TESTO Commento su Luca 2,41-52
Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno B) (25/01/2015)
Vangelo: Lc 2,41-52
41I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Una domenica particolare quella che viviamo. Abbiamo appena volto lo sguardo su Gesù nato e per non disperdere la ricchezza della solennità appena celebrata proprio un mese fa oggi, la Chiesa ci invita a non staccare i nostri occhi sulla Sacra Famiglia.
E' come se fossimo immersi ancora nel presepe anche se il brano evangelico ci parla di un Gesù dodicenne.
Dalla Sacra Famiglia andiamo a scuola e forse si va come scolaretti all'inizio di un cammino se pensiamo alla situazione di disagio che vive oggi la famiglia.
Alla scuola di Nazareth dobbiamo cercare le cose essenziali.
E' una famiglia che non è protagonista di un romanzo romantico.
Prima di tutto impariamo l'importanza del padre e della madre nell'educazione dei figli. Gesù ha avuto bisogno di un padre e di una madre. Nessuna legge umana può cancellare questo dato della natura.
Il 21 dicembre 2012 nel discorso alla Curia Romana Papa Benedetto XVI sosteneva:
"Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all'essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come measchio e femmina. Questa dualità è essenziale per l'essere umano, così come Dio l'ha dato. Se non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria".
In questo contesto allora comprendiamo anche un'altra verità importante il padre e la madre sono chiamati non semplicemente a mettere al mondo dei figli, ma chiamati a educare, ovvero a introdurre il figlio nella vita. Occorre condurre per mano i bambini a incontrare cose e persone.
In questo contesto i figli crescono in età, grazia e sapienza.
Tutto ciò è possibile se alla base vi è l'amore quello che ha caratterizzato Maria e Giuseppe.
A quella scuola guardiamo con particolare attenzione cercando di imparare dai promossi, dai primi della classe.
Penso ai coniugi santi che la Chiesa ci invita a scoprire.
Sono i coniugi Gheddo per cui vi è un processo di beatificazione in Diocesi di Vercelli.
Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo, servi di Dio, sposi secondo il cuore di Dio, hanno costruito, insieme, un capolavoro di santità coniugale. Questa coppia di sposi emerge ancor più in una società mediatica e culturale, editoriale, televisiva e cinematografica dell'epoca che alcuni definiscono già «postfamiliare», che propone il matrimonio come atto fragile e costantemente in bilico. Rosetta e Giovanni offrono, in quanto testimoni del Vangelo, un modello di sodalizio sponsale dove l'amore trionfante è realmente inteso per sempre. Non hanno inseguito sogni o illusioni: il loro amore si è concretizzato in una casa solida edificata sulla roccia e che ha avuto per cemento armato la fede in Cristo. Sacrifici, dolori, tragedie sono stati sublimati sull'altare del sacramento nuziale e affrontati con lo stesso spirito che anima i martiri. Forti nella fede, sono andati incontro al trapasso terreno con estremo coraggio.
Giovanni partì per il fronte russo della seconda guerra mondiale il 10 luglio 1942. Era sereno e disse alla sorella Emma: «Non piangere, stai allegra, il Signore decide per noi e ci vuole bene». Giovanni Gheddo aveva 42 anni, tre figli e la sua amatissima moglie Rosetta era scomparsa a soli 31 anni per parto gemellare e polmonite. Eppure era tranquillo: «lasciate che io vada a difendere la nostra santa religione», rispose ai figli Mario e Francesco alla stazione di Santhià alle loro tremolanti domande: «Tu ci lasci, ma quando ritornerai? E perché vai così lontano?». Una risposta "folle" la sua... folle come l'amore che aveva per Dio, come la santità che visse insieme alla moglie Rosetta.
Vedovo, con tre bambini, parte lasciando certezze: l'amore per la consorte, tale e quale il primo giorno di fidanzamento e il primo giorno di nozze; l'amore per i figli Piero, Francesco, Mario; l'amore per la madre e le sorelle, l'amore per la sua terra. Parte con la fede in Dio per la quale sa donare tutto. Una fede semplice e matura, genuina e forte quella di Rosetta e Giovanni, una fede così grande e potente, che permette di vivere quei legami che né dolore, né morte possono sciogliere.
Rosetta e Giovani erano nati fra le risaie vercellesi, fra pioppi e voli di aironi sulle distese d'acqua abitate da carpe, tinche e rane. Rosetta era di Crova ed era venuta alla luce, seconda di quattro sorelle, il 3 dicembre 1902. Dopo aver frequentato le prime quattro classi a Crova, si trasferì a Casale Monferrato, nella cascina della sorella del nonno, zia Olimpia, vedova con 11 figli, per studiare nel collegio delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Rosetta ottenne il diploma di maestra e iniziò ad insegnare all'asilo infantile di Crova, senza alcuna retribuzione, così come fece all'asilo delle suore Salesiane, che lei stessa fece arrivare, avendole conosciute a Casale Monferrato. Lavorò, gratuitamente, anche nelle elementari per sostituire le maestre assenti. Oltre all'educazione Rosetta si dedicava al catechismo, preparando i bambini alla prima comunione e alla cresima, insegnando la dottrina cattolica agli adulti, i canti per le Messe e le processioni. Con l'arrivo delle suore Salesiane a Crova furono avviate le attività dell'oratorio femminile e quelle dell'Azione Cattolica.
