TESTO La vita è vocazione
don Luca Garbinetto Pia Società San Gaetano
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II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (18/01/2015)
Vangelo: Gv 1,35-42
35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
Fin dall'inizio della sua missione pubblica, Gesù va costituendo una comunità attorno a sé. Chiama degli uomini a seguirlo e a condividere con lui la propria passione e la propria sorte. Non si tratta soltanto di un necessario seguito, adibito a portare gli onori di un nuovo maestro, per esibirne l'autorità e la sapienza. Non è neanche una semplice compagnia come antidoto alla inevitabile solitudine del capo. Gesù cerca invece una vera e propria comunione di vita.
Ecco perché risuonano particolarmente commoventi gli scambi di sguardi che si scambiano i primi due discepoli, sull'esempio del Battista, e il ‘rabbì' di Galilea che passa dopo il Battesimo nel Giordano. I volti si cercano, si incrociano gli occhi, emerge un desiderio, vibra una domanda. La ricerca dell'uomo si incontra con la ricerca di Dio. L'uno e l'altro si cercano. In Gesù si incontrano. Definitivamente.
Celebriamo oggi il miracolo della vita umana. In Gesù, infatti, l'ansia profonda dell'uomo, la trepidazione di ogni persona che cammina nella storia alla ricerca di un senso, trova la risposta e la via per dimorare finalmente nella pace. Nel Bambino di Betlemme sono stati varcati per sempre gli spazi che separavano il Cielo dalla terra. Ma non è sufficiente questo sconvolgente miracolo divino, se esso rimane lontano dalla quotidiana e personalissima storia di ogni figlio di Dio.
Questo è il mistero della vocazione, di ogni vita umana che è vocazione. Nella vocazione ogni uomo e ogni donna scopre che la venuta di Dio al mondo non è una questione che interessa in generale l'umanità e che rimane impressa nelle pagine di una storia distaccata da sé. La venuta di Dio al mondo è invece l'evento più importante per la vita personale di ognuno, per la mia esistenza di oggi. Ognuno di noi è coinvolto nel miracolo dell'incarnazione. Gesù entra nella nostra unica e irripetibile esistenza, come desidera ardentemente di poter fare con l'esistenza di ogni persona nata e che nascerà su questa terra.
Solo Dio sa tenere insieme così bene l'universale e il particolare. Solo Dio sa volgere il suo sguardo con la stessa lacerante tenerezza ad ogni suo figlio, regalando ad ognuno l'esperienza indicibile di sentirsi unico e privilegiato al cospetto di Dio. Dio guarda me, e chiede a me di guardare Lui!
Ci viene donato, dunque, nella scoperta della nostra vita come vocazione, il segreto del cammino, il bandolo della matassa, la chiave di volta. Perché sono al mondo? Che senso ha il mio esistere? Da dove vengo e dove vado? In queste domande che gridano al Cielo in mille toni e in mille armonie, a volte sguaiate, a volte ammutolite dal dolore, si esprime tutta la sete di infinito che abita il cuore dell'uomo. È il sogno di felicità, è l'anelo di libertà impresso nel nostro intimo, perché fatto a immagine e somiglianza della Trinità.
Ecco la risposta: felicità e libertà sono relazione, sono legame con la Trinità fatta carne in Gesù. Dio si è alleato con la mia gioia, e la mia vita è bella con Lui! Solo con Lui! Non solo non c'è contraddizione tra la mia realizzazione e la mia libertà e la sua vitale presenza nel mio mondo di rapporti quotidiani, ma è proprio il mio rapporto con Gesù a dare lo spessore della mia festa. Vivere la vita come vocazione significa infatti rispondere al suo appello che mi invita a intessere un vincolo, a costruire intimità, a dimorare nella sua casa, che è il suo cuore, il suo corpo, la sua stessa persona.
Quanto terrore abbiamo dell'intimità! Quanti scivoloni rischiamo di compiere se Egli non l'abita prima con il suo sguardo amorevole e la sua voce penetrante e fedele! Egli è la dimora stessa in cui si disseta la nostra sete di amore: da ricevere e da dare.
Non c'è niente da fare: quando entriamo in casa di Gesù, quando sostiamo anche solo un istante con Lui nella sua dimora, non lo possiamo scordare più. Resta indelebile il segno, per quanto tentiamo di allontanarne la memoria e il sigillo. Per questo motivo non c'è altra via per la realizzazione della nostra vita che seguire il cammino di Colui che, quando ci guarda, ci trafigge di amore. La sequela di Gesù è la bellezza della vita, perché mantiene questa stessa vita sulle tracce dell'infinito a cui aspiriamo. Ci evita gli sconti, ci solleva ad alta quota, ci sprona a vette più consone alla nostra natura umana e divina, ferita dal peccato, ma mai domata. Tutte le altre relazioni diventano gemme di bellezza, se vissute in Lui. Anche le fatiche sono trasfigurate e redente.
La gioia dell'incontro e del legame con Gesù non può essere trattenuta. Anche per noi, come per lui, diviene necessità vitale, esigenza di verità costruire comunità, cercare altri con cui condividere la pazzia dell'amore, stringere nuovi intimi legami di comunione. Essi ci cambiano l'esistenza, si traducono in mutamenti visibili e concreti: il nostro nome ora, come tutta la nostra persona, ritorna a essere Suo, tutto Suo, come per Simon Pietro e gli altri. E non è questo in fondo che sempre abbiamo cercato? Non è una appartenenza quella che desideravamo? La ricerca di ogni uomo si compie definitivamente quando senza più resistenze e remore ci mettiamo in cammino, ‘a muso duro' (cfr. Lc 9, 51), alla sequela del Signore.