TESTO Il Dio dello scarto
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/10/2014)
Vangelo: Mt 21,33-43
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi?
43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Sentiamo spesso parlare di ecologia e di attenzione all'ambiente, e tra gli ambiti di maggior interesse in questo campo c'è sicuramente quello del trattamento dei rifiuti, perché gli scarti che produciamo invece di essere qualcosa di marginale (come la parola stessa dice, "scarto", appunto) diventano un punto fondamentale del dibattito sull'ambiente: dove li gettiamo, come produrne di meno, come differenziarli, e soprattutto come cercare di valorizzarli e di farli diventare una ricchezza per tutti, più che un business per qualcuno. Oggi, essere capaci di valorizzare i rifiuti e gli scarti significa avere idee innovative e quasi profetiche.
E pensare che Gesù sull'idea di valorizzare gli scarti è stato molto più innovativo di noi... Non mi riferisco ovviamente in maniera banale ai rifiuti solidi urbani o all'immondizia. Mi riferisco al concetto che sottostà all'idea di "valorizzazione dello scarto", cioè di fare in modo che ciò che agli occhi di tutti pare non solo inutile e antiestetico, ma addirittura dannoso, invece di essere rigettato possa essere riutilizzato, per di più nel migliore dei modi. Come quando, nella costruzione di una casa con le pietre a vista, una pietra viene rigettata perché ritenuta poco bella da vedersi nel contesto affascinante di pietre che affiorano dall'intonaco. Poi però viene presa e utilizzata in un punto assolutamente invisibile, le fondamenta, per fare da pietra angolare di un altro edificio, perché solida, perché lì sopra vi si può appoggiare con sicurezza il peso di una casa in pietra. Certo, parliamo di un altro edificio, non di quello che si sta per rifinire collocando le pietre a vista. Per collocare una pietra angolare bisogna proprio trovarsi all'inizio di una costruzione, subito dopo gli scavi; non può quindi che trattarsi di un'altra casa, rispetto a quella dalla quale la pietra è stata scartata.
Sembrano banalità o questioni di lana caprina, queste, ma non lo sono per nulla, perché è su questi particolari che si costruisce il senso della Liturgia della Parola che abbiamo ascoltato. Se Gesù fa "la morale della favola" della parabola che ha narrato per i capi del popolo citando quel versetto del salmo 118 divenuto ormai famoso, vuol dire che il nocciolo della questione è proprio questo: Dio si serve di ciò che agli occhi degli uomini non ha alcun valore, e che quindi deve essere scartato e messo alla larga dalla vista di tutti, perché possa - nel nascondimento della dimenticanza - essere messo alla base di qualcosa di nuovo, possa essere alla base di un nuovo modo di vedere le cose, di una nuova prospettiva, della costruzione di un nuovo futuro, della creazione di una nuova umanità. E per far comprendere che si tratta davvero di una novità, di una rottura con il passato, Gesù utilizza la comparazione della vigna, ben nota al popolo d'Israele, perché parte della tradizione biblica, in particolare di quella profetica: "la vigna del Signore è la casa d'Israele" - dice pure Isaia nella prima lettura - che invece di dare i buoni frutti attesi (attesi perché curata da Dio in una maniera tutta particolare) non ha dato altro che acini acerbi, incapaci di maturare. Come un popolo che non ha mai fatto fruttare l'abbondanza d'amore ricevuta dal suo Signore.
Quando Gesù inizia a narrare la sua parabola, in maniera quasi automatica i suoi uditori capiscono dove egli voglia andare a parare: "Ci sta dicendo che noi siamo una vigna sterile incapace di dare frutti nonostante gli sforzi di Dio nei nostri confronti. Ormai sono secoli che ci sentiamo dire queste cose dai profeti". In realtà, Gesù va oltre, e proclama davvero qualcosa di diverso. La vigna di cui egli parla, alla fine darà frutto, e questo è un segno di grande speranza, una rottura rispetto al passato. Perché la vigna di questa parabola probabilmente non dava frutti alla stregua di quella descritta dal profeta, ma finalmente Gesù ha il coraggio di dire il perché non si vedono i frutti. Non si tratta tanto di terreno sterile, quanto di operai della vigna, di vignaioli che, al di là dei buoni frutti o meno che potrebbero raccogliere, l'unica cosa di cui sono preoccupati è di impossessarsi della vigna, di "averla in eredità". E sono disposti a tutto, anche a uccidere il naturale erede del padrone: e, di fatto, lo fanno, ma non calcolano le conseguenze di questo, ossia che il padrone arriva comunque dove vuole arrivare, cioè al raccolto, prescindendo da loro. È interessante come i capi del popolo si rendano conto di questo, perché sono loro stessi a narrare la conclusione della parabola, quasi se lo aspettassero: sono ben consapevoli di essere loro stessi gli operai che avevano l'opportunità di fare fruttare la vigna, il regno di Dio. Come nel passato i loro padri, essi non l'hanno fatto: ma ora, a differenza del passato, Dio porta a compimento la forza della sua Parola, e la vigna darà finalmente frutto. Non con il loro lavoro, certamente: con quello di un altro popolo e di un'altra umanità. Un'umanità scartata e rigettata, come una pietra brutta da vedersi nella logica del loro edificio di pietre a vista, ma preziosa agli occhi di Dio, e soprattutto utile alla costruzione di un mondo nuovo, diverso, fedele a Dio e capace di dare frutti.
Tradotto in soldoni: non è certo una novità che nella vita di fede, nelle cose di religione, c'è chi crede di sentirsi padrone di Dio, di potersi impossessare delle cose di Dio, di eliminare gli altri come fossero scarti e rifiuti della società in nome di Dio, anche se non si sa bene di quale Dio si tratti, visto che Dio è Padre di tutti e non disprezza nessuno. Ma la novità è l'annuncio che Gesù fa sulla scorta di questo: proprio chi viene scartato da coloro che credono di aver l'esclusiva di Dio e impediscono al Regno di crescere e di dare frutto, è la base per costruire una nuova umanità, un nuovo regno, una nuova società, potremmo dire anche una Chiesa nuova, differente, che sia una vera comunità di gente che lavora per il bene comune, e non per la sete di potere.
Quanto dovremo attendere per vedere anche nella Chiesa questa novità proclamata dal Vangelo? Non lo sappiamo, ma non importa: l'annuncio è dato, la strada è tracciata, la vigna del Signore darà certamente frutto.