TESTO Commento su Dt 6,4-12; Gal 5,1-14; Mt 22,34-40
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
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V domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (28/09/2014)
Vangelo: Dt 6,4-12|Gal 5,1-14|Mt 22,34-40
34Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Deuteronomio 6, 4-12
Mosè si è avvicinato a Dio per ascoltare quello che il suo popolo deve capire e praticare all'inizio della sua esistenza liberata ed autonoma, avendo avuto il dono della emancipazione dalla schiavitù, per una scelta privilegiata da parte di Dio a preferenza degli altri popoli. E' Mosè che ascolta e comunica ed è stato il popolo stesso, intimorito dalla presenza potente di Dio sul Sinai, a delegare Mosè come ambasciatore e quindi come messaggero di Dio con loro: "Avvicinati tu - ha detto il popolo - e ascolta quanto il Signore nostro Dio dirà e poi ci riferirai quanto ti avrà detto e noi lo ascolteremo e lo faremo" (5, 23-27). Tre verbi si sviluppano e si rincorrono dando, ciascuno all'altro, sfumature proprie e raccogliendo insieme ricchezze diverse: "Temi, ascolta, ama".
«Temi il Signore Dio tuo» (6,2): è un'espressione tipica della fedeltà all'Alleanza. Il timore (Es 20,20) comporta simultaneamente un amore che corrisponde a quello che Dio ha avuto con i padri, la loro discendenza e loro stessi (4,37) e impegna in un'obbedienza assoluta a quanto Dio comanda (6,2-5;10,12-15; cf.Gen 22,12). Il contenuto religioso e morale di questo timore andrà sempre più affinandosi (Gs 24,14; 1Re 18,3.12; 2Re 4,1; Pr 1,7; Is 11,2; Ger 32,39; ecc.).
«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore» (v4). E' l'atto fondamentale di fede del popolo d'Israele nella sua storia.
«Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» (v 5). Preceduto dall'esperienza del dono di Dio, l'amore non è proposto come scelta, ma come comando. Questo amore di Dio si affinerà, è soggetto a pericoli ed a distorsioni, equivoci e supponenze. Sarà presentissimo nei libri profetici, soprattutto in Osea, in Geremia, e nei Salmi. Gesù, richiamandosi a Dt 6,5, presenterà come il più grande comando l'amore di Dio (Mt 22,37p), un amore che si unisce al timore filiale, ma esclude quello servile (1Gv 4,18). Matteo, tuttavia aggiungerà: "con tutta la tua mente": l'amore ha bisogno di profondità ed ha bisogno di lucidità e chiarezza. L'amore a Dio non va identificato con la pratica dei doveri religiosi, con la partecipazione agli atti di culto. Per ingraziarsi gli dèi, i popoli dell'antico Medio Oriente offrivano olocausti di animali e le primizie dei raccolti, convinti che, se il soave odore delle vittime non fosse regolarmente salito al cielo, gli dèi si sarebbero adirati e avrebbero inviato pestilenze, siccità e carestie. Anche Israele, per lungo tempo, concepisce il suo rapporto con il Signore in termini cultuali. Ritiene di poter ottenere i favori del suo Dio offrendogli, come i pagani, sacrifici e olocausti. Non è così che il Signore vuole che gli si manifesti amore. I profeti sono durissimi contro il ritualismo religioso: «Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero? - dice il Signore - Smettete di presentare offerte inutili, l'incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova» (Is 1,10-20; Am 5,21-25). Ma anche noi abbiamo lo stesso problema. L'amore che Dio chiede non è un fugace sentimento, un'emozione momentanea, una dichiarazione di affetto fatta con le labbra, un compimento di gesti, magari settimanalmente con una messa per esaurire il tutto in una nicchia. Chiede l'adesione totale a Lui nell'adempimento di ciò che gli è gradito.
Con tutto il cuore: suppone il controllo di tutte le scelte e di tutti i sentimenti: non ci sia spazio per gli idoli, per la bramosia del denaro, dei capricci, delle ambizioni.
Con tutta l'anima: l'anima nella Bibbia equivale alla vita e quindi nessun istante può essere trascorso in disaccordo con il progetto del Signore.
Con tutta la forza: impiegare tutte le proprie energie e capacità nella realizzazione dei disegni del Signore, insieme con i propri beni materiali.
Questo amore deve coinvolgere il popolo in cui si vive e il popolo che verrà, il cui equilibrio e la cui saggezza dipenderanno dalla nostra attenzione, insegnamento ed educazione. E se il brano conclude che la ricchezza ed il benessere sono il dono di nozze offerto da Dio Alleato, la continuità del benessere dipenderà da come verrà mantenuta dal popolo, che c'è e che verrà, la centralità di questo amore. Questa è la sintesi da memorizzare, da ripetere, da maturare e da diffondere come la radice della vera sapienza.
E infatti queste sono le parole della preghiera che un buon ebreo recitava e recita ancor oggi tre volte il giorno.
