TESTO Commento su Is 62,10-63,3b; Fil 4,4.9; Lc 1,26-38
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
VI domenica T. Avvento (Anno B) (21/12/2014)
Vangelo: Is 62,10–63,3b; Fil 4,4.9; Lc 1,26-38
26Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Is 62,10-63,3b
Il capitolo 62 è il canto dello Sposo per la sposa, il canto della giustizia e della salvezza che brillano come stella e come lampada. "Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada." (v 1).
Su un terreno che sopporta solo macerie e distruzioni, scende il nome nuovo dell'amata, "del compiacimento di Dio". "Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo" (v 4). C'è un invito alla comunità già presente sulla terra di Gerusalemme, fatta di poveri. E' una comunità chiamata a rinnovarsi nell'amore del Signore per essere capace di accogliere coloro che giungeranno, attratti dallo splendore di Gerusalemme, uscendo dalla deportazione. Perciò, "Passate, passate per le porte, sgombrate la via al popolo, spianate, spianate la strada, liberatela dalle pietre, innalzate un vessillo per i popoli» (v 10).
Gerusalemme ripopolata e ricostruita dalla coraggio e dall'accoglienza, sarà "un popolo santo, redento dal Signore". Popolo "santo" poiché sarà proprietà di Dio, esaltato e fatto puro, separato dall'ingiustizia e dalla impurità. E sarà "redento" poiché Dio interviene con la sua forza e libera la sua famiglia. Il popolo sarà nuovo e splendente, poiché fedele allo sposo e quindi sempre rinnovato dall'amore di Dio.
L'orizzonte cambia nei versetti del capitolo 63. Alle sentinelle che fanno un guardia attenta e solerte alle porte, si presenta un solo personaggio e manifesta la propria identità divina e la sua opera di giudizio dei popoli. «Sono Io, che parlo con giustizia, e sono grande nel salvare».
Nessun altro ha saputo regalare la libertà al suo popolo, ma solo Lui l'ha conquistata. Colui che bussa alle porte della città è un guerriero che ha vinto tutti gli eserciti e torna, sporco di sangue, vincitore. L'immagine è esaltante per il popolo che attende intimorito e tremante. La sua veste rossa è come quella di chi pigia l'uva dopo la vendemmia. E grida che ha vinto da solo: "Nessuno era con me".
In questo caso non c'è un esercito, né un re e nemmeno un popolo a cui appoggiarsi. E' il Signore che combatte e vince coloro che sono potenti. Egli solo toglie dall'incubo di una guerra e di una strage da parte degli Edomiti, gli eterni nemici di Giuda.
Il testo richiama il popolo perché accolga chi arriva ed ha bisogno. Deve sistemare in qualche modo il selciato, deve rendere agevole l'ingresso di coloro che vengono, comunque sprovveduti. Il Natale ci richiama questa accoglienza, visto che proprio Gesù, che viene, bambino, in una famiglia di immigrati a Betlemme, non trova posto poiché "non c'era posto per loro".
Alcuni drammi, seri e sconcertanti di occupazioni di case di persone sole, malate e ricoverate in ospedale, mentre suscitano ovviamente turbamento e quindi riprovazione, dovrebbe anche preoccupare per il fenomeno dell'assoluta mancanza di case in affitto, sempre crescente nella nostra società industriale. Da sempre una società industriale difficilmente ha permesso la casa in proprietà agli operai ed impiegati del mondo lavoro, e questo proprio per la difficoltà di trovare lavoro a sufficienza sotto casa. Non a caso, in altre nazioni industrializzate, la casa in proprietà raggiunge il 40% della popolazione: Germania, Francia, Inghilterra.
Certamente, tra gli anni 60 e gli anni 80 da noi, c'è stata una eccezione: nel dopoguerra bisognava ricostruire gran parte delle case e ci fu quindi molto lavoro, si richiese una massiccia immigrazione, furono possibili in una famiglia due redditi per marito e moglie.
Con un po' di sacrifici gli immigrati hanno potuto comperare la casa in proprietà. Ma era una eccezione durata circa 20 anni. In Italia si è raggiunto addirittura l'80% delle case in proprietà per la popolazione. Dopo di che, di fatto, sta sparendo una tale occasione essendo ritornati alle difficoltà normali di una società industriale: lavoro ma non per tutti, spesso dislocato, per cui bisogna andare a cercarlo dov'è, mancanza di aiuto alla famiglia. In più una casa in proprietà fa aumentare le spese per il suo mantenimento.
