TESTO Commento su Sap 19,6-9; Rm 8,28-32; Lc 8,22-25
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
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IV domenica dopo l'Epifania (Anno B) (01/02/2015)
Vangelo: Sap 19,6-9; Rm 8,28-32; Lc 8,22-25
22E avvenne che, uno di quei giorni, Gesù salì su una barca con i suoi discepoli e disse loro: «Passiamo all’altra riva del lago». E presero il largo. 23Ora, mentre navigavano, egli si addormentò. Una tempesta di vento si abbatté sul lago, imbarcavano acqua ed erano in pericolo. 24Si accostarono a lui e lo svegliarono dicendo: «Maestro, maestro, siamo perduti!». Ed egli, destatosi, minacciò il vento e le acque in tempesta: si calmarono e ci fu bonaccia. 25Allora disse loro: «Dov’è la vostra fede?». Essi, impauriti e stupiti, dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che comanda anche ai venti e all’acqua, e gli obbediscono?».
Sapienza 19,6-9
Durante la dominazione greca sulla Palestina (attorno al secolo II/I a.C.), mentre la diffusione della cultura ellenista si scontrava fortemente con la riflessione ebraica sulla legge, i giudei, egiziani di Alessandria, ebbero la fortuna di avere tra loro l'autore di questo libro, che ha come titolo "la sapienza", presentato come opera di Salomone. In realtà fu scritto da un grande, ma per noi anonimo maestro ebreo di questa città. Egli si costituì subito come custode della legge, carica della sapienza di Dio, in un contesto culturale raffinato: ad Alessandria era stata tradotta la Scrittura dall'ebraico in greco, consegnando al mondo la Bibbia detta "dei 70". Il libro della Sapienza fu accolto con favore dalla prima comunità cristiana perché segnava come i1 ponte degli scritti tra il Primo e il Secondo Testamento, mentre, per la sua originaria scrittura greca, non fu riconosciuto dal mondo ebraico come libro canonico quando fu deciso, attorno agli anni 90 d.C., quali libri scegliere come garantiti da Dio e quali libri fossero da considerarsi opere totalmente umane.
Verso la fine del libro della Sapienza, all'interno di una riflessione sulla creazione di Dio, l'autore biblico ricorda che l'opera del Signore, all'inizio, destinata a tutta l'umanità, da secoli si era mostrata pronta alla salvezza di Israele. Gli avvenimenti, infatti, si verificarono nel libro dell'Esodo, meravigliosi e sconcertanti, duri verso gli egiziani e segni di misericordia e di aiuto per il popolo schiavo in fuga. "Tutta la creazione assumeva, daccapo, una nuova forma perché tutti i tuoi figli fossero preservati sani e salvi" (v 6). Il cono d'ombra della nube portava refrigerio sull'accampamento, e il sole asciugava l'erba. La nube rappresentava la presenza di Dio in mezzo al suo popolo e il verbo "coprire d'ombra, dove prima c'era acqua", ricorda l'espressione della Genesi (1,2) quando lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque; così viene detto che Dio fu nuovamente all'opera nella sua potenza creatrice quando il Signore aprì la strada nel mar Rosso e l'immagine della pianura verdeggiante rievocava il testo della Genesi (1,11-13). Il ricordo storico della liberazione si fa inno e preghiera, riconducendo alla memoria delle nuove generazioni il cantico di Mosé e della libertà dalla schiavitù (Es 15). Il richiamo dei cavalli probabilmente ricorda la sconfitta della cavalleria egiziana, e gli agnelli esultanti si rifanno all'immagine del salmo 114: "i monti saltellarono come arieti e le colline come agnelli di un gregge" (v 4). Ma il testo fa pensare anche alla danza di Maria e delle donne vicino al mare (Es 15,20).
Il mondo viene paragonato al cosmo dell'inizio, vera novità e dono gratuito di Dio, vera offerta gioiosa e generosa. E' un paradigma che ci aiuta a capire che gl'interventi di Dio nel mondo hanno la stessa pienezza e giocondità.
S. Paolo ai Romani 8,28-32
Il testo della "Lettera ai romani", proposto con lucidità e con convinzione da Paolo, apostolo scelto da Gesù dopo la sua risurrezione, sviluppa la consapevolezza di ciò che noi, credenti, abbiamo ricevuto da Dio: la nostra vita viene abitata dallo Spirito e quindi siamo incoraggiati a camminare "non secondo la carne ma secondo lo Spirito".
I versetti immediatamente precedenti (vv 26- 27) ricordano "l'aiuto che lo Spirito dà alla nostra debolezza". L'aiuto consiste nel " suo pregare in modo conveniente. E' lo stesso Spirito che intercede con gemiti inesprimibili. Questa presenza, riconosciuta dal Padre, fa realizzare il suo piano di salvezza e di novità in noi che pure viviamo nella debolezza e nella corruzione della creazione.