Solitamente i santi nascono in famiglie dove ogni componente ha un ruolo preciso, non in famiglie "allargate", "aperte": Rosetta e Giovanni ebbero la fortuna di nascere e crescere in due famiglie "chiuse", "ristrette": tanti membri, ma un solo corpo.
Giovanni nacque il 22 aprile 1900 a Viancino da una famiglia di dieci figli. Generosissimo ed intelligente, Giovanni, terminata la prima guerra mondiale, entrò nella Regia Accademia militare di Torino per frequentare il corso allievi ufficiali, che concluse nel 1919. Venne nominato sottotenente ed inviato in «zona armistizio», perciò collocato in congedo illimitato il 31 agosto 1922. Trovò lavoro come geometra vicino ad Ivrea e in seguito venne nominato segretario del Distretto irriguo di Tronzano Vercellese. Giovanni aveva un caro amico che lavorava al Comune di Crova, perciò andava spesso a trovarlo. Passava perciò nel paese in bicicletta e gli accadeva di incrociare la maestrina Rosetta Franzi che si recava alla Santa Messa oppure all'asilo. Se ne innamorò. Si sposarono il 16 giugno 1928. Dopo il pranzo nuziale, Arturo Lancia, marito della sorella di Rosetta, Fiorenza, fece accompagnare gli sposi alla stazione ferroviaria di Santhià, dove presero il treno per Oropa. I due giovani di Azione Cattolica, lassù, dove il Santuario più alto d'Europa (1200 metri), donarono la prima notte di nozze al Signore, dormendo separati e pregando: una prova ed un voto che dimostrano di quale tempra fosse fatta la loro spiritualità.
I due sposi di fronte alla Madonna Nera e al Signore domandarono due grazie: dare alla luce molti figli (si proposero di averne dodici) e che almeno uno di loro scegliesse la consacrazione religiosa. Il primogenito, Piero, che diventerà un grande missionario, giornalista e scrittore, entrerà nel Pime nel 1945 e sarà ordinato sacerdote nel 1953.
Rosetta Franzi Gheddo morì il 26 ottobre 1934, dopo due aborti spontanei, rimase infatti nuovamente incinta di due gemelli; ma al quinto mese di gravidanza si spense insieme a loro di polmonite.
Il 14 dicembre 1942, quando Giovanni Gheddo venne chiamato alle armi con il ruolo di capitano della Divisione Cosseria, iniziò l'offensiva russa fra il gelo e la neve del territorio sovietico, furono accerchiate le divisioni italiane.
Le sue lettere, sempre toccanti e colme di sentimento e di fede cristiana, non giunsero più ai familiari, ai quali verrà comunicato: disperso in Russia. Senza giorno, senza motivazione. Poteva essere perito anche in combattimento, oppure durante la marcia di trasferimento dei prigionieri o ancora in un campo di prigionia sovietico, dove si moriva di sfinimento, di fame, di dissenteria, di tifo petecchiale...
Mino Pretti, giovane avvocato, tornò dalla campagna russa vivo e fra le prime cose che fece in patria fu quella di andare a Tronzano, dai parenti di Giovanni Gheddo, il suo capitano. Ai familiari raccontò, come testimonia ancora oggi il figlio, Mario Gheddo, che il 17 dicembre 1942 il capitano aveva deciso di restare con i cannoni e i feriti intrasportabili, mandando via i militari sani, fra i quali c'era anche lui. Pretti, che aveva poco più di vent'anni, insistette per rimanere, ma Giovanni gli disse: «Tu sei giovane, devi ancora fare la tua vita. Io la mia l'ho già fatta e i miei bambini sono in buone mani [sua mamma e sua sorella]. Va', salvati, con i feriti rimango io». Rimase fermo lì, sul posto, proprio come i suoi antenati dell'esercito sabaudo quando obbedivano al comando «bogia nen». Ancora una volta aveva scelto il dovere, prima di tutto, perché, come diceva, convinto come l'amore che portava per il Signore e la sua famiglia: «Pazienza! Quando non c'è rimedio bisogna rassegnarsi. Siamo sempre nelle mani di Dio!».
Rosetta e Giovanni vissero in perfetta comunione di intenti, conducendo una vita di preghiera e di lavoro, dove la Messa ed il santo Rosario erano i due perni della loro quotidianità. Riconobbero il Cristo, ne parlarono alla luce, lo annunciarono sui tetti e persero la vita per Lui. Questi santi genitori hanno affidato in maniera univoca la propria esistenza al Signore, lasciando che Lui solo agisse, senza lasciarsi distrarre dalle cose del mondo. Hanno creduto senza aver visto e hanno donato se stessi per ritrovarsi nella gloria di Dio. In vita hanno arricchito la vita della propria famiglia e della popolazione di Tronzano Vercellese. Post mortem arricchiscono tutte le persone e le famiglie che vengono a conoscenza della loro unione straordinaria, del loro esempio di virtù. Vigilanti come sentinelle, Rosetta e Giovanni hanno seguito nel cuore, nella mente e nelle azioni ciò che insegna san Paolo: «State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Sprito, cioè la parola di Dio» (Ef 6,15-17).