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TESTO Una storia da cambiare

don Fulvio Bertellini

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XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (26/09/2004)

Vangelo: Lc 16,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 19C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Gesù porta a compimento le caratteristiche della missione profetica: lo sguardo attento, la comprensione profonda, la denuncia efficace, l'appello alla conversione. Cambia l'orizzonte: non più l'Alleanza del Sinai, ma una nuova Alleanza, una nuova possibilità di relazione con Dio, che sarà inaugurata nel suo sangue.

Non c'è storia

Nella prima parte della parabola manca un vero sviluppo narrativo. Il ricco resta ricco, Làzzaro resta povero, bramoso di sfamarsi delle briciole. Forse è proprio l'immobilità una delle cifre fondamentali del peccato riguardo alla ricchezza. Ci si rassegna al fatto che le situazioni restino bloccate, senza speranza per i poveri, senza possibilità di apertura per i ricchi. Il circolo vizioso del benessere impedisce di guardare a Dio e di guardare ai fratelli, e impedisce soprattutto di rendersi conto che tutto questo è male.

Il rovesciamento

Per rendersi conto dell'iniquità occorre un punto di vista diverso: eccoci trasportati nell'aldilà. Un'aldilà di fantasia, dove il padre Abramo può conversare con i dannati. Solo da questo osservatorio privilegiato è possibile constatare come la vita del ricco non gli abbia permesso di accumulare nessun tesoro in cielo. Soltanto nei tormenti, egli comincia ad invocare un cambiamento di situazione, ad accontentarsi di una goccia d'acqua. Ma è troppo tardi: bisogna convertirsi quando è il tempo.

Gesti umili

La seconda richiesta del ricco riceve anch'essa un rifiuto. Sembra una sana preoccupazione per i propri fratelli, ancora sulla terra: di fronte ad un segno straordinario, potranno cambiare vita. Ancora un rifiuto: bisogna accontentarsi dei segni poveri che si hanno. La parola della Scrittura, la testimonianza apostolica, sono i segni sufficienti per la nostra conversione. E qui possiamo aggiungere una postilla: anche i segni di conversione che ci sono richiesti, sono segni poveri. Le briciole, la goccia d'acqua di cui si parla nella parabola, richiamano altri piccoli segni del Vangelo: il granello di senape, il bicchiere d'acqua dato ai discepoli, le monetine offerte dalla vedova... sono il punto di partenza per fare grandi cose. Spesso invece chi pretende di risolvere i problemi del mondo, trova il pretesto per non fare nulla.

(NOTA PER IL LETTORE

Il commento procede in maniera leggermente diversa dal consueto. Un più largo spazio è riservato alla I lettura, che sta alla base del commento al Vangelo. Nel dialogo sulla "notizia" è condensato un tentativo di attualizzazione.)

Commento alla prima lettura

"Guai agli spensierati di Sion...": discorso rivolto ai capi del popolo, alle classi dirigenti di ambedue i regni in cui era diviso il popolo di Israele. Costoro si sentono orgogliosi e tranquilli per la loro preminenza politica, forza militare e sicurezza economica. La denuncia del profeta rivela l'inconsistenza delle loro certezze, e l'iniquità sostanziale su cui si fonda il loro benessere. Dobbiamo guardarci da una interpretazione frettolosa, che identifica immediatamente i buontemponi di cui parla il profeta con i nostri politici, con i governanti del mondo, con chi regge l'economia mondiale oggi, o addirittura con il nostro mondo occidentale... rischiamo di essere superficiali, non in linea con lo stile del profeta. Che parte da una conoscenza accurata dei fatti, da un discernimento profondo sulla situazione, e arriva a formulare una denuncia precisa. Il suo linguaggio è lucido, potente, efficace. Viene da chiedersi se la Chiesa di oggi non sia forse troppo buonista e poco profetica. Se vuol essere fedele alla sua missione, potrà piacere a tutti? Pretendere di suscitare una simpatie e un consenso universali? Ma simili domande ci portano troppo presto sul terreno minato dell'attualizzazione frettolosa. Andiamo con ordine: prima accertiamoci di aver compreso il profeta di secoli fa - e poi saremo su una base sicura per guardare ai nostri giorni.

"Su letti d'avorio e sdraiati sui loro divani...": notiamo innanzitutto la mentalità, lo spirito profetico: esso consiste in un modo di vedere, che diventa un modo di parlare. Il profeta non parte dalla denuncia generica, o da principi astratti, ma fissa l'occhio su alcuni simboli precisi di lusso e di ostentazione.

"Mangiano gli agnelli del gregge...": la prima coppia di simboli riguarda l'arredamento (letti e divani) - le seconda il cibo (agnelli e vitelli, che allora venivano riservati solo per le occasioni più importanti)- la terza il divertimento musicale (arpa e strumenti) - e infine vino e profumi raffinati, segni di un'ostentazione che può permettersi anche più del superfluo. Tutti i sensi sono coinvolti: vista, tatto, gusto, udito, e olfatto, in una sagra del lusso che culmina nelle "primizie dei profumi".