Il piano di Dio fa sì che tutto concorra al nostro bene e questo è il progetto di Dio da tutta l'eternità: Egli ci ha pensato come figli, ci ha voluti, ha creato per noi e desidera attuare passo passo questo enorme progetto divino attraverso la nostra disponibilità: piano di Dio su di noi sì che tutto concorra al nostro bene. Egli ci conosce da tutta l'eternità e la sua opera è infallibile. La sua "conoscenza" non è solo intellettuale, obiettiva, come quella che abbiamo noi verso gli altri ma, secondo il significato ebraico, è amore di comunione, scelta, elezione.
L'amore di Dio precede il nostro amore, in Lui c'è il fondamento del nostro essere poiché ci stabilizza, ci apre ad un cammino di collaborazione.. È la sua "predestinazione" a riprodurre nella nostra vita l'immagine del Figlio suo". Così coloro che accettano la fedeltà a lui e la sua conoscenza vengono "chiamati, giustificati, glorificati". Per questo possiamo sentirci fiduciosi poiché il Padre ha persino offerto suo Figlio e non lo ha risparmiato a nostra garanzia.
Il messaggio, che perciò Gesù ci offre, è quello della sua accoglienza per ogni uomo. Ma può sembrare strano e sconcertante, tanto più che verifichiamo nel mondo, a parte la fragilità e la debolezza, anche in noi, la presenza vera della crudeltà, l'irresponsabilità, la volontà di prevaricazione e il gusto della corruzione. Eppure a noi il Signore affida questo messaggio. E questo compito ci lascia stupiti e tuttavia sappiamo che è vero, garanzia per noi e garanzia per l'altro, anche se l'altro non crede.
A questo punto, però, sentiamo di dover essere portatori di speranza e di fiducia per tutti, per noi e per gli altri; e non dobbiamo avere paura. Egli si offre per appoggiarci alla sua forza e a saper vedere il mondo con occhi più maturi, più profondi, più chiari, più aperti al mistero della presenza di Dio e del suo Spirito.
Quando celebriamo, c'è una parte di popolo con noi e davanti a noi. E sappiamo che proprio a quel popolo il Signore invia questa garanzia e questa forza. Ma chiede anche di non camminare in paura di chi vuole intimidirci, di non nasconderci, di sentirci fiduciosi, nell'accettare di vedere il bisogno e la sofferenza degli altri, di saper essere amici.
Ma ci invita anche a non giudicare, a non ritenere gli altri delle persone perdute, a saper ricostruire la possibilità di un cammino anche per loro, certo, se lo desiderano, se lo sanno accettare.
Altrimenti resta sempre, nel nostro cuore, la preghiera per l'altro perché si apra, perché scopra l'attenzione e la vocazione che il Signore ha per tutti e quindi ciascuno di noi: lui e lei, conosciuti e sconosciuti, buoni e cattivi, e non solo per i suoi credenti. Infatti è lo Spirito stesso che "intercede con insistenza per noi tutti con gemiti inesprimibili" (8, 26).
Luca 8,22-25
Colpisce il sonno di Gesù, in mezzo alla tempesta. Mentre navigano verso l'altra riva del lago su invito di Gesù, egli si addormenta. Com'è possibile?
Eppure quante volte, in mezzo alle tempeste e alle catastrofi della storia e del mondo, della stessa Chiesa, il Signore sembra assente-lontano-indifferente-addormentato.
Nei momenti tragici, quando ci sembrerebbe indispensabile e imprescindibile avvertire la presenza di Dio e improrogabile il suo intervento, Lui "dorme".
E noi ci troviamo impauriti e perduti.
Ma Luca suggerisce che discepoli "sveglino" il Signore, dichiarando la loro paura e il loro smarrimento.
"Svegliare" il Signore: cioè non rinunciare in partenza alla sua apparente assenza.
È vero che il Signore li sgrida e li sollecita a ritrovare la loro fede, ma è altrettanto vero che i discepoli non sopportano una presenza inerte; sanno, in fondo al loro cuore, che comunque il Signore è lì; e se poi la loro attenzione sarà sviata sulla straordinarietà dell'intervento di Gesù (" minacciò il vento e le acque in tempesta si calmarono e ci fu bonaccia"), tuttavia lo svegliano, lo vogliono partecipe della loro paura, del loro smarrimento.
Quando Gesù dice: "Dov'è la vostra fede?", probabilmente vuole richiamare l'attenzione sul fatto che essa è una fiducia e non fa conto di evidenze e certezze, ma su qualcosa, su Qualcuno che va "svegliato", ricercato; non basta caricarlo su una barca per andare all'altra riva, occorre anche vegliare su un sonno che ha la simbologia della morte, perché andare all'altra riva comporta il rischio di ritrovarsi con un Dio addormentato che si fida di te e conta su di te, purché nella tempesta, sulla barca dell'umanità e della Chiesa, continui ad esserci e a provocarci: " dov'è la vostra fede?".
don Raffaello Ciccone e Teresa Ciccolini (Vangelo)