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TESTO Commento su Is 65,8-12; 1Cor 9,7-12; Mt 13,3b-23

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

VII domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (12/10/2014)

Vangelo: IS 65,8-12|1Cor 9,7-12|Mt 13,3b-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Isaia 65, 8-12
Tutto il capitolo 65 sviluppa il contrasto religioso esistente sul territorio della Palestina dopo il ritorno da Babilonia (siamo dopo il 539 a.C.). I nuovi venuti dall'esilio portano il loro bagaglio di sofferenza, ma insieme riscoprono il proprio entusiasmo e la propria fiducia nel Signore.
Perciò la popolazione ora è composta da un popolo residente, rimasta sul territorio durante i 70 anni di deportazione e dell'altra parte di una popolazione più significativa: culturalmente, religiosamente ed economicamente, deportato eppure sempre vivo, mantenendo e alimentando la propria lontananza da Gerusalemme nei ricordi e in un notevole impegno religioso. Questa parte si distingue dai primi che si sono trovati disorientati, senza strutture, senza sacerdoti e senza tempio e quindi hanno accettato l'idolatria. I nuovi venuti rappresentano una speranza forte e coraggiosa che non li ha fatti confondere con i vincitori. E con la speranza, hanno mantenuto la loro fedeltà alla Parola di Dio, ai riti e alle morale mosaica. Tornando vogliono restaurare una nazione santa, responsabile e fedele.
Il profeta sa di dover trasmettere due messaggi diversi, eppure ambedue di grande novità per ricostituire un futuro per tutti. Il Signore garantisce: "Se in un grappolo di uva ormai seccata, c'è ancora qualche acino col succo, il Signore non dice: "Distruggetelo". Egli benedice e continuerà la fertilità e l'abbondanza, nasceranno da Giacobbe la discendenza delle 12 tribù; non ci sarà sterilità ma spazi e pascoli sui terreni che diventeranno sempre più produttivi. Il terreno coltivabile andrà da Saron, l'occidente e il nord della Palestina con i grandi pascoli, alla valle di Acor, l'oriente e il sud della terra d'Israele che è deserto improduttivo. Il segno di Dio, per il mondo ebraico, è la produttività, il lavoro per tutti e il lavoro che rende. Non bisogna mai dimenticare che uno dei drammi di questo popolo, e spesso sperimentato, è il piantare la vigna e il seminare senza avere possibilità di raccolto perché, nel frattempo, gli eserciti sono passati ed hanno depredato e distrutto. Seminare e raccogliere è il concreto segno della pace e della fraternità che Dio benedice.
Gad e Meni sono divinità che molta parte del popolo idolatra venera: Gad è la dea della Fortuna (conosciuta anche da noi) e Meni (sconosciuto ma etimologicamente significa "destino"), probabilmente, è una divinità per propiziare il futuro. Non a caso il versetto 12 comincia proprio con "Io destino".
Questo testo fa ricordare Abramo e la supplica coraggiosa e carica di fiducia al Signore di fronte alla distruzione di Sodoma e Gomorra (Gen 18,22-33); ci fa ricordare la più curiosa preghiera di intercessione giocata sulla riduzione matematica della presenza di giusti in un popolo. Abramo iniziò da 50 e arrivò fino a 10: "Se ci fossero 50 giusti...se ci fossero 10 giusti, distruggerai questo popolo malvagio?" E il Signore garantì per 10 giusti. Ma, probabilmente non si trovarono 10 giusti e le città furono distrutte.
Qui i fedeli ritornati rappresentano l'intercessione vivente di cui Dio si fa protettore e garante.
Finché giunge Gesù, "il solo giusto" che si offre per tutti e tutti noi continuiamo a ricevere la garanzia di Dio per amore del suo Figlio.
Siamo tutti disorientati della violenza che si sta sviluppando ai confini dell'Europa mentre in Europa la violenza è legata alle nostre coriacee ideologie: il rifiuto dell'altro, il disprezzo e lo sfruttamento delle donne e dei poveri, il rigetto dell'immigrato, la denigrazione dell'avversario.
Per quanto piccoli, deboli o vecchi possiamo essere, non dobbiamo dimenticare che la nostra preghiera di intercessione è grande e potente sul cuore di Dio. Va ricordata la parabola del giudice iniquo (Lc 18,1-8). "Insistendo, anche l'ingiusto giudice è mosso a fare giustizia. Ancor più Dio che sa ascoltare la preghiera insistente e continua: essa dimostra coraggio, fedeltà e fiducia nella sua generosità".
1 Corinzi 9, 7-12
Il capitolo 9, da cui sono tratti i versetti di questa liturgia, svolge una pesante polemica con molti cristiani che non vogliono riconoscere Paolo come apostolo e quindi non lo ritengono in diritto di alcune attenzioni e offerte per la vita propria e del proprio seguito, compreso la moglie o una collaboratrice, se non c'è una moglie, come per Paolo (9,5).
Paolo sa di potersi fidare della Comunità che lo ha accolto e quindi per loro sviluppa la sua riflessione sui diritti e i doveri di un buon apostolo. Prende esempio "dal soldato, dal contadino e dal pastore" ai quali si riconoscono una paga per il compito che svolgono. Essi si nutrono dei frutti del proprio lavoro. E Paolo lo dice per una normale ragione umana e però sente di essere sostenuto anche dalla Legge del Signore che "vieta di mettere la museruola al bue che trebbia". Da buon rabbino, ricorda che tutta la legge è un richiamo, diretto o indiretto, al comportamento del popolo d'Israele.
Nel nostro tempo, tuttavia, tale comando si può leggere anche come attenzione al bisogno di un animale: è un richiamo ad una corretta responsabilità su tutto il creato vivente.
Paolo è consapevole che con la conoscenza e il dono dei beni spirituali si offrono beni incommensurabili, con un valore molto più alto dei beni materiali. Ma questo può essere valutato solo da chi ne apprezza il significato (e il confronto si ritrova anche nella lettera ai Romani.15,27).
Comunque beni materiali sono solo quei beni necessari alla vita: con la missione non ci si può arricchire.
Chiarito questo diritto, ed è una riflessione educativa che andrebbe sempre fatta nella nostra società rispetto ai molti che ci creano benefici: dagli insegnanti ai magistrati, dai meccanici ai debbono pure lavorare insieme a tutti gli altri senza pretendere un salario. Lc,10,7-8:"Restate in quella casa mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua lavoratori pubblici, siano essi impiegati, postini o operatori ecologici (spazzini) e i tanti altri che lavorano per noi. Tutti contribuiscono a rendere il nostro mondo più umano e più vivibile.
Nella Scrittura più volte vengono ricordati l'impegno della povertà e il diritto all'essenziale per vivere: Mt 10,10: "né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento". Precisi suggerimenti incoraggiano i missionari ad inserirsi nella famiglia che li ospita, comportandosi come persone della famiglia stessa: e se insegnano, ricompensa. Non passate da una casa all'altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto".
E nella lettera ai Galati (6,6), Paolo riprende: "Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i suoi beni con chi lo istruisce". Così nella 1 Tim 5,17-18, riprende la stessa argomentazione utilizzata sopra: "I presbìteri che esercitano bene la presidenza siano considerati meritevoli di un duplice riconoscimento, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento. Dice infatti la Scrittura: Non metterai la museruola al bue che trebbia, e: Chi lavora ha diritto alla sua ricompensa".
Ma, a questo punto, però Paolo ritorna sulle sue scelte di gratuità, a cui tiene sopra ogni cosa: " Noi però non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non mettere ostacoli al Vangelo di Cristo." (9,12).
La gratuità è la migliore presentazione del Vangelo, il cui elemento fondamentale è esattamente il dono: da parte di Dio al mondo, da parte di Gesù all'umanità violenta e omicida, da parte dei cristiani ad un contesto chiuso ed egoista, da parte degli innocenti a coloro che li perseguitano. E' difficile la gratuità ed è difficile credervi. La si capisce e la si riconosce nella continuità, nella fedeltà, nella fiducia, spesso nella dolcezza anche se non sempre si sa reggere con gratuità di fronte alla malvagità. Eppure con la gratuità si sa riconoscere la ricchezza di cuore di colui o colei che, diversi da noi, sono lontani dalle nostre scelte.
Padre David Maria Turoldo ci ricorda: " Canto del sogno del mondo".
Dai la mano.
Aiuta.
Comprendi.
Dimentica.
E ricorda solo il bene.
E del bene degli altri godi e fai godere.
Godi del nulla che hai, del poco che basta giorno dopo giorno:
E pure quel poco-se necessario- dividi

