TESTO Commento su Mc 9, 9-10
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II Domenica di Quaresima (Anno B) (01/03/2015)
Vangelo: Mc 9,2-10
2Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
«Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti."
Mc 9, 9-10
Come vivere questa Parola?
Mi metto nei panni di Pietro, Giacomo e Giovanni e provo a immaginare i loro pensieri, le loro emozioni in quel momento della trasfigurazione. Probabilmente salgono con Gesù sul Tabor, pensando ad una specie di ritiro, una pausa tra il lavorare, parlare e incontrare persone di tutti i giorni. Sul Tabor invece succedono cose strane, non previste. L'esperienza è terribile ma anche attraente: un'esperienza limite, di impensabile osmosi tra cielo e terra. Nel terrore, le uniche parole che Pietro riesce a dire sono: "Come è bello qui, preparo delle tende?". Una frase che aggiusta la fatica di resistere all'incomprensibile. Come se questo non bastasse, la conclusione di Gesù è ulteriormente oscura e temibile. Gesù impone loro di non raccontare, né bene, né male, quello che hanno visto. Lo potranno fare solo dopo la resurrezione dei morti. E quest'ultima cosa provoca lo spiazzamento totale: il silenzio non è più solo imposto, ma naturale. Certo, perché in certe situazioni si rimane senza parole. Gli ebrei non hanno mai molto pensato alla vita oltre la morte e il concetto di resurrezione che a quel tempo in effetti circolava, probabilmente risultava un po' estroso, soprattutto ai tre pescatori. Roba da studiosi, da raffinati. Invece Gesù la butta lì e in qualche modo li obbliga a pensarci. Ma cosa vorrà dire? Che c'entra ora parlare di resurrezione? Elia e Mosè che abbiamo visto prima erano risorti? È così che si risorge? Per apparire e poi scomparire di nuovo? I pensieri prendono il posto delle parole. Il silenzio nasconde il dubbio che l'amico Gesù non sia sempre affidabile.
Signore, anche a noi, testimoni della tua resurrezione, ci chiediamo cosa sia la resurrezione. Aiutaci a non perderci in dettagli folkloristici, ma permettici di arrivare al suo significato autentico, quello che dà senso al nostro vivere oggi e dopo la morte.
La voce di uno scrittore
"Karamàzov!", gridò Kòlja. "È vero quello che dice la religione, che resusciteremo dai morti e, tornati in vita, ci vedremo di nuovo tutti, anche Iljùscenka?".
"Resusciteremo senz'altro, e ci vedremo e ci racconteremo l'un l'altro allegramente e gioiosamente tutto ciò che è stato", rispose Aljòscia a metà tra il riso e l'entusiasmo.
"Ah, che bello che sarà", sfuggì a Kòlja.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov
Sr Silvia Biglietti FMA - silviabiglietti@libero.it