TESTO Commento su Is 51,1-6; 2Cor 2, 14-16a; Gv 5,33-39
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
III domenica T. Avvento (Anno B) (30/11/2014)
Vangelo: Is 51,1-6; 2Cor 2, 14-16a; Gv 5,33-39
«33Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. 34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. 35Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
36Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. 37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me».
Isaia 51, 1-6
Ci troviamo verso la fine dell'esilio di Babilonia (sec. VI a.C.) e il profeta anonimo, detto Secondo Isaia, vuole incoraggiare il suo popolo perché incominci a intravedere un futuro di liberazione. Il profeta sa che il Signore mantiene le sue promesse e quindi osa smuovere la desolazione e la rassegnazione con un richiamo fortissimo. Tutto il capitolo 51, giocato sulla garanzia di Dio che finalmente parla di novità, per tre volte richiama il verbo "ascoltare": un verbo prezioso e di dialogo, qui ricordato nei primi 8 versetti. E' Dio stesso che parla al suo popolo.
Vengono insieme collegate le grandi tappe del mondo: la creazione, la storia e la sua conclusione (escatologia). Ma tutto è nelle mani del Dio provvidente. Il popolo è invitato a sperare, a credere, a ripensare alle proprie origini. Il messaggio, tuttavia, è rivolto e quindi è interpretabile" da chi cerca la giustizia, da chi cerca il Signore".
Il primo elemento è perciò l'attesa operosa, il desiderio di trovare soluzioni, la speranza che Dio possa aprire progetti. E questo è il significato della preghiera che deve essere tessuta di attese, di storia di popolo, di progetti che si innestano nelle linee di Dio.
La prima risposta rimanda alla roccia e alla cava: sono realtà che fanno riferimento alla pietra, che ha caratteri di solidità. Dio stesso è roccia. La fede è richiamo alla roccia con il nostro Amen.
Abramo e Sara, che vivono un matrimonio sterile, sono la radice di molti popoli. E' un avvertimento convincente di quanto il Signore è capace di far discendere da loro popoli e speranza.
Perciò se gli ultimi ricordi di Gerusalemme, visti o raccontati, sono distruzioni e rovine, la Gerusalemme abbattuta e i campi deserti fioriranno come l'Eden e come il giardino di Dio. Gli avvenimenti del futuro sono descritti come i fatti del passato perché si abbiano dei riferimenti costruttivi e visivi. Insieme a tutto ciò si svilupperanno gioia, allegrezza, musica e danza come nei tempi splendidi della gloria di Gerusalemme: la musica è sempre accompagnata dalla danza; così tutto il corpo esprime la bellezza ed il ringraziamento.
Anzi tutti i popoli ritroveranno nel Dio d'Israele, che pure è un popolo vinto, speranza e salvezza poiché da Dio avranno "legge e diritto". Non è infatti detto che i popoli vincitori godano gioia piena. Anch'essi sono sotto legislazioni di potere e di potenza, per cui, a questo punto, "Le mie braccia governeranno i popoli. In me spereranno le isole, avranno fiducia nel mio braccio." E il braccio è il potere di Dio, santo, giusto e misericordioso. Il braccio del Signore guidò gli israeliti fuori dall'Egitto (6,6; 15,16); creò il mondo (Ger 27,5), vinse le forze caotiche che si opponevano alla creazione per guidare ora Israele fuori dall'esilio (Is 51,9-11).
Cieli e terra sono esempi di stabilità, eppure di fronte alle promesse di Dio e alle sue garanzie diventano realtà fragili che si dissolvono: sono richiamate anche le grandi divinità del mondo antico: sole, luna e stelle, grandi divinità pagane, diventano insignificanti e innocue.
2Corinzi 2,14-16b.
Paolo ha incontrato molte difficoltà a Corinto per una opposizione tra un gruppo di apostoli e una Chiesa che essi hanno fondato. Una persona di una certa autorevolezza, ma si discute chi fosse, aveva fortemente criticato il Vangelo predicato da Paolo e dai suoi collaboratori. E i Corinzi, da poco evangelizzati, si erano lasciati sedurre ed avevano abbandonato Paolo. A questo punto, dalle notizie ricevute, l'apostolo prese la decisione di non troncare il rapporto, ma preferì scrivere piuttosto che recarsi di persona nella sua comunità. La lettera, portata da Tito, produsse effetti positivi. Così Paolo si rappacificò con i cristiani di Corinto.
