte, ne ha imparato il contenuto, lo spirito. Solo dopo questo sacrificio Abramo ha capito che Dio è questo padre che non risparmia nulla per noi, che ci darà tutto, ci darà il proprio figlio, ci darà ogni benedizione, spenderà tutto sé stesso per la nostra salvezza, per sottrarci alle conseguenze del nostro peccato, per liberarci, per salvarci, per trasfigurarci.
Questo, fratelli e sorelle, è il nostro Dio. Questo è il nostro Padre. E questo padre, nel vangelo di oggi, nel vangelo della trasfigurazione, ci presenta il suo dono supremo: il figlio. Ce lo presenta con la fierezza con la quale ogni padre presenta un figlio che ama, un figlio che corrisponde al proprio amore, un figlio del quale può essere fiero. Sentiamo il Padre dire - presentando Gesù ai discepoli, presentandolo a noi: questi è il figlio mio, colui che amo, colui che è amabile, colui che risponde pienamente al mio amore, colui nel quale non vi è peccato, colui nel quale tutta l'umanità sarà ricondotta a me, colui nel volto del quale voglio vedere ognuno degli uomini e delle donne che sono su questa terra. Il figlio nel quale io voglio che tutti gli uomini e tutte le donne diventino miei figli: Questo è il figlio mio, l'amato, ascoltatelo!
Fratelli e sorelle, questa è la grande parola che emerge nella liturgia di questa seconda domenica di quaresima: ascoltatelo! Questa è la grande consegna, questa è la grande missione. Questa è la risoluzione - la sola vera - che potrà dare un senso al nostro cammino quaresimale. Non saranno le rinunce, che magari hanno il loro piccolo ruolo, ma che ci lasciano vuoti, che non hanno il potere di cambiarci, perché sono solo nostre iniziative. Dobbiamo aderire, abbracciare, adottare ciò che il Padre ci chiede. Ciò che lui ci chiede è questo: Ascoltatelo!
Ascoltatelo vuol dire: Seguitelo! Ascoltatelo vuol dire: Rimettetevi a Gesù, rimettetevi a lui!
E' lui il nostro intercessore. Cristo Gesù è morto, è risorto per noi. Sta alla destra di Dio e intercede per noi - ci dice Paolo.
Ascoltarlo vuol dire credere in lui. Ascoltarlo vuol dire pregarlo, senza mai stancarci, senza mai credere che la gravità dei nostri peccati, la piccolezza della nostra fede, la mancanza di speranza che ci caratterizza, lo scoraggiamento facile dal quale costantemente ci lasciamo prendere - senza temere che nulla, nessuna delle nostre mancanze, delle nostre povertà, possano essere un ostacolo a questa relazione. Costantemente dobbiamo ricordarci: Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, il Padre, che non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Non ci donerà costantemente - settanta volte sette - il perdono, la grazia, la gioia, il rinnovo della fede, della speranza, della consolazione. Chi potrà accusarci? Accusare noi, che siamo stati scelti per essere figli nel figlio. Chi potrà mai condannarci? Non questo Gesù, questo Gesù che abbiamo visto oggi nel suo vero volto di figlio, nella sua vera gloria, questo figlio nel quale abbiamo riconosciuto l'amato, questo figlio che è morto, è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi, questo figlio che dobbiamo soltanto, pazientemente, costantemente, ogni volta in modo nuovo, in modo più profondo, ascoltare.