Galati 5, 1-14
Paolo scrive ai Galati con grande determinazione, cercando di passare, da questo brano, dal piano teologico alle scelte ed ai comportamenti morali. E' molto fiducioso di questi cristiani a cui scrive e con cui si è trovato molto d'accordo e che valuta sinceri e generosi. Per questo, tuttavia, pur sentendosi fiducioso, è preoccupato per alcune loro deformazioni. Sembra che si siano mostrati ingenui e si siano lasciati raggirare da alcuni fanatici. Non vengono riportate percentuali di deviazioni o di persone che hanno accettato i nuovi annunciatori. Ma questi hanno distolto i credenti dalla fede genuina di Gesù per ritornare alle linee morali precedenti. Paolo si lamenta che si siano affrettati ad alterare la loro fede, equivocando. E' un impedimento che Paolo continua ad incontrare nella sua predicazione, soprattutto perché il suo inizio avviene sempre con le comunità di Ebrei, disseminate nell'impero. D'altra parte è anche comprensibile che si lascino riprendere dalla nostalgia e dalle abitudini molto resistenti e capillari che costellano fatti normali e situazioni quotidiane. Paolo si preoccupa perché la fedeltà alle tradizioni farisaiche condiziona la novità che Gesù porta; ricorda che tutto questo fa dimenticare quell'unico e fondamentale comandamento che è l'amore del prossimo, comandamento che è la sintesi di tutta la legge (vv 13-14).
Per questo Paolo scrive con chiarezza: solo Gesù ci ha liberati per costituirci liberi.
"Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità" (v 6). La libertà è la grande conquista che Paolo scopre nel conoscere Cristo poiché, prima di tutto, Gesù stesso ha vissuto fino in fondo questa libertà, ponendo alla base delle sue scelte e del suo insegnamento l'amore verso la volontà di Dio e l'amore verso tutti gli uomini e donne del suo tempo che hanno bisogno di misericordia. Su questo tema fondamentale della libertà noi credenti dovremmo ripensare molto e approfondire le scelte e l'impegno nel mondo delle relazioni, della giustizia, delle istituzioni, della Chiesa e della società. Certamente, si equivoca molto facilmente la libertà, scambiandola con l'anarchia, gli interessi di parte, la presunzione di lucidità e di chiarezza, il rifiuto della legalità o di legami. E la si sottopone alla emotività del nostro essere come unico criterio assoluto di giudizio. Non va dimenticato che da Paolo vengono ricordati qui due modelli di vita, che riconduce alla "carne" e allo "Spirito". La "carne" è principio di peccato. Il comportamento carnale è esemplificato da un "catalogo di vizi" (19-21). E' la libertà senza giudizio di Dio che si proclama come diritto. Ma la libertà di Gesù si misura su grandi valori, si valuta e si confronta sulla comunione, sull'attenzione verso le persone più fragili, sulle Parole di Gesù a cui siamo tutti chiamati, nel rispetto di ciascuno, ad esserne interpreti.
E' vero che si ha molta paura a parlare di libertà, perché ci si immagina che l'ubbidienza, la sottomissione, l'accettare tutto quello che ci viene imposto sia il meglio, non crea problemi, ci lascia tranquilli. Eppure nella Chiesa, per secoli, ed ancor oggi nei paesi dove i cristiani sono minoranza, si insiste nel coraggio, nel ricercare la parola di Gesù, nel ritrovare la fiducia e l'accoglienza verso tutti. Non è questo il vero esercizio di libertà cristiana?
Matteo 22, 34-40.
Anche a noi piace discutere su vari problemi, pur scottanti, così come avviene nel cap.22 di Matteo, dove si vuole mettere alla prova ("tentare") Gesù su temi che allora erano di attualità (ma ancor oggi lo sono).
Qui addirittura un dottore della Legge interpella Gesù su qualcosa che un credente ebreo dovrebbe aver ben chiaro: il grande comandamento.
E Gesù difatti risponde correttamente, ma, ad evitare fraintendimenti e distinzioni, unisce all'amore di Dio quello del prossimo; anzi, in un certo senso, lo identifica: è il cuore della Legge, è il cuore della fede.
Questa domanda viene posta a Gesù dopo che i farisei si erano ‘radunati insieme', perché si rendono conto della fondamentale importanza della domanda.
E' come dire oggi': che cosa credi riguardo a Gesù e riguardo a Dio?
Il mettere insieme i due comandamenti, identificandoli, è ciò che fa la differenza tra una fede abitudinaria e superficiale (chi non conosce questo comandamento?) e il significato della risposta di Gesù: non vale un culto devoto e teorico, non valgono i pensieri su Dio se non sono intrisi da un reale e provato amore del prossimo, cioè di chi ti sta o si fa vicino. Le misure, poi, sono totalizzanti: con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la mente, come te stesso, cioè facendo spazio reale nella tua interiorità e nella tua vita all'altro che in questo momento ti sollecita o ti infastidisce. Spazio d'affetti, di pensiero, di condivisione. L'amore a Dio è un atteggiamento che trae la sua forza d'essere nella tua umanità e nel tuo farti umano con gli altri per amore.
Per questo è il grande comandamento, potremmo dire anche l'unico, quello su cui sei provato e che ti mette in crisi, perché non sei mai all'altezza, ma slitti via. Certo, le cose le sai, ma si fa quel che si può. Così il nostro incontro con il Signore rischia di banalizzarsi. Ed è anche per questo che viene usato il futuro "amerai". Perché non si dà mai un risultato raggiunto, ma è sempre una tensione, un desiderio, una conversione.
Una richiesta di perdono.
Perché occorre l'umiltà di chi si fida e di chi si presenta con la convinzione che solo con il suo aiuto e con la consapevolezza di riflettere solo una scintilla del suo amore se totalmente ti rimetterai a lui, potrai cominciare a capire qualcosa di questo - grande comandamento.
E' un testo che ci fa riflettere a fondo: in che cosa consiste la nostra totalità?