TESTO Commento su 2Mac 12,43-45; 1Cor 15,51-57; Gv 5,21-29
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
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Commemorazione di tutti i fedeli defunti (02/11/2014)
Vangelo: 2Mac 12,43-45|1Cor 15,51-57|Gv 5,21-29
2Maccabei 12, 43-46
Il secondo libro dei Maccabei è un seguito di lotte del popolo d'Israele contro truppe nemiche e contro città che depredano e ingannano la popolazione del Signore mentre questo vuole restare fedele alla fede dei padri.
Qui si parla, in particolare, di un combattimento contro Gorgia, un generale siriano che poi diventa Stratega della regione dell'Idumea (12,22). Giuda Maccabeo ha raccolto le truppe Israeliane e costringe alla fuga l'esercito nemico. Ma muoiono anche dei soldati giudei. Nel frattempo l'esercito ebreo trova ospitalità in un città vicina: Odollam e vi si ferma per riposarsi, tanto più che è sopraggiunto il sabato. Ma il giorno dopo, tutti debbono preoccuparsi di seppellire i morti poiché c'è caldo; siamo dopo la festa della Pentecoste e "necessità esige" (12, 39: i corpi cominciano ad imputridirsi) che si provveda alle tombe. Ci si rende conto, però, che sotto le tuniche di quei soldati morti sono nascosti amuleti, oggetti votivi e preziosi, offerti agli idoli dai loro adoratori della città di Iamnia e che questi guerrieri hanno vinto e depredato. Ai giudei è vietato possederne e, tuttavia, non sono segno di idolatria ma di cupidigia, cioè bottino di oggetti preziosi per lucrare soldi. Ma nella loro cultura religiosa concludono: "Questa scoperta, dice il testo, fu a tutti palese per quale causa costoro erano morti" (12,40). Iniziano allora a fare una supplica chiedendo che il peccato fosse cancellato: e l'immagine che viene evocata è una pagina che viene lavata facendo scomparire la scrittura.
Ci si rende conto che, in questo periodo, sia già radicata la convinzione della risurrezione per i morti. Il Signore è più forte della morte e concede ai suoi amici di poter intercedere e di influire a vantaggio dei defunti.
L'invio di 2000 dracme (circa 7 Kg d'argento), per offrire sacrifici in espiazione e in suffragio, rivela la convinzione della risurrezione, legata però alla garanzia di "addormentarsi nella morte con sentimenti di pietà." Anche questi soldati, lottando contro eserciti nemici, nonostante la loro cupidigia (il peccato per cui si prega), possono essere stati animati dalla fede nel Dio d'Israele. Così Giuda, il comandante e il responsabile di questo popolo, sente di poter aiutare i soldati che hanno dato la vita per la causa d'Israele ed ha la convinzione che il Signore non avrebbe fatto mancare il giusto premio della risurrezione eterna. Secondo la riflessione che nasce dal libro dei Maccabei, si suppone che ci sia un periodo di stato intermedio, dopo la morte, per cui alle anime è permesso di purificarsi dai loro peccati, per virtù delle opere buone compiute dai viventi che credono e si fidano del Signore. Proprio questo crede la Chiesa quando incoraggia a pregare per i defunti e pensa al tempo della purificazione nel Purgatorio: tempo di attesa, di solidarietà, di aiuto reciproco, di sostegno nella fede, di richiamo reciproco a ciò che è stato esemplare. Dovremmo fare l'inventario dei desideri che i nostri defunti avevano e volevano realizzare e li dovremmo rileggere alla luce del Signore per purificarli ed esaltarli. Quindi dovremmo capire che quella è veramente l'eredità che ci lasciano da completare, valorizzare, sviluppare. Il vero modo di onorare i nostri defunti non sono i monumenti o i mazzi di fiori al cimitero, ma la preghiera e lo sviluppo delle loro speranze autentiche che hanno iniziato e non hanno condotto a termine.
Ce le hanno lasciate per il nostro cammino e ci sono grati se sviluppiamo quello che ai loro occhi, nelle luce del Signore, hanno ora capito veramente.
1 Corinzi 15, 51-57
Paolo ha particolarmente insistito, sulla resurrezione in questo capitolo 15 con i cristiani di Corinto, che sono greci e che, per questo, la loro cultura rifiuta la prospettiva del ritorno alla vita poiché ritengono che il corpo è molto più prigione che non grazia per giungere a Dio.
Quindi l'abbandonare il corpo sarebbe un primo dono che il Signore Gesù offre loro. Ma la riflessione di Paolo attinge dalla coscienza ebraica della risurrezione e soprattutto dalla fede in Gesù che garantisce di essere risurrezione e vita. Egli ha lottato e vinto la morte per sé e per tutti gli uomini e le donne del mondo poiché la morte è il retaggio del peccato nell'umanità. Paolo qui osa lanciare lo sguardo oltre il velo della materia e oltre il tempo della storia. Non ha ricevuto dalla dottrina degli apostoli particolari sulla risurrezione e quindi si affida ad una rivelazione personale del Signore. Perciò parla di mistero, cioè di rivelazione non pubblica ma intuizione di ciò che avverrebbe alla fine. Tutti si trasformeranno, sia i morti e sia quelli che ancora saranno stati risparmiati dalla morte: tutti entreranno nella gloria.
