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TESTO Commento su Os 6,1-6; Gal 2, 19-3,7; Lc 7,36-50

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

Penultima domenica dopo l'Epifania (Anno B) (08/02/2015)

Vangelo: Os 6,1-6; Gal 2, 19–3,7; Lc 7,36-50 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 7,36-50

36Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 39Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».

40Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». 41«Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». 43Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. 47Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». 48Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». 50Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».

Osea 6, 1-6.
Il Regno del Nord (o regno d'Israele chiamato anche Efraim), costituito dalle 10 tribù ebraiche che si erano separate dal Sud (regno di Giuda) al tempo della morte di re Salomone (attorno al 930 a.C.), volle attaccare il regno del Sud nel 734 a.C. con l'aiuto della Siria. Così iniziò una guerra di conquista per impossessarsi di alcune città di Giuda, nella prospettiva di abbattere pure Gerusalemme. Acaz, re di Giuda, nonostante l'invito insistente di Isaia perché non si rivolgesse ad un re straniero, chiese l'intervento della Assiria che già dominava la zona. L'esercito assiro arrivò velocemente e devastò con brutalità, vandalismi e ferocia tutto il territorio del Nord. Samaria, la capitale del Nord, fu conquistata dal re Assiro nel 721 a.C.
E se, rispetto alle minacce del Nord, l'intervento dell'Assiria portò sollievo momentaneo al Sud, tanto da incoraggiare l'esercito di Gerusalemme a conquistare città non proprie, tuttavia la situazione complessiva si fece dura per tutti. Il popolo di Dio, tanto a Nord che a Sud, non si era reso conto che stava tradendo la fiducia in Dio, cercando salvezza presso popoli pagani. Il profeta aveva richiamato la fedeltà al Signore, ma la paura non aveva fatto pensare che si dovesse riporre la propria speranza in Dio. Nel frattempo anche a Sud, a Gerusalemme, l'esercito dell'Assiria impose tributi eccessivi e angoscianti. Perciò il popolo, nel momento della fatica, si impose sacrifici, ma capì che doveva tornare al Signore. Perché accettasse le proprie offerte. Si moltiplicarono le pratiche religiose, i sacrifici di animali nel tempio, i doni votivi. Sembrava un ritorno alla conversione sincera e gli stessi fedeli s'immaginavano sinceri. "Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà"(v 1).
Ma qui il profeta, con un intervento indispensabile, diventa la voce sonora e chiarificatrice del pensiero di Dio. "Il Signore non sa che farsene dei doni e dei gesti di culto che non significano e non portano alla conversione. Voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti" (v 6). I paragoni successivi del profeta sulla fertilità e sull'abbondanza sono splendidi ma vanno confrontati e il profeta stesso li soppesa agli occhi e alla sensibilità del contadino. "Il dono che voi chiedete, e che il Signore è disposto a darvi, verrà a voi come la pioggia d'autunno e come la pioggia di primavera che feconda la terra". Ma il Signore vuole da noi altrettanto coraggio e serietà. E invece "il vostro amore è come la pioggia che viene da nube di primavera e da rugiada che non feconda".
Nelle scelte di Gesù questa esigenza di amore e di conoscenza di Dio ritorna insistente. Egli vuole il desiderio profondo di porre un rapporto continuo, una corrente non esaustiva, un legame che si ricostituisce giorno per giorno. E' tutta la vita che si deve aprire a Dio, non il gesto che si esaurisce in sé, che si sclerotizza, si incastona nel tempo, accanto ad altre 100 preoccupazioni. "Voglio amore e conoscenza": suppone ricerca, rapporto continuo e mai soddisfatto, dialogo, sentimenti e cammini comuni con il Signore. La nostra conversione di cuore non è moltiplicare doni sontuosi, ma reggere un richiamo che spesso è nostalgia e riconoscimento di povertà che, però, non manca di fiducia e coinvolge noi in sintonia con Lui nel mondo e gli altri con cui viviamo perché, insieme, scopriamo e cantiamo la gioia e la bellezza della vita che Egli ci dà e che ci prepara ancora più viva e preziosa con Lui.
La solidarietà che ci riporta alle nostre opere quotidiane di sviluppo, di progresso, di vita, di cura, di opere hanno bisogno di questo clima di rispetto e di coinvolgimento, di speranza e di aiuto reciproco, di sostegno e di impegno comune.
Poiché il lavoro ci identifica come responsabili del mondo, del cammino, del progresso e del benessere di ciascuno, delle famiglie, dei piccoli che crescono e degli anziani che con dignità offrono la ricchezza della loro esperienza alle generazioni più giovani, in una parola il lavoro, vissuto in dignità e solidarietà, è opera più meritoria delle stesse offerte al tempio poiché restituisce dignità e valore collaborativo. Con il lavoro vissuto da credenti si offre e si costituisce una società più libera e più giusta. E' un messaggio per i lavoratori e per gl'imprenditori, per gl'insegnanti e per i politici, per chi ha possibilità economiche e per i sindacati, per le casalinghe, gli artigiani, i commercianti.
I nostri interrogativi di conversione si debbono indirizzare molto verso la convivenza, la disponibilità, il sostegno. La qualità dei nostri contributi non debbono limitarsi al denaro, ma richiamano tempo, competenze, sollecitudine, accompagnamento, sostegno reciproco. Qualche decennio fa, cantavamo in Chiesa e, magari ancor oggi: "Quando busserò alla tua porta, avrò fatto tanta strada avrò frutti da portare, ceste di dolore e grappoli d'amore...avrò amato tanta gente, amici da ritrovare e nemici per cui pregare."

