TESTO Chi si umilia sarà esaltato. La preghiera che salva
don Roberto Rossi Parrocchia Regina Pacis
XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/10/2004)
Vangelo: Lc 18,9-14
In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Alla preghiera insistente della vedova importuna di domenica scorsa, fa eco la preghiera umile del pubblicano. Oggi il Signore ci dona una ulteriore luce per la nostra vita di fede: la preghiera dell'umile penetra le nubi e giunge all'Altissimo.
Ecco la parabola del vangelo di oggi. La sua chiave di lettura è nelle ultime due frasi: "Chi si esalta sarà umiliato, chi si umilia, sarà esaltato". Ma vi è pure una chiave di lettura imposta dal contesto: Quale preghiera può diventare segno di salvezza? Quali sono le qualità della vera preghiera? Osserviamo attentamente i due uomini che salgono al tempio a pregare e, come fa il racconto, osserviamoli separatamente e ascoltiamo come ciascuno prega. "Due uomini salgono al tempio": questi due uomini sono due categorie di persone religiose; sono la personificazione di due possibilità che sono sempre davanti a noi; anche noi possiamo essere farisei! Anche noi possiamo essere pubblicani!
Allora con questa parabola Gesù mette in guardia proprio i credenti, i religiosi, coloro che vanno al tempio. In altre parole, noi!
I due uomini vanno al tempio: uno esce giustificato, l'altro esce con un peccato in più. I due uomini vanno per pregare: una preghiera è gradita a Dio, l'altra è un'offesa a Dio. Apparentemente tutti e due hanno intenzioni più che buone. Eppure è diverso il risultato.
Perché? Allora non basta andare al tempio per essere buoni. La lezione di Gesù è chiara e ci riguarda direttamente. Fissiamo con attenzione i personaggi della parabola.
Cosa fa il fariseo? La sua è una preghiera atea, perché a parole si rivolge a Dio, ma di fatto egli esclude Dio. Perché? Perché il fariseo è pieno di sé, ha la presunzione di essere in regola in tutto, crede addirittura di avanzare qualcosa anche da Dio: ci manca poco che non consegni a Dio il conto da pagare!
Osserviamolo da vicino. Egli compie opere buone, però non hanno nessun valore perché partono da un cuore orgoglioso e presuntuoso. Le opere che fa sono al servizio del suo orgoglio. Egli non prega Dio, ma contempla vanitosamente se stesso. Ed ecco la conseguenza terribile, una conseguenza che spesso si ritrova nella vita di tanta gente: l'orgoglio lo porta al disprezzo degli altri, al disprezzo dei fratelli. E il disprezzo nei riguardi degli altri è peccato: è grave peccato.
Egli, infatti, vede in fondo al tempio un pubblicano, ma non avverte per lui nessun sentimento di compassione; neppure lontanamente pensa a tendergli la mano. Correrebbe il rischio di sporcarla! Il fariseo infatti non ama nessuno, all'infuori di se stesso. A lui gli altri servono soltanto come paragone per innalzare se stesso. Purtroppo tanta gente si comporta così. "Io non sono come gli altri!"
Chi prega Dio e non ama il prossimo, ha sbagliato tutto, deve ricominciare da capo: chi prega come il fariseo esce dal tempio senza aver incontrato Dio.
"Io non rubo e non ammazzo", qualcuno dice. Va bene, ma non basta questo per avere la coscienza a posto.
La vera bontà diventa ansia e ricerca di chi vive lontano dal bene: Tu che fai per gli altri? Quando si dice: "Io penso solo a me stesso"... non è una virtù: è una colpa! Dio ci chiede di pensare al prossimo con carità, con pazienza, con misericordia. Dio ci chiede di amare fino al sacrificio; Dio ci chiede che cosa facciamo per salvare il prossimo.
La preghiera, quando è vera, accende nel cuore il fuoco della carità: sempre! Infatti quando preghiamo ci accostiamo a Dio e necessariamente possediamo le caratteristiche del cuore di Dio, cioè veniamo contagiati dall'Amore! Se non accade così, vuol dire che non sappiamo o non vogliamo pregare.
E il pubblicano cosa fa? Innanzi tutto, per la verità, va detto che quest'uomo è un peccatore. Ma Gesù lo guarda, lo scruta e legge nei suoi sentimenti: in quest'uomo c'è sincerità e umiltà. Con chi si schiera Cristo? Da che parte si mette Dio? E' incredibile per noi "dal cuore cattivo": Dio si mette dalla parte del pubblicano!
Perché? Perché il pubblicano è veramente pentito e uscendo dal tempio sarà un uomo nuovo, un uomo che non disprezzerà il fratello, un uomo che non avrà presunzione, né arroganza. Egli non si vanta davanti a Dio: si batte il petto! Egli non ha opere buone da esibire: chiede pietà! Costui amerà Dio con tutto il cuore e amerà il suo prossimo. Costui sa di essere perdonato da Dio e sarà felice quando potrà perdonare qualcuno: la preghiera l'ha trasformato profondamente? (A. Comastri, Predicate la buona Notizia, LDC).
Il pubblicano è l'immagine del figlio che riconosce la propria fragilità e inconsistenza di fronte ad un Padre che è sempre più grande in misericordia e amore. Noi iniziamo ogni celebrazione eucaristica con la richiesta di perdono proprio perché ci riconosciamo incapaci di accogliere il dono del Figlio che, nella Parola e nel Pane, si fa nostro cibo e luce. Al Signore chiediamo di guardare anche a noi, come al pubblicano pentito, e di riversare su di noi la sua misericordia che ci apre alla gratitudine e all'accoglienza del dono della sua salvezza.