Il testo, che abbiamo letto, troppo breve per inglobare discussioni e tensioni esistenti, ci presenta una immagine curiosa che però faceva colpo sulla folla perché si esprimeva in un apparato maestoso, tra folle esultanti e apparati fastosi. Cristo viene paragonato ad un generale romano, vincitore su un esercito nemico, e quindi conquistatore, per cui il Senato ha organizzato un trionfo. Così il vincitore sfilava su un carro, circondato dai suoi ufficiali più importanti, mentre i nemici vinti seguivano incatenati e giovani donne spargevano petali di fiori e profumo lungo le strade. Dovevano esserci anche bracieri in cui particolari essenze venivano bruciate mentre la folla festante si inebriava e si esaltava, commossa e orgogliosa, di essere partecipe della gloria del vincitore.
Così oggi Dio percorre il mondo con il suo carro trionfale dell'Evangelo e con Lui gli apostoli diffondono, con la predicazione, la conoscenza di Dio come un buon profumo che inebria e fa esplodere la novità e la gioia. Mentre Dio è l'autore della vita e della morte, compito degli apostoli è quello di essere ministri della Parola e quindi non debbono trafficare, barattare, alterare e mascherare la Parola del Signore. Paolo denuncia l'esistenza di falsi apostoli insinceri, preoccupati del propri interesse che alteravano la Parola di Gesù.
Paolo si rese conto che ogni credente è stato fatto da Dio annunciatore. "Egli diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza!" Ma, come Cristo, che è stato il segno di contraddizione nel mondo (Lc 2,34), e pietra d'inciampo (Mt 21,42-44), così anche noi, con il nostro comportamento coerente, possiamo diventare anche pietra d'inciampo, laddove il messaggio di Gesù è rifiutato con lucidità, e può diventare "odore di morte per la morte".
E tuttavia questo ci deve mettere in profonda attenzione perché non diventiamo ostacolo e paravento alla Parola. E però non possiamo dimenticare che è sempre l'azione grandiosa di Dio che opera in noi perché la Parola sia limpida e agli altri la Parola di Dio arrivi senza deformazione.
Giovanni. 5, 33-39.
Se leggiamo attentamente il testo di oggi, ci accorgiamo subito della frequenza della parola "testimonianza".
Questa parola, immediatamente, evoca in noi qualcosa di giuridico, di legale. Certo, anche nel nostro linguaggio, assume questa accezione specifica. Ma nel Vangelo di Giovanni ha un significato più ampio e più profondo che il termine greco "marturya" non esprime completamente.
Infatti Giovanni sta parlando da ebreo, perciò con un sottofondo che invia all'essenza della persona e all'intreccio delle relazioni.
Testimonianza qui vuol dire "dare credito" incondizionato a Gesù. E c'è un crescendo di "testimonianze": da Giovanni Battista, alle opere di Gesù, al Padre, alle Scritture.
Ma è bello anche accorgersi che Gesù non solo riceve testimonianze, ma le dà: al Padre, a Giovanni, a chiunque entra in relazione con lui, lasciandosi incontrare e chiamare.
E' un darsi credito a vicenda, un fidarsi reciproco, un confermare la propria scommessa sul Signore, un riconquistare la validità, il desiderio, la passione di una ricerca (" Signore, dove abiti?" "Ma chi andremo, Signore?").
Che bella parola - testimonianza- marturya! A dire la lealtà reciproca, l'appoggio, la speranza di verità, la bellezza di un ritrovarsi, la passione del condividere e del partecipare.
Offuscata, ma anche avvalorata, dal monito che Gesù ci lascia con rammarico: "Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce, né avete mai visto il suo volto; e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a Colui che mi ha mandato".
Questo richiamo è rivolto a tutti noi:
-Davvero ascoltiamo la sua voce?
-Davvero crediamo al Dio di Gesù? cioè: ci fidiamo di Lui?
-Davvero la sua parola rimane in noi?
Infatti non è questione di "scrutare", ma di accogliere, di lasciarci plasmare dalla sua Parola e dalla sua consolazione. Di buttarsi, anche nel buio.
Teresa Ciccolini (Vangelo)