Galati 2,19 - 3,7
Alcuni farisei convertiti, poiché avevano accettato Gesù come Messia, contemporanei a Paolo, continuavano, nella loro mentalità, a ritenere che il premio di Dio fosse destinato a coloro che si erano preoccupati di accumulare molti meriti mediante le opere buone. Perciò, secondo le loro consuetudini, continuavano ad essere scrupolosissimi nell'osservanza della legge e, nelle nuove comunità, riuscivano ad immettere la stessa mentalità, provocando, tuttavia, divisioni tra convertiti ebrei e convertiti dal paganesimo.
Uno scontro animato di Paolo con Pietro, e raccontato in questa stessa lettera qualche versetto più sopra (2,11 ss), ricorda che fu obbligatoria una chiarificazione tra loro, poiché anche Pietro fu influenzato da questi nuovi venuti. Prima che arrivassero nella comunità in cui viveva anche Paolo, Pietro si comportava allo stesso modo, in armonia con tutti, sia ebrei che pagani convertiti, frequentandosi senza problemi. Ma poi la venuta di questi nuovi cristiani che disdegnavano i pagani, se pur convertiti, con grandi pretese di cautele per l'impurità nei confronti dei pagani stessi, secondo la legge, mise in crisi il comportamento di molti compreso l'atteggiamento di Pietro che "cominciò a evitarli ed a metterli da parte (pagani convertiti) per timore dei circoncisi" (2,13). Questi "circoncisi" sono quelli che vengono "da parte di Giacomo"(2,12) (apostolo responsabile della Chiesa di Gerusalemme che aveva mantenuto una mentalità più legata all'ebraismo).
Il problema che sorse era squisitamente teologico. Chi o che cosa salva? Sono le regole, la legge, le remore che bisogna rispettare e che, nella condizione in cui ci troviamo, ci fanno sentire travolti da separazioni e diffidenze, rifiuti e lacerazioni? O ci salva la fede in Gesù che ci garantisce la fraternità, il superamento dell'esclusione, la scoperta di un amore universale che ci apre ad essere il nuovo popolo?
C'era il pericolo di spostare l'asse della salvezza da Gesù e dal seguire Gesù alla preoccupazione dell'esattezza dei nostri gesti. "Non è Gesù che ci salva, la sua parola, il suo stile di amore e le sue scelte, il suo accettare di restare nell'amore del Padre?". C'era il pericolo, sempre presente, di pensare che tutto dipendesse da noi, dalle nostre azioni, dei nostri criteri di comportamento, e non dalla forza della fede e dalla ricerca di Gesù. E invece il Paradiso, e bisognava convincersi, era dato dalla grazia di Dio perché Egli ci considerava suoi figli e voleva che, insieme con Lui, potessimo godere la bellezza e la grandezza della Sua pienezza. Pensavano: "Ma se ci sono un amore ed una fiducia aperta alla presenza ed alla salvezza del Signore, il Signore ci aiuterà a trasformarci, ad assumere scelte e significati impensabili. E' Lui che ci cambia perché ci sostiene e ci mostra il senso delle cose e la bellezza del mondo. E' Lui che ricrea. Sarà nostro segno di amore comportarci secondo le scelte che Egli ha vissuto e che ci propone". E questo vale anche per noi oggi. Siamo richiamati alla sua Parola, siamo incoraggiati e sostenuti dalla sua presenza, siamo interpellati a cogliere i doni che Egli è disposto a regalare a piene mani.
Egli ama noi ed ama tutti gli altri anche attraverso noi; Egli è felice se noi osiamo aprire la nostra serenità nel mondo perché attorno a noi ci si accorga, per la consapevolezza e la fiducia che portiamo, che la presenza del Signore e la sua presenza sono disponibili a coinvolgere ciascuno, se accetta. A noi chiede di vivere ciò che crediamo e di accorgerci della sofferenza che c'è. Egli domanda che ci siano partecipazione, attenzione, fedeltà fiduciosa e coraggiosa. E se Paolo si mostrò duro con i fratelli Galati e li chiamò, per ben due volte, persone "senza criterio" stolti), elencò cinque domande la cui risposta è una sola, quella, cioè, che Paolo stesso desidera far loro capire: "Colui dunque che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato la parola della fede?" Paolo era convinto di ciò che diceva e ripeteva che tutto questo l'ha sperimentato nella sua coscienza e, in questa consapevolezza, intuiva più profondamente l'immagine di Abramo "che ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia". E concludeva: "Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me".