Matteo 13,3b-23
Parabola notissima, seguita da spiegazione. Tanto nota che non ci fa più problema. Caso mai ci soffermiamo ad analizzare i terreni e a cercare di collocarci (in quale?).
Mi fanno pensare le prime parole: "Ecco, il seminatore uscì a seminare"-
Il seminatore, come tutti sappiamo, è Dio e l'immagine è presa dal mondo contadino: è un seminatore un po' strano perché sembra che non si preoccupi dove cada la semente.
Difatti per Dio l'importante è seminare ovunque, senza linee di demarcazione e senza limiti. Il suo gesto è ampio, sovrabbondante, generoso.
Ma per ‘seminare' esce: sembrerebbe ovvio, ma, se andiamo al di là del significato letterale e ne cerchiamo uno più profondo viene da pensare a questa ‘uscità di Dio, che è poi una sua prerogativa di sempre: Dio si dona e dona sempre. E dona qualcosa che fa crescere, che non lascia come prima. E' appunto ‘semente'. Gesù ci viene ad insegnare ad uscire per seminare l'amore di Dio nel mondo; uscire da noi stessi, dalle nostre idee, dai nostri rifugi e dalle nostre cautele, senza aspettare le stagioni opportune o rispettare le regole o metterci in un cantuccio (tanto c'è sempre qualcun altro, non tocca a me). Occorre che il cuore diventi sensibile, capace di ascoltare, al di là delle ristrette ed egoistiche vedute che ci caratterizzano, anche se pensiamo che non ci riguardino.
Allora, desiderare di vedere e di ascoltare la Parola e l'Amore di Dio, anche se vengono presentate come cose risapute e forse anche un po' noiose, ci fa rientrare nella beatitudine degli occhi che vedono e degli orecchi che ascoltano, perché alla fine, aguzzando la vista e acuendo l'udito, si giunge a percepire la novità e il significato profondo di ogni "parola" pur ascoltata infinite volte, che sembra non dirci più niente. Non importa se non abbiamo tutti gli attrezzi o se siamo incompetenti, se utilizziamo mezzi spettacolari o palcoscenici e piazze. L'amore nasce dal cuore e dalla nostra apertura all'Amore infinito. Credendoci.

 

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