TESTO Giustificati soltanto da Dio
XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/10/2004)
Vangelo: Lc 18,9-14
In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Trovare giustificazioni è un esercizio che tutti compiamo abitualmente. A volte siamo obbligati a farlo, come a scuola o sul lavoro, dove la giustificazione delle assenze è necessaria. Molte altre volte però lo facciamo di nostra spontanea volontà, ed esageriamo anche: come se ogni nostra opera dovesse avere una giustificazione plausibile davanti agli altri.
Pressappoco così fa il fariseo della parabola che Gesù racconta nel Vangelo di domenica prossima (Lc 18,9-14): «O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini», dice iniziando la sua preghiera; e aggiunge: «digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo». Appunto quest'ultima giustificazione appare eccessiva ed inutile: perché non è certo elencando le proprie buone ragioni che si cresce nella bontà; anzi, soltanto nella fede il giusto può trovare quella vita buona che desidera.
Dunque è perlomeno presuntuoso il fariseo della parabola; e a noi la sua supponenza dà fastidio, tanto che ci sembra lontana dal nostro modo di fare. Eppure noi non siamo troppo distanti da lui quando la preoccupazione per la nostra immagine pubblica prevale su tutto. E non capita certo di rado: anzi, possiamo dire che tutti i giorni cadiamo in questa trappola.
Sicuramente oggi – nella cosiddetta società dell'immagine – la tentazione è più sottile, e noi quindi siamo anche più inconsapevoli. Non è però difficile scovare ed analizzare una simile deriva. Pensiamo – ad esempio – a quando riusciamo ad inceppare ogni abbozzo di dialogo appena avvertiamo che esso non ci vede al centro. Oppure pensiamo a quelle situazioni in cui dietro un velo di falsa umiltà nascondiamo il bisogno ossessivo di ricevere attenzioni e apprezzamenti. Proprio in tali circostanze noi facciamo dipendere il valore della nostra vita dall'apprezzamento degli altri; e ci ritroviamo così spesso a fingere, recitando di volta in volta parti diverse, a seconda delle circostanze.
Questo atteggiamento è certo rischioso, perché ci fa smarrire l'autenticità di cui abbiamo bisogno per essere liberi. E tuttavia evitare una simile trappola non significa cadere negli eccessi opposti del minimalismo e della piccineria. Perché davvero noi abbiamo bisogno di essere riconosciuti ed apprezzati: ma per quello che realmente siamo, non per quello che vorremmo essere.
A tale proposito appare istruttiva la figura del pubblicano della parabola: egli, «fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore». Esattamente questa è la figura dell'uomo autentico: che non recita ma neanche si abbatte; che non presume di essere giusto ma neppure dispera di essere giustificato da Dio. E infatti «questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro».
Ritroviamo così nel pubblicano della parabola l'immagine originaria dell'uomo: il quale non si preoccupa di trovare giustificazioni plausibili – magari per apparire diverso da quello che è – e non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo: egli infatti non si affanna per la sua vita, perché sa che il Cielo stesso gli darà quella giustizia e quella salvezza che invano potrebbe cercare altrove. Appunto come fa il bambino appena nato, che ad occhi chiusi si fida della madre e si abbandona al suo abbraccio, senza vergognarsi per la sua debolezza.