TESTO Fratelli, la speranza non delude
Tutti i Santi (01/11/2014)
Vangelo: Mt 5,1-12
In quel tempo, 1vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
3«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi».
La commemorazione di tutti i fedeli defunti è una celebrazione potenzialmente ambigua. La morte è un fenomeno che risveglia istinti e reazioni che oltrepassano la nostra ragione e spesso anche la nostra fede, ci scandalizza, ci turba, mette a nudo tutta la nostra impotenza. Rassegnarsi a questa debolezza è quasi impossibile e paradossalmente il terrore stesso che la morte ci incute si trasforma spesso in fascinazione e in tentativo più o meno consapevole di addomesticarla. Ed una delle maniere di addomesticare la morte è di sacralizzarla, circondarla di riti e di pratiche volte in qualche modo ad esorcizzarla; allo stesso modo, tendiamo a credere che le persone defunte accedano ad uno stato che conferisce loro uno statuto e anche magari poteri diversi, superiori. Insomma la morte rischia di risvegliare gli istinti pagani che portiamo dentro di noi: sacralizzare la relazione con la morte o con i defunti infatti è un modo per proteggerci illudendoci di poterli controllare.
Una delle caratteristiche fondamentali del cristianesimo invece è proprio il rifiuto di sacralizzare la morte o i defunti grazie alla naturalezza con la quale è affrontata la morte. E' un passaggio non diverso da quello che avviene per esempio quando si prende un aereo per andare in un altro paese mai visitato prima. Certo, vi è un po' di apprensione di fronte alla prospettiva dell'ignoto, ma si sa che vi si troveranno più o meno le stesso cose che abbiamo da noi, anche se la lingua è diversa, l'aspetto delle persone cambia, gli usi e il cibo sono diversi. Anche riguardo a quello che ci succederà dopo la morte, anche se come essere umani non possiamo evitare una certa apprensione, come cristiani abbiamo una sicurezza riguardo a ciò che troveremo: un Padre che ci accoglie nel suo Regno.
Di fronte alla morte siamo sorretti non dai nostri riti di passaggio, non da idee filosofiche, ma da una speranza fondata su una esperienza.
L'esperienza è quella dell'amore del Padre riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato, come dice Paolo. Di questo amore facciamo costantemente l'esperienza. Non vediamo Dio certo, né lo Spirito Santo. Ma per mezzo del battesimo siamo stati integrati in una famiglia, in un popolo, la Chiesa, dove facciamo una esperienza di comunione. Tramite la preghiera, tramite la lettura della Parola, tramite l'eucaristia siamo già in relazione con il Padre: lo ascoltiamo, gli parliamo, cerchiamo di discernere la sua volontà, gli chiediamo perdono, impariamo progressivamente a riconoscerlo all'opera nella nostra vita e soprattutto a credere nella sua misericordia infinita. Certo, gli occhi di carne non percepiscono nulla, ma gli occhi del cuore per mezzo della fede già vedono Dio, in modo misterioso, ma reale.
Non dimenticherò mai la risposta che mi diede una volta un monaco di quasi novanta anni ai quali, giovanissimo, chiesi un giorno se non avesse qualche timore sapendo che il momento di morire sarebbe arrivato molto presto per lui. Sorridendo mi rispose di essere molto sereno perché aveva la chiave per il passaggio: la fiducia nella misericordia di Dio. Basta, al momento di morire, poter contare su questa fiducia; basta proferire una frase, un pensiero, un anelito di abbandono fiducioso nelle braccia nel Padre: "Nelle tue mani Signore rimetto il mio spirito, contando solo sulla tua misericordia". Quali che possano essere le mille contraddizioni della nostra vita, quali che possano essere le nostre piccole o grandi resistenze all'amore di Dio; quali che possano essere i nostri scrupoli, i nostri timori, le nostre ansietà: un solo, semplice, istantaneo atto di affidamento alla misericordia di Dio ci apre tutte le porte, anzi ci apre le braccia del Padre.
Tale pensiero dava serenità e pace al monaco ultraottantenne, ma deve darla anche a ciascuno di noi, non solo nei confronti della prospettiva della nostra morte, ma già nelle tante morti quotidiane. La morte finale infatti verrà solo come il compimento di una morte che sperimentiamo quotidianamente, non solo nel progressivo decadimento del nostro corpo, ma più ancora nella esperienza costante della fragilità della nostra condizione umana. Morte sono già le nostre contraddizioni, le nostre paure, le nostre depressioni o anche solo gli inevitabili momenti di scoraggiamento, tristezza, solitudine. Morte sono già i nostri fallimenti, la percezione del carattere effimero di ogni nostra impresa: per quanta legittima fierezza possiamo provare per quello che facciamo di positivo, siamo comunque sempre esposti alla fine alla ambivalenza di ogni risultato, di ogni successo. Tutto passa. Tutto è vanità, diceva Qohelet, non nel senso che tutto è senza valore, ma nel senso che tutto passa.
A questo invita la regola di S. Benedetto quando afferma che occorre tenere la morte presente davanti agli occhi ogni giorno. Non si tratta di pensare tanto alla morte del corpo, ma di accettare l'esperienza quotidiana dei tanti piccoli cedimenti del nostro corpo, della nostra vita, delle nostre imprese, dei nostri successi con la serenità di chi sa che il loro vero valore non risiede nella loro permanenza fisica, ma nell'amore di cui sono stati il risultato o l'espressione. Pensare alla morte, accettare questa presenza quotidiana della morte nel cuore della nostra vita ci apre così alla vera vita, a quello che dimora.
A questo ci invita la celebrazione eucaristica ogni domenica: a riconoscere la nostra vita come l'espressione di un dono, quindi di un amore, quello del Padre e a non temere di rispondere a questa grazia con il ringraziamento, con l'eucaristia (parola che vuol dire appunto ringraziamento), pur sapendo quanto poco ne siamo capaci. Nella eucaristia infatti la povertà del nostro grazie è assunta nel grazie di Cristo, quello espresso dalla sua morte sulla croce, che fa di lui, e di noi in lui, un sacrificio, cioè un dono gradito al Padre.
Il Padre, come dice il Vangelo di oggi, ci ha dati a Gesù e Gesù non perde nulla di quello che ha ricevuto dal Padre: Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato. In lui siamo riconciliati con il Padre, in lui abbiamo la remissione dei peccati e quindi in lui la via per accedere nel regno del Padre, per essere ricevuti nell'abbraccio del Padre ci è aperta in modo sicuro.
In questa celebrazione siamo dunque invitati a rinnovare questo atto di fede nell'amore e nella misericordia del Padre. Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Armati di questa certezza possiamo contemplare con serenità la prospettiva della nostra morte e accogliere quella delle persone che ci sono care. Per questo ci basta ritrovare la certezza che lo Spirito diffonde nei nostri cuori, la certezza dell'amore del Padre, la garanzia assoluta del suo perdono.