TESTO Commento su Ger 31, 15-18. 20; Rm 8, 14-21; Mt 2, 13b-18
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
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Santi Innocenti martiri (28/12/2014)
Vangelo: Ger 31, 15-18. 20; Rm 8, 14-21; Mt 2, 13b-18
Geremia 31, 15-18. 20
La narrazione della persecuzione di Gesù bambino comanda la scelta della prima lettura: Matteo, secondo la prassi che gli è tipica, introduce, a commento dell'episodio dei bambini uccisi, un passo di Geremia. Esso appartiene al mirabile "libretto della consolazione" dei cc. 30-31 scritto dal famoso profeta sofferente come segno di speranza dopo l'oscuro periodo del crollo e della fine di Giuda e di Gerusalemme. Al centro dell'oracolo si erge la figura statuaria di Rachele, la moglie amata di Giacobbe-Israele: essa era morta dando alla luce Beniamino, il figlio prediletto di Giacobbe, sulla strada di Rama (Gen 35,20). Ora, proprio a Rama erano stati fissati i primi campi di concentramento per gli esuli, una volta distrutta Gerusalemme dalle armate babilonesi (Ger 40,1). In quell'occasione il profeta immagina che l'ombra di Rachele sia ritornata a piangere i figli caduti e deportati di Israele. Il Signore, però, le aveva asciugato le lacrime facendole balenare un futuro di speranza, il ritorno delle sue creature dall'esilio. Il «figlio caro» di Dio, Israele (Efraim), «giovenca non domata» (Ger 31,18), cioè popolo ribelle e peccatore, attraverso il crogiolo dell'esilio babilonese, diventa «giovenca addestrata» (Os 10,11), cioè ritorna pentito e ravveduto, certo che le viscere materne di Dio si sono ancora commosse per lui (Ger 31,20). La storia del ritorno dell'uomo e dell'attesa amorosa di Dio è la costante della storia della salvezza e della speranza biblica.
Rom 8,14-21
Noi abbiamo ricevuto da Gesù la garanzia di poter chiamare Dio "nostro Padre" come Gesù chiamava Dio "Padre mio" e perciò ci è stato garantito un destino di gloria che è riservato a tutti i credenti in Lui. Il Figlio di Dio, attraverso l'esperienza della sua vita umana, a cominciare dalla sua incarnazione fino alla sua glorificazione, fa diventare noi figli adottivi di Dio. Così, per questo, noi ci rivolgiamo a Dio, in compagnia e garantiti da Gesù, chiamandolo con tenerezza e intimità abbà, «papà» (Le 11,2; Gal 4,6).
Tutto ciò è possibile poiché avviene nella fede e nella speranza mentre viviamo nella terribile situazione di violenza e di precarietà ove il male sembra essere dominante e sembra abbia un largo lasciapassare per cui spadroneggia sulla vita dei deboli e dei poveri, spesso degli stessi bambini. Noi non riusciamo a intravedere una muro di difesa dietro cui difenderci.
Tutta la creazione è soggetta al disfacimento, alla fragilità, alla corruzione; eppure grida il suo dolore, ma sembra che non sia ascoltata. Il male ed il peccato la stravolgono e la responsabilità del mondo umano di salvarla, sostenerla, "custodirla" (Gen2,15) non facilmente è diventata un comando chiaro e affidabile di cui rendere conto.
Questo si gioca nella dimensione della libertà, ma va accettata e creduta come possibile. Solo così la forza dello Spirito smantella ogni paura che nasce dalla schiavitù, fa scoprire fiducia e tenerezza, la fiducia da parte nostra e la tenerezza da parte di Dio, che non si cancella.
Il nostro tempo ha la possibilità di migliori chiarezze ma, certamente, vanno costruite barriere e sviluppate coscienze critiche collettive di fronte ai mali, alle ruberie, alle violenze ed agli sfruttamenti. È sempre lo Spirito che attesta a ciascuno di noi che siamo figli e quindi ci avvia a somigliare a Gesù. Ma deve sorgere la coscienza di popolo che opera nella dimensione personale, sociale ed economica e resiste, spinge a coerenze, denuncia il male, prima di tutto, aiutando personalmente i deboli ad uscire dalle dipendenze e dalle paure.
Dobbiamo stare attenti allo scoraggiamento, alla pigrizia, alla non partecipazione, al non voler capire e riflettere, al non intervenire.
Dobbiamo ricordare i tre elementi fondamentali e diritti inalienabili della "terra, la casa e il lavoro", ricordati da papa Francesco nel discorso dei movimenti popolari, che non vanno dati gratuitamente ma bisogna fare un grande sforzo collettivo per renderli disponibili ed accessibili attraverso il lavoro che costituisce la vera dignità dinamica della persona.
Il richiamo al confronto tra la sofferenza e la gloria permette a Paolo di ricordare che non sono paragonabili: la sofferenza è breve, la gloria è grandiosa ed eterna.
Matteo 2, 13b-18
Questa domenica ci fa ripensare a tutte le innumerevoli vittime innocenti. In particolare i bambini-che ancora oggi insanguinano le coscienze di tutti.
E' la furia del potere, della ubriacatura della forza, di chi si sente e vuole fare il padrone degli altri, soprattutto di chi è più debole, di chi non ha parole, se non la voce del pianto.
Dovremmo riflettere oggi sulla ferocia della violenza, sull'odio che imperversa sul mondo, sulla responsabilità che interpella tutti.
Responsabilità perché non ci associamo concretamente al lamento grande e inconsolabile di Rachele e al grido di dolore e di ribellione contro l'ingiustizia e la violenza.
Responsabilità perché nell'indifferenza generalizzata contribuiamo ad elevare questo tasso di odio, che inquina l'umanità, col nostro placido sentimento religioso, che tutt'al più si accontenta di fare un'offerta per sentirsi a posto con la propria coscienza. Potremmo prendere spunto da questa pagina di Vangelo per esaminarci sulla violenza, anche noi che ci riteniamo miti perché viviamo per lo più una religione borghese.
Anche noi, invece, siamo violenti, perché prendiamo le distanze, perché ci limitiamo a rifiutare la violenza a parole e non prendiamo parte effettiva alle grida, al lamento e al pianto grande di Rachele.
Perché rifiutiamo di essere madre -donne e uomini- di tutte le nascite e celebriamo un Natale fasullo perché non ci sporchiamo le mani e non prendiamo posizione. Anche nel nostro piccolo.
don Raffaello Ciccone e Teresa Ciccolini (Vangelo)