"Ma non si curano della rovina di Giacobbe": il periodo di Amos fu uno dei più splendidi del regno di Israele; tutto però era dovuto ad un temporanea debolezza del regno di Assiria e tradizionali nemici confinanti. Uno stato di cose che non poteva durare a lungo. Neppure la situazione interna del regno era rosea, malgrado le apparenze: alla sontuosa ricchezza di pochi, si contrapponeva la condizione precaria della maggior parte della popolazione, soprattutto dei piccoli proprietari, schiacciati dalla nuova classe dei grandi proprietari terrieri, che si impadronivano progressivamente di tutte le proprietà, con il meccanismo perverso della schiavitù per debiti.

"Perciò andranno in esilio, in testa ai deportati": coloro che si credevano i primi, i capi, saranno in testa alla colonna degli esiliati. Drammatico rovesciamento di sorti. Chi si adagiava nel lusso, rotolato nella polvere. Amaro destino di chi dovrebbe prendersi a cuore le sorti della comunità, e si occupa invece soltanto del proprio interesse.

I presupposti del brano. Non possiamo però comprendere appieno la profezia di Amos se non teniamo conto del contesto dell'intero, e del suo substrato teologico. Perché il profeta si occupa di fatti socio-economici? Che hanno a che vedere con il patto religioso tra Dio e il popolo?

Proprio una profonda consapevolezza dell'Alleanza è alla base della denuncia di Amos. Con l'Esodo, Dio libera il popolo, perché diventi popolo dell'Alleanza. Ora però Israele è ridivenuto un popolo di schiavi. L'Alleanza è stata svuotata, e viene celebrata nei santuari religiosi da quegli stessi ricchi che l'hanno di fatto calpestata e ignorata. La fede nel Dio di Israele, che potrebbe cementare il popolo contro i nemici esterni, e dargli piena unità d'intenti, è trascurata.

La parola profetica chiave di comprensione del Vangelo

Fin qui abbiamo dato voce al profeta dell'ottavo secolo avanti Cristo. Alcuni paralleli sono sorprendenti: un'epoca di prosperità e benessere; il lusso sfrenato che induce all'indifferenza; forti disuguaglianze; la corruzione e l'arroganza degli arricchiti. Non possiamo però ignorare le differenze: quelli che nell'antichità erano segni di lusso, sono oggi abituali nelle nostre case. Lo squilibrio tra ricchi e poveri è oggi percepibile più su scala mondiale che all'interno dei nostri paesi e delle nostre città. Il profeta parla di quello che vede direttamente, nella sua città; noi parliamo di ciò che vediamo alla televisione, in tutto il mondo. E' meglio essere molto cauti, mentre tentiamo di applicare al nostro mondo le profezie di Amos. Le sue parole non sono come una delle tante notizie catastrofiche che ci giungono, per le quali proviamo un'emozione fugace, un moto di pessimismo, e infine la voglia di distrarci e pensare ad altro (e così proliferano in TV le trasmissioni sportive, le veline e i "reality show").

La parola del profeta ci provoca più in profondità. Ci spinge innanzitutto ad aprire gli occhi: egli non si limita ad ammirare o invidiare il lusso dei ricchi di Israele, ma cerca di comprendere al di là delle apparenze. Dietro una vita indubbiamente splendida, si nascondono ingiustizie, soprusi, indifferenza. Che cosa si nasconde dietro il nostro benessere?

La parola del profeta ci invita a denunciare il male. Non con parole generiche, accuse vaghe, propositi velleitari. Amos parla con esempi precisi, immagini che in poche pennellate tratteggiano un quadro sorprendentemente vivo della società del suo tempo. (Certamente, per noi è più difficile capire, ed è più difficile parlare. Comprendere una realtà complessa e globalizzata è più difficile che capire l'Israele dell'ottavo secolo. E per quel che riguarda il comunicare, sarebbe ancora più difficile oggi per il profeta farsi strada in mezzo alle tante voci - televisive e non - che ci bombardano quotidianamente).

Soprattutto, la voce del profeta che ancora oggi risuona nelle nostre comunità, invita alla conversione. Il linguaggio scelto è il più drastico: la prospettiva del castigo. Ed è la stessa scelta del Vangelo. La nostra ottusità spesso ci impedisce di vedere il male insito nelle nostre azioni e nelle situazioni che ne derivano. Il profeta però mostra la conseguenza - non immediata - del comportamento degli Israeliti: la deportazione e l'esilio. Gesù mostra l'esito ultimo di una vita vissuta unicamente per la ricchezza: la lontananza dai fratelli, la lontananza da Dio. In altri termini: l'inferno. Ma il castigo sta sullo sfondo, al termine di un cammino che resta da percorrere Perché non cambiare strada?

Flash sulla II lettura

"Combatti la buona battaglia dellafede... ": il paragone militare ricorre in altri passi del Vangelo. Si tratta ovviamente di una guerra metaforica, da combattere con "la fede, la carità, la pazienza, la mitezza". L'immagine sottolinea il dovere del discepolo di dare testimonianza, anche in condizioni avverse o difficili. Per noi potrebbe significare l'esigenza di ridiventare missionari e protagonisti, non solo esecutori automatici e stanchi ripetitori di consuetudini ormai logore.

"Cristo, che ha fatto la sua bella professione di fede davanti a Pilato": Gesù davanti a Pilato rappresenta il modello della lotta del discepolo. Disarmato, solo, senza nessuna protezione, unicamente dotato della forza della Parola, completamente affidato al Padre.

 

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