Non a caso Papa Francesco, nel suo discorso ai movimenti popolari ha indicato tre diritti fondamentali: la terra, la casa, il lavoro: diritti su cui contare possibili a tutti, non necessariamente a tutti la proprietà. La casa accessibile per affitto alle famiglie è un grande impegno politico per cui tutti i cittadini responsabili dovrebbero impegnarsi.
Fil4,4-9
Paolo che, poco prima, ha ricordato le difficoltà e le contraddizioni contro di lui che ha affrontato ripete: "Dobbiamo essere lieti".
Paolo scrive alla sua comunità di Filippi nei cui confronti nutre grandi sentimento di affetto e di stima, mentre è detenuto ad Efeso
Il tema fondamentale che ci induce alla gioia- dice- è la vicinanza con Dio. Lo afferma nella prima parte del testo di oggi (4,4-5) e lo riafferma nella terza parte (4, 8-9). Nella parte centrale (4, 6-7), impegna nella preghiera che apre la propria vita sul mondo di Dio attraverso una comunicazione profonda di ringraziamento, di suppliche e di invocazioni. La pace di Dio possa custodire il cuore e la mente di ciascuno in Gesù.
Proprio perché il Signore è vicino, la preghiera è potente, è capace di portare serenità poiché custodisce cuore e menti in Gesù.
Coloro che si fidano della vicinanza del Signore non saranno presi dall'ansia né saranno turbati dall'angoscia: importante è esporre a Dio ogni necessità.
Ma questi doni di grazia e di pace vanno portati nel mondo attraverso un prezioso corredo di virtù umane, proprie della dignità di un adulto.
Paolo fa anche un elenco: "Quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode". Con il numero sette esprime l'orizzonte completo per la dote di una persona coerente e discepola di Gesù, che porta nel mondo i valori del rispetto e della convivenza, .Non serve la fede se non ci si sforza di sviluppare questi comportamenti. E Paolo sa che sono possibili se si esprimono, se sono visibili, se ci si sforza pubblicamente di esservi coerenti. In tal modo Paolo sa che la testimonianza (una volta si diceva il buon esempio), diventando un abito abituale, aiuta a capire e a vivere nella società di oggi. Così Paolo stesso, senza falsa modestia, si presenta loro come modello di questi comportamenti. Corrisponde al lavoro educativo del padre che dice al figlio: "Fa come faccio io". E questo fare riesce a tradurre le scelte di Gesù.
Papa Francesco ritraduce nella sua lettera "Evangelii gaudium" (n 10):" Un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale". E cita un brano della "Evangeli Nuntiandi" di Paolo VI (a 1975) Recuperiamo e accresciamo il fervore, «la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime [...] Possa il mondo del nostro tempo -che cerca ora nell'angoscia, ora nella speranza - ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo».(75). "
Lc 1,26-38
È una domenica importante della gioia.
"Siate lieti; ve lo ripeto: siate lieti" continua a sottolineare Paolo.
Certo, ci sono sorprendenti motivi per essere lieti, cioè gioiosi, nel profondo, perché non si tratta di effimera allegria: è Dio che si sta facendo vivo, concretamente vivo della nostra umanità, con la nascita di Gesù.
Nel Vangelo dell'Annunciazione, da lasciar risuonare la nostra fede parola per parola (ognuna grande, ognuna semplice, ognuna essenziale) spicca la domanda di Maria: "Come avverrà questo?".
È una domanda legittima, perché il Signore non richiede dei Fiat a mente cieca, volutamente supina, ma desidera il consenso della libertà che aderisca al suo progetto.
Ed è significativo che la domanda parta da una donna, anzi da una ragazza che, all'improvviso, si trova coinvolta in qualcosa di più grande dei suoi desideri di giovane ebrea, promessa sposa a rischio.
La fede è sempre legata alla dignità della persona (e qui è importante che si tratti di una donna, in cui viene riposta la fiducia di Dio).
E con questa fiducia reciproca, ad occhi aperti e cuore spalancato, possono avvenire "cose grandi", "magnifiche", può cambiare addirittura nel corso della storia: un Dio che si fa piccolo e la donna Maria che si fa grande della piccolezza di Dio.
don Raffaello Ciccone e Teresa Ciccolini (Vangelo)