Luca 7,36-50
L'episodio, raccontato da Luca, che va letto contestualizzandolo secondo le modalità dei banchetti ebraici di quell'epoca, normalmente viene interpretato in termini di peccato e di perdono così come lo presenta l'Evangelista. Ma, se guardiamo più a fondo, il discorso è soprattutto tra Gesù e Simone il fariseo che lo aveva invitato.
Il giudizio del fariseo è perentorio e scandalizzato: "Non vede che è una peccatrice?". E Gesù, dopo aver raccontato un breve eloquente apologo, ribatte: "Vedi questa donna?" restituendo a lei un'integrità e una dignità, depurata dal giudizio di Simone, il fariseo timorato di Dio.
E Gesù fa notare, con grande dovizia di particolari, la sua grande capacità di amore: un amore capace di gesti concreti, che nascono da una totale partecipazione interiore e utilizzano elementi coinvolgenti, toccanti, come il bacio, i capelli, il profumo. Fa venire in mente il Cantico dei Cantici.
Il peccato viene dopo la capacità di amore della donna e consiste nell'aver deviato la potenzialità. Però lei rimane la donna "che ha molto amato".
E Gesù la rimette in cammino nella fede del suo perdono, ridonandole stima di fronte a tutti coloro che azzardano giudizi secondo la convenienza e la superficialità di chi si sente giusto, superiore di fronte agli altri e alle "altre". La tua fede, cioè "il tuo amore ti ha salvato", cioè liberato dalla rete malevole delle critiche sociali, perché coraggiosamente, pubblicamente, hai messo il tuo amore e il tuo dolore nella fiducia in Gesù.
"Va in pace": rimettiti in cammino nella pace, cioè nella consapevolezza che la tua capacità di amore ha trovato la direzione di Gesù, perché ha toccato la sua comprensione ed è stata toccata dal suo perdono, cioè da un amore che supera, comprende e avvolge il suo. Come se dicesse: "Donna (non "peccatrice") continua ad amare con tutta la tua passione, in piena dignità". E questa è la pace.

don Raffaello Ciccone e Teresa Ciccolini (Vangelo)

 

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