Si intravede che Paolo immagina di assistere personalmente agli avvenimenti finali. Ma non si sa nulla del "quando". Ogni persona riceverà un corpo glorioso e incorruttibile. Tutto il male ed il corredo del male: morte, odio, sofferenza, fame, violenza, malattia e vendetta saranno sconfitti: la vittoria di Cristo sarà definitiva e completa.
Qui viene anche accennata una problematica sulla legge che sarà poi sviluppata nella lettera ai Galati ed ai Romani. Al v.56 sono uniti insieme la morte, il peccato e la legge. E' il dramma della legge ebraica, riflette Paolo: essa parla di peccato e ci svela la bruttura e la indegnità a cui il peccato porta; però la legge di Mosè non dà la forza di superare il peccato: la legge svela e ci travolge con la sua debolezza che non sa sostenere la lotta contro il male.
Ci aspetteremmo, in questo splendore di speranza, un invito non solo al ringraziamento ma anche a sollevare gli occhi verso il traguardo dei cieli ed invece il testo continua: "Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore" (v 58). Paolo incoraggia a lavorare, ad impegnarsi poiché questo mondo, fatto da Dio con amore e da lui salvato, ha bisogno di amore da parte dei suoi amici perché il bene sa vincere il male e può liberare ogni persona che viene o può essere travolta dal male. Tutto il bene, nel nostro tempo, diventa speranza e riscatto e vince: siamo nel dramma di guerre e di malattie, di tensioni e di povertà.
Il Signore chiede a noi e ci dà grazia e forza per portare speranza, qui, nel nostro mondo intero, e non solo tra noi occidentali, o alla sola nazione, o al nostro gruppo, al nostro clan, o ai nostri familiari.
Ci sono sempre almeno 200 ragazze nigeriane fatte schiave sei mesi fa dai miliziani di Boko Haram e sempre lontane da casa; E ci sono migliaia di malati di Ebola in Africa per cui è necessaria la ricerca sulla malattia. Non è possibile che ci si muova solo quando c'è in Europa qualche ammalato infetto. E' solo allora il tempo in cui ci si deve sentire sconvolti? E se proprio non possiamo fare molto, resta sempre fondamentale la preghiera di intercessione ed il parlarne con una certa continuità con le persone che incontriamo fino alle soluzioni.
Se i nostri morti, che abbiamo amato, potessero venire ad offrici messaggi essenziali, che essi hanno colto nella vita ed ora ne sperimentano il valore alla luce del Signore, ci direbbero esattamente di non scoraggiarci, di continuare ad osare, di cercare e di sperimentare nel bene, nel meglio, nel nuovo con la speranza di diffondere la novità del Signore, la gioia del vivere, la forza dell'accoglienza e della generosità, la solidarietà a cominciare da chi non ha risorse.
Giovanni 5, 21-29
Il testo del vangelo di Giovanni è molto consolante: "In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita."
E altrove ripete che non è venuto per giudicare e condannare, ma per dare la vita e darla in abbondanza.
Bisogna ascoltare la sua Parola.
Sembrerebbe facile.
Ma ascoltare la Sua Parola significa fidarsi di Lui e affidarsi completamente al suo messaggio evangelico.
Vuol dire, cioè, cambiare mentalità, capovolgere il modo di vivere che normalmente è incentrato su se stessi, guardare l'umanità e il mondo con gli occhi di Dio.
Sono parole che ci mettono in crisi.
A sentirle o leggerle così superficialmente sembra tutto semplice: ma sì, che cosa costa credere in questo Gesù di cui si parla da più di duemila anni? E' stato un profeta sfortunato, è finito male, anche se era buono con tutti; e ha detto e fatto delle cose che sembrano inverosimili, ma si può anche credergli; tutt'al più non sarà vero.
Il fatto è che "ascoltare" è molto più che ‘udire'; ascoltare significa aderire, capire, mettere in gioco se stessi.
In questo caso vuol dire credere che la vita è più forte della morte (e non è facile con tutto quello cui assistiamo), perché il Dio che ci rivela Gesù è il Dio che è Amore, Vita, Relazione: il Dio-con-noi. Il Dio dell'incontro, il Dio che non ci vuole perdere.
Come una mamma, come un papà.
Per questo è possibile che Gesù dica: COME il Padre risuscita (cioè, comunica la sua vita) i morti, COSI' anche il Figlio dà la vita.
Pensiamoci a fondo.